Sacro e profano

Nella vita di tutti i giorni, può succedere che qualcosa attiri la nostra attenzione, che ci porti fuori dalla nostra dimensione, per risucchiarci in un vortice di congetture.

Qualche domenica fa, camminavo tranquilla per la mia strada, quando ho visto un fiume umano dirigersi dietro l’angolo, così incuriosita decido di vedere dove stessero andando. Bene, era un gruppo di preghiera che si stava recando in chiesa. Dopo un attimo di esitazione penso che magari potrei entrare a dare un’occhiata. Così, un po’ titubante inizio a salire, gradino dopo gradino, su per la scala che conduce all’ingresso, mi assicuro che non ci sia un peccato-detector ed entro.

Profumo d’incenso, pellicce, gente in ginocchio che prega sinceramente senza preoccuparsi del contorno, scout, bambini freschi di catechismo, e ragazzi che suonano la chitarra a tutta forza.

Era dalla prima comunione che non mettevo piede in una chiesa, e devo dire che il mio sguardo sulle cose è un po’ cambiato. All’età di otto anni, mi ricordo che andavo in chiesa, perché lì c’erano i miei compagni nonché miei amici, oggi rientrando, ho pensato a quante cose, quante intenzioni differenti vi siano all’interno di un solo luogo.

Così, provo a sedermi, ed effettivamente ci riesco senza neanche troppi traumi; il prete è sempre lì, dove me lo ricordavo, i bambini alla sua destra, ed io tra gli altri seduta sulle panche che vi sono lungo la navata.

Accanto a me,  due signore belle panciute si raccontano gli ultimi pettegolezzi del palazzo, dall’altro lato una vecchietta che mi guarda e mi sorride, dopo di che, mi fa un segno con le mani per farmi capire che è il momento in cui ci si alza, così le ricambio il sorriso e partecipo alla coreografia. Una volta riseduta continuo a guardarmi intorno, e sempre più, dall’abbigliamento della maggior parte della gente o da quello che dicono, mi rendo conto che lì dentro in pochi stanno realmente compiendo una sentita beatificazione della festa.

In me si è insinuato il pensiero che, in realtà, per qualcuno all’interno di quella chiesa si stesse semplicemente celebrando un rito sociale, un rito in cui si mostra il posto sociale che si occupa.

Una cerimonia sociale, una spiritualità che ha molto a che fare con la dimensione terrena, con una manifestazione del corpo, più che dello spirito.

Ovviamente non tutti rientrano in questa cerimonia, alcune persone erano davvero intente nella loro preghiera, magari un po’ più defilati, ma li ho visti pregare ad occhi chiusi, rivolgere il loro sguardo verso il crocifisso con immensa pietà e dolore.

La Chiesa, la dimensione terrena e sociale, di certo non era una cosa nuova per me, ma adesso ho capito come può funzionare. Molti mafiosi, hanno interrotto la loro latitanza in occasione di particolari ed importanti eventi liturgici, sempre in prima fila, perché è quello il posto che nella società volevano occupare. E lì, a mostrarlo a tutti.

In molte feste di paese, su colui che si occupa della preparazione del banchetto, o della preparazione della festa, è riversata ammirazione e stima, chi si incarica di preparare tutto si mostra al paese come ricco, socialmente superiore a chi verrà a mangiare alla sua tavola. I poveri, non sono lì a mangiare per sfamarsi, ma per saziare l’ego di chi si vuole affermare socialmente.

I riti della chiesa, sono così terreni, così legati alla dimensione sociale, da essere entrati a far parte del rito di ingresso nelle società mafiose, sacro e profano, due modi di guardare una stessa cosa.

La donna accanto a me, quella del sorriso, mi tira fuori dai miei pensieri con un gesto di pace, le stringo la mano e mi giro per darla alle persone alla mia sinistra. Sono tutti impegnati a stringere più mani possibili, lo trovo interessante come momento, curioso nel suo essere pacifico, chissà in quanti penseranno al reale significato del gesto di pace, di accoglienza, nel fervore delle strette spero che l’ impeto sia reale.

Arriva la benedizione finale, chino il capo, e sono pronta e benedetta per continuare la mia giornata fuori da quel luogo. In fila mi avvio all’uscita e assisto ad una scena che mi lascia indignata, la donna con i gioielli che occupava il posto accanto al mio, a sinistra, scansa bruscamente una zingara che all’ uscita chiede l’elemosina e con una faccia un po’ disgustata le dice di levarsi. Ma come? Non ci posso credere, dov’è finito il segno di pace, la carità, dov’è l’ostia che qualche minuto fa hai ingerito?

Nella vita di tutti i giorni, può succedere che qualcosa attiri la nostra attenzione, che ci porti fuori dalla nostra dimensione per risucchiarci in un vortice di congetture.

Qualche domenica fa, camminavo tranquilla per la mia strada, quando ho visto un fiume umano dirigersi dietro l’angolo, così incuriosita decisi di vedere dove stessero andando, bene, era un gruppo di preghiera che si stava recando in chiesa. Dopo un attimo di esitazione pensai che magari sarei potuta entrare a dare un’occhiata. Così, un po’ titubante inizio a salire, gradino dopo gradino, su per la scala che conduce all’ingresso, mi assicuro che non ci sia un peccato detector ed entro.

Profumo d’incenso, pellicce, gente in ginocchio che prega sinceramente senza preoccuparsi del contorno, scout, bambini freschi di catechismo, e ragazzi che suonano la chitarra a tutta forza.

Era dalla prima comunione che non mettevo piede in una chiesa, e devo dire che il mio sguardo sulle cose e un po’ cambiato. All’età di otto anni, mi ricordo che andavo in chiesa, perché lì c’erano i miei compagni nonché, miei amici, oggi rientrando, ho pensato a quante cose, quante intensioni differenti vi siano all’interno di un solo luogo.

Così, provai a sedermi, ed effettivamente ci sono riuscita, senza neanche troppi traumi, il prete era sempre lì, dove me lo ricordavo, i bambini alla sua destra, ed io tra gli altri seduta nelle panche che vi sono lungo la navata.

Accanto a me, c’erano due signore belle panciute che si raccontavano gli ultimi pettegolezzi del palazzo, dall’altro lato una vecchietta che mi guarda e mi sorride, dopo di che, mi fa un segno con le mani per farmi capire che è il momento in cui ci si alza, così le ricambio il sorriso e partecipo alla coreografia. Una volta riseduta continuo a guardarmi intorno, e sempre più, dall’abbigliamento della maggior parte della gente o da quello che dicevano, mi rendevo conto che lì dentro in pochi stavano realmente compiendo una sentita beatificazione della festa.

In me si è insinuato il pensiero che in realtà, per qualcuno all’interno di quella chiesa si stesse semplicemente celebrando un rito sociale, un rito in cui si mostra il posto sociale che si occupa.

Una cerimonia sociale, una spiritualità che ha molto a che fare con la dimensione terrena, con una manifestazione del corpo, più che dello spirito.

Ovviamente non tutti rientrano in questa cerimonia, alcune persone erano davvero intente nella loro preghiera, magari un po’ più defilati, ma li ho visti pregare ad occhi chiusi, rivolgere il loro sguardo verso il crocifisso con immensa pietà e dolore.

La chiesa, la dimensione terrena e sociale, di certo non era una cosa nuova per me, ma adesso avevo capito come poteva funzionare. Molti mafiosi, hanno interrotto la loro latitanza in occasione di particolari ed importanti eventi liturgici, sempre in prima fila, perché è quello il posto che nella società volevano occupare. E lì, a mostrarlo a tutti.

In molte feste di paese, su colui che si occupa della preparazione del banchetto, o della preparazione della festa, è riversata ammirazione e stima, chi si incarica di preparare tutto si mostra al paese come ricco, socialmente superiore a chi verrà a mangiare alla sua tavola. I poveri, non sono lì a mangiare per sfamarsi, ma per saziare l’ego di chi si vuole affermare socialmente.

I riti della chiesa, sono così terreni, così legati alla dimensione sociale, da essere entrati a far parte del rito di ingresso nelle società mafiose, sacro e profano, due modi di guardare una stessa cosa.

La donna accanto a me, quella del sorriso, mi tira fuori dai miei pensieri con un gesto di pace, le stringo la mano e mi giro per darla alle persone alla mia sinistra. Sono tutti impegnati a stringere più mani possibili, lo trovo interessante come momento, curioso nel suo essere pacifico, chissà in quanti penseranno al reale significato del gesto di pace, di accoglienza, nel fervore delle strette spero che l’ impeto sia reale.

Arriva la benedizione finale, chino il capo, e sono pronta e benedetta per continuare la mia giornata fuori da quel luogo. In fila mi avvio all’uscita e assisto ad una scena che mi lascia indignata, la donna con i gioielli che occupava il posto accanto a la mio, a sinistra, scansa bruscamente una zingara che all’ uscita chiede l’elemosina e con una faccia un po’ disgustata le dice di levarsi. Ma come? Non ci posso credere, dov’è finito il segno di pace, la carità, dov’è l’ostia che qualche minuto fa hai ingerito?.

3 thoughts on “Sacro e profano

  1. “non mi è piaciuto che fosse andato a infilarsi in una famiglia di cattolici, col suo matrimonio… Dico cattolici per modo di dire, mai conosciuto in vita mia, qui, un cattolico vero: e sto per compiere novantadue anni… C’è gente che in vita sua ha mangiato magari una mezza salma di grano maiorchino fatto ad ostie: ed è sempre pronta a mettere la mano nella tasca degli altri, a tirare un calcio alla faccia di un moribondo e un colpo a lupara alle reni di uno in buona salute…” (Sciascia – A ciascuno il suo)

    Non credo sia solo un’ostentazione del proprio ruolo sociale nel gruppo, è qualcosa di più profondo e animalesco.
    E’ l’ostentazione della stessa esistenza del gruppo…più profondo della morale e dell’etica o della riflessione, così profondo da esserne indipendente.

    La pratica del culto è molto più importante della conoscenza della dottrina, non siamo molto lontani dalle religioni arcaiche con pratiche definite e significati sfumati su cui non ci si sofferma troppo, la maggior parte dei cosiddetti cattolici ha conoscenze teologiche decisamente limitate e la chiesa non si è mai preoccupata di rendere coerente il culto alla dottrina, altrimenti non si venererebbero i santi per esempio ( ammettendo di poter trovare coerenza nella dottrina cattolica…)

    Il rituale del culto conferma all’uomo l’esistenza del gruppo sociale e lo rafforza, per questo tutte le religioni tendono ad essere socialmente reazionarie ( la chiesa cattolica lo è anche per politica, non solo per indole)

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