Nourredine Adnane

Si faceva chiamare Franco, perché pronunciare il nome di questi marocchini per noi è troppo complicato, e così ci aiutano scegliendosi un nome più semplice, e italiano; e giustamente se uno si chiama Yusuf, noi lo chiamiamo Giuseppe. Lui si chiamava Nourredine Adnane e aveva 27 anni, la mia stessa età. Dico “aveva” perché Nourredine Adnane è morto la settimana scorsa a causa delle ustioni riportate sul suo corpo, quelle stesse ustioni che si è procurato da solo gettandosi addosso della benzina e dandosi fuoco dopo l’ennesimo controllo da parte dei vigili. Nourredine Adnane era un ragazzo marocchino, con regolare permesso di soggiorno, che per sopravvivere e guadagnare qualcosa da mandare alla moglie e alla figlia faceva il venditore ambulante in via Basile, ovviamente con regolare licenza. Chissà quanti di noi avranno incrociato il suo sguardo migliaia di volte passando davanti alla sua bancarella, quasi senza nemmeno accorgersene. Oggi conosciamo il suo viso, i suoi occhi e ce li ricorderemo a lungo, o almeno mi auguro che sia così per molti di noi. Ce li ricorderemo perché Nourredine Adnane è l’ennesima vittima di una società profondamente malata, dove a pagare i conti sono sempre e soltanto i più deboli. Una società in cui un presidente puttaniere è ancora al capo del governo, una società in cui la corruzione regna sovrana in qualsiasi angolo recondito, mentre a un povero ragazzo viene sequestrata la merce per l’ennesima volta solo per aver sostato del tempo in più rispetto all’ora prevista dalla licenza. E’ più facile prendersela con gli stranieri, sono un bersaglio più semplice da colpire. E non è difficile che ti capiti durante una passeggiata in centro di essere travolto dagli stranieri che scappano perché sta arrivando la polizia. Chiaro, meglio prendersela con loro che non si lamentano mai e anche se lo fanno nessuno li ascolta, perché chi deve credergli? sono solo dei poveri ambulanti stranieri. Mai che veda, non una sola volta, la polizia prendersela con quelli come noi, sì quelli di razza bianca e siciliani come noi, quelli che lo scontrino non te lo fanno nemmeno dentro al negozio, che se te lo fanno è la metà di quanto hai pagato, che ti fanno pagare meno pur di non pagare l’Iva. No, a loro nessuno dice niente, nessuno gli rompe le palle, altrimenti come potrebbero arricchirsi e farsi il Suv o la villetta con piscina? A farne le spese è giusto che siano i più poveri, i più socialmente indifesi, quelli che stanno tutto il giorno in mezzo alla strada per guadagnare 20-30 euro da mandare a casa per mantenere la famiglia.

I suoi amici, la sua famiglia urlano “giustizia! basta razzismo!”. Lo urlano con rabbia, lo urlano forte. Sono stanchi di essere continuamente sottomessi, di non essere considerati mai.  Urlano Nourredine, Nourredine, Nourredine, quasi che questo potesse riportarlo in vita, fra di loro. Parlano un’altra lingua, ma i loro occhi esprimono lo stesso dolore che ho visto già troppe volte intorno a me. Leggo questa frase: “Noureddine è morto ma la nostra società, tutta, è stata sconfitta ancora una volta. La democrazia, la libertà, i diritti civili muoiono davanti ad accadimenti del genere”.* La leggo e penso che sempre più spesso mi capita di sentirmi schiacciata, soffocata, delusa da una società che mi ha insegnato la tolleranza e la solidarietà e che invece, adesso, mi mostra il suo lato più brutale: quello della vittoria dei più forti sui più deboli. Forse è così che funziona, da sempre. Una selezione sociale,e non più naturale, dove il più forte è quello più ricco, più furbo e astuto, che trova sempre il modo per farla franca e fregare il più debole, quello povero, che deve faticare per sopravvivere. Non posso fare a meno di pensare che Noureddine avesse la mia età, ma poteva anche averne di meno o di più, di anni, non avrebbe fatto differenza. Però che sia vivo o morto, quello sì che fa differenza.

*da un articolo di Rossella Puccio

One thought on “Nourredine Adnane

  1. Ci siamo ritrovati in mezzo alla manifestazione organizzata una settimana e mezzo fa. Siciliani e stranieri assieme. Urlavano in maniera pacifica no al razzismo, e libertà.
    Tanta, tanta commozione.

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