Linguaggio da corteo

Il linguaggio politico è un linguaggio molto complesso, tanto quanto le forme in cui si manifesta. Un comizio in piazza è diverso da un annuncio propagandistico in televisione, che è diverso da quello che si può lanciare su un giornale. Ancora diverso è il linguaggio adoperato nei cortei, espressione più popolare-partecipativa che ci sia in politica.

Una manifestazione è appunto una dimostrazione pubblica che c’è una parte di popolazione che la pensa allo stesso modo su alcuni argomenti e rivendica i principi che li uniscono, ma è anche un’occasione per sensibilizzare l’opinione pubblica e informare chi non lo fosse su certe tematiche.

Ma come è possibile raggiungere questi scopi? Quali strategie comunicative i manifestanti devono adottare nell’era della TV e del WEB?
Ho ancora in tasca i volantini ricevuti proprio ieri sera ad un corteo, pagine A4, piene di parole, con testo fitto fitto, scritto magari con parole semplici, ma non molto invitanti da leggere (al massimo te lo metti in tasca, e poi se ci pensi, quando hai tempo, lo leggi). Il passo avanti comunque l’ho notato, l’uso del grassetto nelle frasi chiave, questo, fino a qualche anno fa non era molto usato.
Poi ne ho un altro, apparentemente più promettente: titolo grande e artistico (word art per l’appunto) eun elenco puntato delle questioni su cui si invita a dialogare in una futura assemblea. Ma ancora rimane un vecchio vizio che riporta ai tazebao: i punti sono periodi troppo lunghi!
In una società dove regna il commercio, anche le idee politiche si devono vendere e il linguaggio persuasivo, lanciato su volantini dovrebbe essere a mio avviso sintetico e diretto come quello dei manifesti pubblicitari, con l’invito poi ad approndire sui siti appositi.

Il messaggio sintetico, diretto ed efficace d’altronde appartiene da sempre al mondo dei cortei e l’applicazione su carta non dovrebbe essere poi così difficile, se non fosse che oggi che questa applicazione è più che mai indispenabile, gli slogan sono diventati sempre più banali e prendono la loro forza da motivetti da stadio.
Un corteo di Interisti incazzati per la perdita di uno scudetto, uno di Forza Nuova e uno dell’Autonomia Operaia hanno lo stesso suono “Chi non salta … è!”, “Siamo tutti quanti …”.
Anche quando ci sono i sound system i fascisti ascoltano Rino Gaetano e i compagni ascoltano reggae facendo scomparire Contessa di Pietrangeli (il padre di Amici di Maria de Filippi).
Eppure non sono lontani gli anni in cui allo sciopero nazionale dei precari si sentivano slogan veri, semplici ed efficaci e con tanta identità proletaria come “Ci vuole una metrica precaria per una visione avvincente del futuro” oppure ” Ci sfruttano, ci sfrattano, ci danno polizia è questa la loro democrazia!”.

In conclusione, il linguaggio va rinnovato nella forma ma non nel contenuto, la carta deve diventare un invito all’approfondimento su altri canali più moderni e i contenuti devono conservare e mostrare la cultura identitaria degli scriventi, altrimenti si finisce per non comunicare nulla.

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