L’Antimafia, come la speranza, non ha colore

Silenzio nella stanza, sette sedie in circolo, come quando gli alcolisti si incontrano per condividere i propri progressi, per uscire dal tunnel della dipendenza. E anche qui c’è un tunnel. Il tunnel di una città caldissima e piena di problemi. Ma come ben sai, lettore, ogni tunnel ha un’uscita, una luce. La luce di una città bellissima e piena di speranze. E, come ben sai, lettore, la speranza ha un colore che non è di destra e non è di sinistra. E’ speranza, e basta.

Si alza Fabrizio e inizia a mezza voce:

Vivo a Palermo, capoluogo della Sicilia. Città famosissima per i luoghi comuni sulla mafia, sull’omertà dei cittadini, omi i panza, sulle donne chiuse in casa chi unn’a fari e diri nenti. Famosa per vari fatti ed eventi negativi che rimangono stampati nel cervello. Difficile renderla famosa per tutto il resto delle cose, dei fatti e degli aneddoti, dei luoghi e stralci vari di cultura che ha da offrire. E ancora purtroppo famosa per le infrastrutture e i servizi pubblici che spesso funzionano male o sono inesistenti. Famosa, famosissima, per i fatti di cronaca nera, per i “mortiammazzati” dalle stragi di stampo mafioso a cominciare dagli anni ’10 per finire agli anni ’90.
Io sono nato a Palermo ma per molte cose negative non sono né mi sento palermitano.

Però per altre sì, io sono palermitano, eccome.

Sono palermitano quando esporto la mia cultura, il bello della mia città e il buono che mi capita raramente di trovare dentro gli animi della bella gente che vive qui con me, perché se è vero che Palermo è fatta a metà, tu puoi finire l’opera iniziata sia nella città che in te stesso.

Fabrizio tace, guarda gli altri, sorride, e si siede. Si alza Valentina, vestita di nero, incazzata nera, e nel silenzio dice a gran voce:

Paolo e Giovanni, Palermo non merita il vostro sacrificio!

Due statue di gesso, simboli di legalità che, per l’ennesima volta, l’organismo di questa invivibile

città, divorata da innumerevoli tumori, ha rigettato. Nessuno ha visto niente

nella CENTRALISSIMA via Libertà. Alla luce del sole, la gente passa accanto

alle statue divelte, fotografa e mostra ghigni di sdegno. Il mondo politico, il

viscido Schifani, il pluribaffuto Lombardo, condannano il gesto. L’ipocrisia è

l’unica cosa che rende viva questa città.

Paolo e Giovanni sono morti. Ma questo non basta, i simboli che li ricordano

devono morire con loro. Nelle giornate in cui si commemora la strage di via

D’Amelio, qualcuno DI SICURO ha visto. Nessuno parla. Parlare non è più di

moda.

Vandalismo o attacco mafioso, Palermo forse avrebbe preferito un monumento

equestre del Nano di Mediaset, oppure due statue di Riina e Provenzano che si

spulciano a vicenda.

Vergognati, città per la mafia.

Valentina respira, si calma, con timidezza aggiunge “ho finito”, e torna a sedersi. Manuela risponde:

Me lo ricordo ancora, il botto, a così poca distanza dalla mia cameretta di giochi di plastica rosa. Oppure era solo l’odore di bruciato, non so. Avevamo tutti molta paura, poi è arrivata la vergogna. La vergogna di essere siciliani, palermitani, che era come dire: mafiosi!

E invece no, non è così che deve essere: Palermo è la capitale della Mafia? Qualcuno forse lo crede. Ma qualcun altro ha detto che è anche la capitale dell’Antimafia. Dovremmo vergognarci della nostra vergogna, ecco.

Si alza Andrea, e con voce composta parla in versi dalla metrica libera:

Scoppia un palloncino,

Duetrecce invece in un pianto:

i vetri tremano ancora, mentre tutto il resto tace

la voragine è un quadro stinto, sordo e muto

di persone come formiche, fumo e odor di brace

è la vita, questo è il suo benvenuto

Ti si è mostrata senza veli e troppo presto

nei suoi chiaroscuri di vita e di morte

mentre giocavi in quel giorno di luglio funesto

Poi Noemi, con espressione tra il preoccupato e l’adirato, aggiunge con voce timida ma via via più ferma:

Siamo un paese unto e melmoso di mafia. Una mafia con le mani in pasta ovunque, una mafia che è diventata nel tempo un soggetto talmente forte e autorevole da impegnare i poteri istituzionali in una trattativa che ha il sapore della politica collusa, corrotta; di qualunque colore partitico essa sia.

I corleonesi hanno dato l’input, lo Stato Italiano lo ha raccolto.

L’input sono stati i morti del ’92/’93: stragi su stragi pagate con vite umane*, stragi attraverso cui Cosa Nostra ha braccato lo Stato per (ri)occuparne le istituzioni (già traballanti dopo Tangentopoli e il crollo dei partiti tradizionali), stragi tramite cui lo ha ingabbiato e nutrito di carne morta. Che Lui ha mangiato.

Si alza un brusio dalla platea, ma cosa sono queste stragi? Noemi sicura continua:

Cosa rappresentarono queste stragi oggi lo sappiamo: uno stuzzichino sanguinolento offerto dai vertici mafiosi all’opinione pubblica per dimostrare il proprio potere. Un “progetto aperto” di attacco militare a obiettivi di elevato valore simbolico-rappresentativo per realizzare i famosi diktat di Riina. Un disegno politico-eversivo volto a indurre un ricambio istituzionale, ovvero a liquidare i precedenti referenti politico-economici di Cosa Nostra, ormai insoddisfacenti (…un certo Andreotti), e ad individuarne di più compiacenti (…una certa Forza Italia?).

E chi sono queste vittime? (si alza una voce da un angolo) e lei alza la voce e quasi urla:

Giovanni Falcone! Francesca Morvillo! Vito Schifani! Rocco Dicillo! Antonio Montinaro! Paolo Borsellino! Emanuela Loi! Agostino Catalano! Vincenzo Li Muli! Walter Eddie Cosina! Claudio Traina! Caterina Nencioni, al mondo da meno di due mesi! Nadia Nencioni, che aveva solo nove anni! Dario Capolicchio! Angela Fiume! Fabrizio Nencioni! E poi quasi cinquanta persone ferite in via dei Gergofili a Firenze! Carlo La Catena! Sergio Pasotto! Stefano Picerno! Alessandro Ferrari! Moussafir Driss! E poi due autobombe esplosero a Roma, in piazza San Giovanni in Laterano e davanti alla chiesa di San Giorgio al Velabro, provocando una decina di feriti.

Ancora brusio tra le sedie, e oggi? Noemi risponde:

E oggi? Quale eredità hanno lasciato all’Italia le vittime sacrificali del ’92-”93? Il silenzio? Misteri come la scomparsa ancora inspiegabile dell’agenda rossa di Borsellino? La nuova P3 di cui si parla ultimamente? …Solo fumo post-tritolo.

(Silenzio)

Di fronte a questa immobilità o, per meglio dire, recidività, non bastano più i soliti rituali commemorativi a base di cortei, fiori, stornelli, applausi e commozione. Perché sono quasi stracci per pulirsi la coscienza di una seconda repubblica che segue in tutto e per tutto alla prima.

Non ci resta che attendere le nuove vittime. Di stato.

Abbassano tutti lo sguardo, silenzio, ancora. Prende la parola Michele e inizia a raccontare:

Quando ero più piccolo, mi chiedevo sempre perché si ricordassero le stragi del ’92 il 23 maggio, per l’anniversario della morte di Falcone, e non a luglio, per la morte di Borsellino, per esempio. Credevo inizialmente che il primo fosse più importante dell’altro. Pensavo che fosse comunque giusto cercare una sola data simbolica, magari a metà tra le due stragi, per ricordarli insieme, salvaguardando la dignità di entrambi.

Crescendo, però, notavo che il contributo di Borsellino nella storia dell’antimafia era assolutamente pari a quello del suo collega Falcone e credetti che la maggiore importanza data al primo fosse solo pratica perché a luglio ci sono le vacanze e non c’è verso di ricordare.

Purtroppo non è neanche così, e il motivo vero è un altro: Borsellino era di destra mentre il popolo dell’antimafia è essenzialmente di sinistra.

Questa scoperta non mi ha portato alla considerazione che Borsellino fosse meno valente del buon Falcone, ma che bisogna essere critici nel confronto con i propri interlocutori indipendentemente dalla loro appartenenza politica: potrebbe essere un eroe nonostante non abbia sposato la tua stessa ideologia, oppure un ipocrita che dice di appoggiarla.

Manuela annuisce, e dice:

Sì, hai ragione. Mi fa ridere che ci siano due cortei, uno di destra, uno di sinistra, per commemorare un uomo che ha dato la sua vita per una città, o per una nazione, senza chiedersi se i cittadini per i quali lavorava erano di destra o di sinistra. Mi fa ridere che al corteo per la memoria di Borsellino non ci siano le stesse persone che partecipano a quello per la commemorazione di Falcone, e viceversa, come se l’ideologia possa stabilire a priori la validità di una persona, o come se la Mafia che li ha uccisi sia diversa. Sono vittime dello stesso delitto, e sono due volte uccisi se non siamo uniti noi per primi, se non usciamo da queste logiche di partito, per stupidi orgogni infantili, se pretendiamo, insomma, di dare un colore all’Antimafia, che, per intenderci, è come la speranza: non è rossa e non è nera. Non è di destra, né di sinistra. E’ speranza, e basta.

Manuela si siede, si alza Gaspare e conclude l’incontro con una poesia, recitata con passione, a voce sostenuta:

Sbang Bum Ratatà!

I neonati piangono.

Hai sentito che è successo?

Ho sentito un botto tremendo.

Dov’è mia figlia?

Fortunatamente è a giocare qui sotto in cortile.

Accendi la tv.

Mio dio…

I frammenti di carne si liberarono dal corpo

volteggiarono nell’aria e caddero a terra come foglie

rosse, autunnali.

Ma era d’estate e il gran botto ferì il cemento e l’asfalto,

i cuori di pietra ritornarono ripieni di sangue

e i bambini all’asilo pregarono con le maestre

perchè quelle foglie cadute ritornassero

dolcemente su un bellissimo albero verde

pieno di frutti.

Come le fragole, le albicocche:

Profumo buono di libertà.

Libertà, dice, sorridendo, e le luci si spengono. Oggi è il 19 luglio 2010 e noi ricordiamo semplicemente un uomo (due uomini! Tanti uomini!) valorosi, cercando di essere all’altezza di questo nostro ricordare.

One thought on “L’Antimafia, come la speranza, non ha colore

  1. Bellissime commistioni.
    Oggi ho visto quei luoghi in cui anche un solo uomo e` stato capace di lottare senza colori per ottenere e onorare la liberta`. (`chi salva una vita, salva il mondo intero`.)

    Noi a modo nostro salviamo qualcosa.

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