I vecchi e i giovani (non ci sono più i nonnetti di una volta)

Ebbene sì, è ufficiale: di questi tempi, essere giovani – ovvero, in Italia, avere meno di 95 anni- è un’impresa, una maledizione, una condanna quasi. Uno stato deficitario da bere in un sorso e da cui uscire al più presto, salvo poi volerci ritornare a sipario quasi calato, patetici interpreti di un ruolo non consono che ci si ostina a portare avanti, grottesca maschera che non si vuole abbandonare. E se fosse sul serio una maledizione, la maledizione di chi, non più nel fiore degli anni e prossimo ormai ad uscire di scena, gettando il suo occhio colmo di invidia su chi a quel palco si affaccia, gli avvelena gli anni che dovrebbero seriamente essere i più belli, i più formativi e costruttivi, e al contempo gli sbarra il passo e gli pone di fronte ostacoli così duri da superare da rimpiangere quasi di esser così freschi e immaturi? Perché qua i ruoli son cambiati, il copione tutto da riscrivere, e tutti abbiam perso la bussola: e ti vedi dodicenni che hanno fretta di crescere e le madri, le zie, le nonne, che fan finta di avere ancora vent’anni; senti di quarantenni ben pasciuti e adulti a tutti gli effetti che vengono ancora definiti “ragazzi”; e assisti al macabro, patetico spettacolo di fin troppo arzilli vecchietti che, allo sbando e forse impauriti per il tempo che passa, presi al laccio e abbagliati dalla becera volgarità che è ormai la norma, rinunciano al loro ruolo di saggi depositari di ancestrale saggezza ed esperienza di vita generosamente elargita con la sola, impassibile e calma presenza, si fanno sbiadita fotocopia degli adolescenti, allo sbando pure loro. Solo con molte più rughe e il mal di schiena.

Giovanilismo viene chiamato questo strano fenomeno di inversione e fraintendimento di ruoli, questo voler essere a tutti i costi quel che non si è più. Tra le altre sue manifestazioni, l’inquietante e subdola figura del “genitore amico”, che coi figli ci parla, mica dà regole, e che sempre, ovunque e comunque, è il dialogo che cerca, è la confidenza del pargolo che ambisce ad ottenere, non il rispetto. C’è poi il professore che, per essere “figo” e in linea con le aspettative della classe scapestrata, si rolla una canna insieme agli alunni e commenta con loro l’ultimo reality, inframmezzando magari con qualche rivelazione sulle sue esperienze sessuali, passate e non, e – se è una prof giovane e piacente abbastanza- magari ci scappa pure il video porno-soft di spogliarelli e palpatine generose da mettere in rete a gloria futura e perenne. Strano fenomeno sul serio: perché, dietro la facciata del “volemose bene”, dell’amichevole rapporto alla pari e dello stucchevole tentativo di voler andare incontro ai figli, ai nipoti, agli allievi, ai più giovani insomma, si nasconde in realtà un disprezzo, un’invidia per quei volti lisci e non ancora segnati dal tempo, per quelle schiene forti e quella vitalità pronta ad esplodere, per quegli occhi bramosi di mondo su cui ancora non sono passate le scure nubi della disillusione e della maturità che uccide.

O forse è solo confusione, incertezza, paura, il non sapere più come muoversi, cosa fare e cercare, cosa realizzare, in un mondo che di certo e di sicuro, di concreto e significativo, non ha più niente. Buone intenzioni, reale interessamento e sincera voglia di capire, di comprendere l’universo caotico e ribelle di chi si affaccia alla vita e inizia a muoversi da solo, destinate ad andare in fumo perché è questo, che si vede ovunque: fumo, fumo negli occhi che impedisce di scorgere un solo obiettivo degno di essere raggiunto e verso il quale condurre chi ha meno esperienza, ma altrettanto entusiasmo. Basta restare aggrappati alla propria sudata poltrona, ai propri obiettivi piccini con fatica raggiunti, e poco male se l’età delle grandi possibilità, delle realizzazioni grandiose, grandiose perché piene di slancio, grandiose anche se imperfette, viene sprecata tra stage e lamentele e disillusione precoce. E poca o niente voglia di lottare per qualcosa di più che non sia la prospettiva di ingrassarci ed esserci noi, su quella poltrona, un giorno. Per restarci a nostra volta tenacemente abbarbicati.

E’ lo scontro, la guerra tra giovani e vecchi, che ci si prospetta? Non bastava quella tra uomini e donne? Non bastano tutti i conflitti che scoppiano ovunque e tra chiunque? Chi vincerà? Ai posteri l’ardua sentenza.

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