La domenica al centro commerciale

Nei paesi o nei piccoli centri ancora non chiamati città, le tradizioni in genere sono forti, basti pensare alle svariate ricorrenze, alle feste del santo di turno o alla fiera di fine stagione. Questi, ancora, possono avere, differentemente dalla città, una struttura più ordinata e maggiormente controllata, o al contrario sguazzare nel medioevo e nell’abbandonato, vivere tra le pecore o fra i progetti di urbanizzazione moderna mai conclusi e poco coerenti con la storia del territorio.

La città nasce come paese, per lo più come agglomerato di diversi territori, uniti con la forza, armata o senza, con la politica o per bisogno. Non tutte le città possono considerarsi come evoluzione di un piccolo centro. Non tutti i paesi possono considerarsi all’altezza delle aspettative e dei bisogni della gente. Non tutta la gente può essere contenta dei cambiamenti improvvisi di un paese, non tutta, invece, resterebbe a casa a filare la lana davanti alla finestra.

Si pensa che la domenica in paese sia sempre un giorno di sole. La domenica in paese si sta tutti insieme, si chiamano tutti i parenti possibili inimmaginabili. Si cucina tanto e le pance gonfie appaiono soddisfatte dopo il caffè caldo. La domenica si comprano i dolci dal pasticcere e i bambini sono contenti. Forse questi bambini lo ricorderanno da grandi.

E certe volte è davvero così.

Aprono i centri commerciali ed è un gran bene. Per esempio, dal momento che l’unico negozio di dischi e cassette aveva chiuso le saracinesche, il centro commerciale diventava la prima risorsa, tanto desiderata, anche perchè in pochi potevano permettersi l’adsl, e scaricare per giorni una sola canzone era deprimente.

Dicono che la provincia, adesso, si riversi interamente lì dentro, sia quando si avvicinano le feste, sia nel periodo dei saldi. Ormai ci andiamo tutti lì dentro e non facciamo più caso alle storie di mafia che ci stanno attorno. I negozi del corso sembrano un po’ perderci.

E’ così comodo passare da un negozio all’altro senza rientrare in macchina e fare la strada in mezzo al traffico e poi cercare posteggio e di nuovo per tante volte. “E’ così bello”, dice la bambina, “ci sono le scale mobili, il tetto di vetro, il negozio di giocattoli più grande che avevo mai visto, dove trovo la tartaruga gigante che voglio per Natale”.

Dice la madre, “i commessi sono vestiti tutti uguali, così da non confonderli con i clienti, sembrano parlare veloce, non pare neanche che provengano da qui, magari da altri paesi. Sono così tanti che neanche li ricordi quando ci ritorni. Però è positivo! C’è tanto lavoro dato a diversa gente, ed è giusto rinnovarsi anche se il rapporto di fiducia col cliente un po’ viene a mancare.”

Un signore: “C’è così tanta gente che si sente un fruscio continuo che sembra sentire le mosche volare, ci vanno tutti, ci fanno le offerte, c’è pure il bar. Incontri chiunque. Che ci vuoi fare, il mondo va così, ai miei tempi ste cose se le sognavano”.

E quindi smettiamola col dire che i paesi vivono solo di campagne ed imprese anacronistiche.

La domenica a Castelvetrano si passa al centro commerciale, dove, a pranzo, non cucina la nonna o la mamma, così almeno non si affaticano, ma ti accontenti del menù del giorno su un tavolino di plastica, attorno neanche una finestra che dia sulla città, che ti possa far esclamare “oh che bella giornata!”. Al massimo puoi vedere l’autostrada.

6 thoughts on “La domenica al centro commerciale

  1. Il problema dei centri commerciali è che modificano sostanzialmente la società, divenendo dei veri e propri centri sociali (con tutti quegli spazi ricreativi al loro interno come bar, ristoranti, cinema, mini-teatri e a volte anche palestre) con-fondendo la socializzazione con la commercializzazione.

  2. Da me di centri commerciali non se ne vedono molti, per fortuna. Giusto un paio vicino casa; ma ancora non c’è questa “cultura” che lo pone al centro delle giornate festive della gente. Da noi si preferisce ingozzarsi, la domenica.
    E poi a me sinceramente scoccerebbe troppo passare un’intera giornata o un pomeriggio chiusa lì dentro; si perde il piacere del girare per negozi (che in città/paesi caotici e poco civili è già molto poco). Comunque non sono del tutto contraria ai centri commerciali, costituiscono pur sempre un’ottima opportunità di risparmio/svago (passare 1/2 ore a fare spese in santa pace mi rilassa). Solo bisognerebbe avere un giusto mezzo, cosa che al momento mi pare non sia così.

  3. Il centro commerciale è uno spazio ambiguo. Infatti ha le pretese di uno spazio pubblico, ma nei fatti è percepito come uno spazio privato. Mi spiego meglio. Per spazio pubblico di solito intendiamo un posto al quale tutti possono accedere. Ma un centro commerciale non è effettivamente un posto per tutti. Entrano quelli che devono comprare, quelli che possono comprare. Se un non dotato di pecunia entra in un centro commerciale, darà uno sguardo alle vetrine, ma non entrerà nei negozi. Perchè quando entri nei negozi le commesse ti chiedono se ti serve aiuto, che è il loro modo per chiederti cosa vuoi comprare. E se non vuoi comprare niente, subentra il disagio del “sto solo dando un’occhiata”. Non puoi dare un’occhiata. Tu sei lì con un ruolo ben preciso. Non è scritto da nessuna parte, ma è una legge.
    Per questo il centro commerciale è un luogo ambiguo. Perchè ha una pretesa malcelata, dietro le sue porte ad apertura automatica. La pretesa che tu sia lì per un solo motivo, comprare.

    (questo tuo articolo mi è piaciuto molto. davvero.)

  4. @michele: bel commento! Non c’è altro da aggiungere.

    @sonia: cos’è il giusto mezzo?

    @manu: il centro commerciale potrebbe essere anche la via del centro, non solo oltre le porte automatiche, il disagio te lo ritrovi addosso anche dal panettiere, se non hai quei due cents in più. Probabilmente la gente preferisce, a volte, passare il tempo a sognare di comprare, o nel peggiore dei casi, a seguire le mode-shop del momento. E’ quel disagio è frutto di una sorta di complesso di inferiorità che in certi negozi viene propinato volutamente, annientando il rapporto finto-amichevole dei sorrisi spalancati tra commessi e clienti.

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