La bella, la cozza e quel pregiudizio duro a morire

Detesto i luoghi comuni. Detesto gli stereotipi, le frasi fatte. Arida forma priva di contenuto, totalmente scollegata da ogni parvenza di vero. E ancora di più detesto questi stessi luoghi comuni, queste stesse frasi fatte, quando si riferiscono, orribili deturpatori di verità e vita, alla condizione che, dopo rifiuti e lotte interne varie, ho finalmente accettato e fatto mia, più o meno consapevolmente e con gratitudine infinita, e che adesso difendo strenuamente ogni volta che posso e ne ho l’occasione: l’essere donna, al di là di ogni pregiudizio e di ogni stantia retorica, la femminilità autentica, profonda, che ha radici nell’anima e nel vissuto individuale, non corrotta, non banalizzata da idee distorte provenienti dai media, televisione in primis, ma non solo. Per una volta la colpa non è tutta solo della vecchia amata e odiata, ma sempre presente, tivvù, coi suoi deprimenti programmi, le sue proposte culturali pari a nulla, i suoi esempi negativi, banali e artefatti. Soprattutto per quel che riguarda la donna, il suo ruolo e i significati, quasi sempre univoci, ed equivoci, dati ad una femminilità che è solo di facciata, umiliante. Una femminilità fatta di lustrini, e corpi sodi seminudi, e ammiccamenti, e belle facce truccate dalle espressioni tutte uguali, ferme su smorfie accondiscendenti. Femminilità da soprammobile. Bellezza in serie che chiede solo di essere ammirata, mai ascoltata. O capita. Tantomeno stimata per qualcosa di più di un paio di belle gambe, o di un seno prospero, di un corpo perfetto ma inerme. Vistoso ma inutile ornamento a nascondere il niente.

Non è colpa della televisione, nè del cinema, nè di ogni altro mezzo di comunicazione di massa, che, in fondo, non fa altro che veicolare e farsi portavoce di modelli, schemi comportamentali e archetipi già esistenti, e non da poco. Dietro la velina, dietro l’ondeggiante danzatrice dalla bocca tappata, così come dietro la dolce “ragazza della porta accanto”, miss-fidanzatina ideale di tutti, ci sono determinate concezioni, visioni della donna, delle sue funzioni, molte volte limitate, che non sono nate adesso. E che proprio per questo, anche per questo, sono difficili da estirpare e cancellare via una volta per tutte.

Di questi pregiudizi, ve ne è uno, all’apparenza frivolo, ma che in realtà è causa di malesseri, azzeramento dell’autostima e tentativi di emulazione destinati a fallire, per non parlare delle interne lotte e scissioni tra corpo e cervello, sensi e intelletto, libri e rossetti. Il frivolo all’apparenza, viscido e tormentoso in verità, pregiudizio che vuole che la donna o è bella e stupida, o è intelligente e poco piacente, per usare un eufemismo. O è dotata di gradevoli sembianze, ma carente di neuroni e personalità, o sarà in grado di recitare la Divina Commedia a memoria, risolvere un’equazione, sostenere decentemente una conversazione semi-seria e avere abbastanza spirito e convinzioni da portare avanti, ma esser priva, per disgrazia sua, di bel corpo e visino seducente. Non sia mai che la semidea dal fisico armonioso e dai lineamenti perfetti possa essere capace di aprire un libro e capirne il significato, o sappia usare il prezioso dono della parola per parlare di qualcosa di più sostanzioso dello shopping, o dell’ultima moda in fatto di trucchi, o di chissà quale altra diavoleria futile che, per carità, ci sta tutta, è un’arte saper alternare seriosità e stronzate, ma ci vuole dell’altro, appunto.

E poi rifletto, e penso che la prima a cadere in simili errori sono io; io a non prendere troppo sul serio la velinonza di turno che si prende la laurea; io a ridere tra me e me della ragazzina glitterata il cui scopo principale è far colpo sul bulletto-galletto; io a denigrare e commiserare quasi le mie coetanee che sperperano il tempo e il denaro in smalti e vestiti, che preferiscono l’estetista alla biblioteca, che investendo troppo sul corpo, mettono da parte il resto, troppo centrate sul guscio, dimenticano di riempirlo. Ma allo stesso modo mi arrabbio, e impreco, per quelle altre estremiste intellettualizzate che rifiutano in blocco ogni fascino, ogni seduzione, ogni vezzo e vanità, e sprecano e buttano al vento occhi vivi ed espressivi nascosti dietro lenti appannate dallo studio feroce, chiome lucenti tenute a bada e legate con pudore di suora, corpi mortificati da anonime ampie vesti e forme tenute nascoste, orgoglioso tentativo di ribellione, voglia di affermare che c’è dell’altro, e che quello si è scelto.     E pazienza se si è sacrificato dell’altro.

Ma non è necessario, è questo il punto. E’ sempre odioso cadere negli estremi, anche, e più che mai, in questo caso. Quello che è necessario, invece, è coltivare la femminilità, nutrire e far crescere in toto i propri talenti, tutti quanti, non uno soltanto a discapito degli altri. Curare il corpo, ma anche l’intelletto, e soprattutto l’anima. Mens sana in corpore sano. E non c’è niente di più bello, e femminile, di una donna che si conosce, si apprezza e si ama tutta, per il suo ingegno come per la sua amabilità, per la fredda intelligenza e per la calda sensualità, e che di sè non avrà tralasciato niente. Una simile luce interna non può non trasparire all’esterno, e rendere dolci e piacevoli le più dure fattezze. Una bellezza che non ha niente a che vedere con l’eppur innegabile gradevolezza di acerbe veline e stelline senza splendore.

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