L’ “Incontro” americano

“I nostri miti morti ormai, la scoperta di Hemingway, il sentirsi nuovi e le cose sognate ed ora viste..” da  Incontro di F.Guccini

Il cantautore emiliano racconta di un improvviso incrocio con una vecchia amica, per le scale, pervaso da una rassegnazione per le cose che il tempo ha e non ha cambiato, lasciando un diffuso senso di insoddifazione nei due protagonisti. Crolla il mito americano, siamo nel 1972, anno di pubblicazione di Radici, e Guccini era stato, tempo prima, nel nuovo continente con la pretesa di ammirarne i luoghi raccontati dalla letteratura. Cita lo scrittore americano Ernest Hemingway, simbolo di una cultura nuova che in tutto il mondo riceverà diversi sostenitori; autore, tra gli altri, di Per chi suona la campana, Hemingway rinnova l’epica con il vissuto dei suoi personaggi, dalla personalità inquieta, spesso contraddittoria, ma, da certi punti di vista, decisa verso scopi concreti. Oltre alle speranze dei migranti, verso una terra che offre migliori possibilità di vita, l’America sembra possedere una magia assoluta per via delle sue distese desertiche, per le strade che si stagliano infinite, per le metropoli rumorose di variegata umanità, per la capacità di sognare dei suoi scrittori. Il mito di certa letteratura statunitense, si pensi a Fante, Kerouac e allo stesso “Hem”, trasforma la realtà quotidiana in qualcosa di avventuroso, appunto epico. I luoghi trattati  vengono percorsi con le proprie gambe, con la fatica e col cuore, ed appare una sempre più costante identificazione dell’uomo con il contesto che lo circonda: un locale jazz qualunque dove fai l’amore, metaforicamente, con le note del sax che ascolti o la collina innevata dove si attende il momento giusto per l’attacco contro i nemici.

Hemingway racconta il sogno della libertà (si pensi alla feroce condanna nei confronti della dittatura spagnola nel libro sopra citato), che proviene dall’America ma che può piacere a chiunque si ritrovi in un paese governato dai mediocri di turno che diffondono i loro disvalori da decenni e dove sia difficile realizzare i propri progetti. Dando voce alla propria generazione, Hemingway, ha esaltato la maturità dell’atto ribelle come consapevolezza, non solo come gesto semplicemente eversivo.

Nei libri rimane il racconto, la realtà, però, cambia col tempo o probabilmente non è mai stata mitica come nella suddetta narrazione. Guccini affermerà qualche anno fa, in occasione dell’uscita di Ritratti, che “il mito si era ristretto, (…) l’America diventava più reale rispetto ai sogni giovanili”. Certi sogni pongono dei dubbi, delle difficoltà, se realizzati non soddisfano le aspettative di una vita. Ti ritrovi davanti all’impossibilità di accettare qualcosa che avevi immaginato su qualche gradino più alto e facilmente, si può pensare che la soluzione migliore sia rimanere dietro la finestra a contemplare l’infinito leopardiano, immaginato oltre “l’ermo colle”. Solo che poi ti svegli da una vita non vissuta e pensi che sarebbe stato più eccitante ricevere cocenti delusioni, aspettative denigrate, piuttosto che immaginarti nella finta-gioia di qualsiasi contesto a nord-est del tuo cervello.

“La mia America e la sua, diventate nella via, la nostra città tanto triste.” (ibidem)

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