Quant’è bella giovinezza…

Avevo quindici anni circa, quando la fulminante verità che avrebbe accompagnato, e minacciato, il resto della mia vita a mo’ di spada di Damocle (una delle tante lame pronte a colpire), mi si rivelò senza mezzi termini: sono una vecchia, sono una fottuta vecchia nel corpo immaturo di una ragazzina acerba che da allora avrebbe sempre dimostrato una decina di anni in meno (ma questo vuol dire che, adolescente complessata, dimostravo fisicamente cinque anni? Non mi ci ero mai soffermata). Presa coscienza di questa sconvolgente rivelazione, il resto vien da sé: l’eccesso di responsabilità, l’incapacità di prendere tutto alla leggera, di abbandonarsi a colpi di testa giustificabili dei quali non si approfitta, tutto questo è una logica conseguenza del fatto di essere una vecchia, una fottuta vecchia nel corpicino gracile di una quindicenne troppo seriosa e controllata. Col tempo si cambia, ovvio, si cresce, si matura, nuovi valori prendono il posto dei vecchi ideali troppo irrealizzabili, ci sbatti il muso, contro la dura realtà, e inizi a ridimensionare i tuoi sogni, a farti due calcoli e a renderti conto che sei mortale e la vita non è così lunga come pensavi; eppure questa semplice parola, spensieratezza, continua ad essere assente dal vocabolario delle mie personali esperienze, tutto deve essere fatto e preparato in vista di un più alto traguardo, e non importa a quanto dovrai rinunciare, quanto dovrai sacrificare per arrivare a tanto, per vedere finalmente realizzato l’ambizioso progetto che non è poi altro che un po’ di indipendenza, la sacrosanta libertà di disporre a tuo piacere della tua vita e magari provare a lasciare un segno, uno scritto, un’idea messa nero su bianco, a testimonianza che tu eri qualcosa di più di quel che agli altri facevi vedere.

E intanto un’altra parte di te, più immatura e sbarazzina e forse più fedele all’età anagrafica ti cresce dentro e scalpita per uscire fuori: è la voce nascosta di una sognatrice incallita che brama posti sconosciuti, che vuole vivere a passo di danza e senza preoccupazioni a bordo di un pulmino multicolore che va per il mondo senza mai fermarsi, libero da legami e calcoli e sottigliezze quotidiane. Un folletto immaturo e irragionevole, che vuole solo vivere come se la testa fosse un pallone leggero rigonfio d’aria e farfalle, affamato di nuove sensazioni e vita allo stato puro troppo a lungo messa da parte, e per cosa poi? Per dei vagheggiati, dannatissimi ideali che propabilmente mai saranno realizzati, non completamente almeno. La vecchia e la ragazzina: ci passi l’adolescenza tra le loro grinfie, cercando di far contenta e soddisfare un po’ l’una e un po’ l’altra, ma la lotta è dura, e la pace mentale una chimera che a volte ti riesce di afferrare, altre no. Ma poco importa. Si continua ad aspettare pazienti, fiduciosi che un giorno si realizzerà almeno uno dei tuoi preziosi sogni del cazzo. E un giorno ti svegli e scopri che nell’attesa son passati dieci anni, ti guardi indietro e le ingenuità e le misere utopie della scontrosa piccola idiota che eri ti sembrano così lontane, soffocate da ben altri progetti, da desideri magari meno nobili ed eterei, ma reali, cazzo, e leciti; e ti ritrovi a invidiare cose delle quali prima, nella sicurezza presuntuosa dei tuoi sedici anni, ridevi e di cui non ti fregava poi granché: una casa, una famiglia, un lavoro stabile, un amore sicuro, oddio, solide basi per proteggerti da un mondo che all’improvviso non ti sembra più così meraviglioso e pronto da mordere, e che invece ti fa paura, ti terrorizza da morire. Di tutte queste cose continui a pensare, intimamente, di poter fare a meno, non le desideri veramente, non fanno per te, ché ben altro può farti felice; ma qualsiasi cosa è meglio di questa attesa che non porta a niente, qualsiasi, un cambiamento qualunque, anche se non voluto, piuttosto che la raggelante prospettiva che tutto resti com’è, te compresa.

E ai vecchi sensi di colpa se ne aggiungono di nuovi, mica si sono zittite, quelle due arpie che ti rodono il fegato, per niente: ti osservano implacabili, ti giudicano, e ti fanno sentire una fallita nell’età in cui dovresti armarti e scendere in campo e conquistarti la tua parte di mondo, mentre invece continui ad essere sbranata a turno dalle ambizioni non ancora spente dell’una e dagli innocenti ideali traditi e messi da parte dell’altra. Stupendo sentirsi frustrati e in perenne stand-by senza aver capito una minchia di come va la vita, veramente. Sensazione impagabile. E non venitemi a dire che questo è il periodo più bello e irripetibile, che un giorno lo rimpiangeremo e cazzate simili. Perché in certi momenti, e questo in cui scrivo ne è uno dei tanti, vorrei avere già cinquant’anni e passa e trovarmi coi capelli grigi, la cataratta e le prime rughe, e aver passato ogni tempesta, aver combattuto tutte le battaglie che c’eran da combattere, e languire oziosa e senza preoccupazioni davanti al fuoco benevolo di un’accogliente dimora, la mia dimora. Almeno allora la vecchia rompiballe chiuderà il becco, una volta tanto, o magari sarà morta, deo gratias! E la ragazzina sarà abbastanza cresciuta da non ficcare più il naso in questioni troppo grandi per lei, e chissà, metterà finalmente a tacere la sua petulante vocina di viziata che chiede e pretende e non è disposta a spendersi e a dare. Fanculo ad entrambe, streghe.

3 thoughts on “Quant’è bella giovinezza…

  1. Confesso che in alcune cose che hai scritto mi sono completamente rispecchiata. Probabilmente ognuno di noi è sempre tirato da due lati opposti, nei fumetti ci sono sempre “l’angioletto” e “il diavoletto” che ti parlano (anche contemporaneamente, eh! ed è lì che non si capisce più niente) dalla loro nuvoletta consigliandoti di fare così, no, di fare così, uno ti condanna e l’altro ti difende, o peggio entrambi hanno qualcosa da ridire su come ti comporti.
    Quando questo accade ci sentiamo come quando parliamo al telefono con qualcuno, e nella stanza c’è un’altra persona che ci parla nel frattempo. E zitti tutti, e che cavolo.
    Il fatto è che dobbiamo accettare di non essere un’unità, un colore, una monade. Noi siamo compositi, colorati, incoerenti, variopinti; le nostre azioni non sono le prevedibili conseguenze del nostro schematico modo di pensare.
    L’uomo ha sempre tentato di catalogare, classificare, dalle piante agli animali, ma con il carattere delle persone direi che è una partita persa. (Io sono biologa e dico sempre: “La Zoologia Sistematica non si applica alle persone!” – Nel senso che le categorie non fanno per noi.)
    Non c’è “il buono”, “il cattivo”, “quella brava”, “quella infantile”… Così sarebbe fin troppo facile!
    Tu sei sia quella che chiami “la vecchia”, che probabilmente è solo la parte riflessiva e diligente di te, sia “la ragazzina” spensierata che ha voglia di sfidare la vita. Non sono tue nemiche, sono parti di te, compongono il quadro, sono tessere del mosaico.
    Fai la pace con entrambe, e fai fare pace tra loro.

  2. Brava, credo tu abbia colto un sentimento molto diffuso tra la nostra generazione. Incredibile come negli anni ’60 si credeva di cambiare il mondo alla nostra età, e come invece noi ci siamo arresi senza nemmeno provarci… Negli anni ’70 credevano già che le parole avessero perso il loro peso…beh, alcuni di noi le usano ancora, ma senza entusiasmo, senza forza, sebbene magari siano parole vigorose e piene di energia. Abbiamo degli ideali che però definiamo tali, come irraggiungibili…siamo nell’epoca in cui “tutto è già scritto”, “è inutile che ci provi, non concludi un cazzo”, “ci abbiamo provato, ma come vedi abbiamo fallito”… abbiamo gli esempi del passato, la cultura è più diffusa e non ha fatto altro che diffondere l’idea che la storia si ripete, gira attorno a se stessa come il pesce in una vasca, senza mare in cui sfociare. Quindi ci arrendiamo davanti alle cose più grandi di noi…raccomandazioni, mafia, politica corrotta, guerre…e chi le sa cambiare stè cose?? E poi, in Italia…la situazione occupazionale, la casa, la famiglia…le cose di cui parli sono le paure dei tuoi coetanei, le mie paure…e non le sappiamo affrontare, o meglio..ognuno le affronta come può! Il mio inconscio si è parato il culo con il vivere giorno per giorno, con gli obiettivi a breve termine, col “non ci voglio pensare al poi”…e devo dire che funziona, mi mette in una sorta di illusione di felicità, o quanto meno benessere. Al dopo io non ci penso. Che farai dopo la laurea? Mah…dico senza convinzione: la specialistica! E dopo? E per fare cosa? Ah boh…con la laurea mia non è che si trova un granchè… La vecchia…la bambina…sì, certi miei desideri mi fanno sorridere, così come certe mie paure…quelle di cui hai già parlato tu…siamo una generazione instabile, molto fragile e vulnerabile…siamo fermi agli anni ’80 (e aveva ragione Manuel: “non si esce vivi dagli anni ’80), ma non siamo “sfiorati” dagli eventi, ne siamo colpiti a fondo e questo ci fa vivere male. Non amiamo spassarcela perchè ci sentiamo in colpa, ci sentiamo falliti, non sognamo Hollywood, ma qualcosa di più modesto…un piccolo appartamento…un lavoro stabile che ci piaccia…ci dobbiamo sentire graziati se troviamo qualcosa di sottopagato e dobbiamo baciare i piedi quando ci offrono uno stage….ma dove siamo arrivati?

    Se tu ti batti e credi in quegli ideali che ti fanno sentire vecchia: ritieniti fortunata. sii felice di questo. Io non so fare altro che lamentarmi, ma ad agire, cazzo, a parte la cura del mio orticello, non faccio granchè (sebbene ci tenti).

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