A sud dei nostri pensieri: Afriche e genocidi di serie B

Costa d’Avorio. Un nome che suona come una promessa di bellezze, di bianche spiagge incontaminate, musiche dolci e ritmate, popoli pacifici che si beano delle meraviglie tra le quali vivono, essendo loro stessi una delle meraviglie. Niente di più diverso dal destino sanguinoso di questa nazione, ex-colonia francese, attualmente vittima di una guerra civile tra eserciti paramilitari schierati con due presidenti, entrambi vincitori alle ultime elezioni.

Non so perché vi racconto questa storia. Probabilmente, dato che per ora i notiziari sono tutti presi dagli scandali del nostro presidente, e dei suoi dis-onorevoli colleghi, non importa a nessuno di quello che succede in Africa. Probabilmente l’italiano medio preferisce sapere come farà l’Italia a liberarsi dal pericolo dell’invasione barbarica, sperando che la soluzione ultima sia respingere fisicamente tutto il Sud Italia, che tanto terroni o extracomunitari non fa differenza. Tunisini o marocchini o palermitani, all’Italiano medio fanno schifo uguale.

Bene, forse è per questo che mi interessa quello che sta succedendo in Africa, forse è perché a volte mi sento più africana che italiana, e non come risposta al razzismo ottuso di alcuni miei connazionali, e non per l’ignoranza dilagante dei miei rappresentanti in Parlamento, e non solo per i costumi del mio (?) Presidente del Consiglio. Sarà che mi sento più vicina a quello spirito di ribellione che sta animando alcuni popoli d’oltremare, che non hanno paura di sfidare una dittatura violenta, che rischiano la vita, la propria e quella dei propri cari, in nome di idee, libertà, speranza, uguaglianza, che sembrano astratte finché non diventano pane, aria, lavoro, istruzione, che sono, al contrario, cose concrete, senza le quali non si vive. Sarà questo, assieme all’aver sentito le loro voci cantare, sarà che quando vado a Ballarò, alcune sere cucinano delle pietanze mai viste che profumano di buono, e se li guardo mi sorridono toccando delle corde del mio animo che pensavo che non esistessero. Sarà che, secondo me, l’Africa è il continente della vita vera, del colore, della cultura, del canto, della letteratura. Sarà che è una terra vastissima, e piena di popoli diversi tra loro, lontanissimi, e noi siamo così poco inclini alla differenza, che per noi sono tutti uguali. Sarà che quello che non conosco mi parla, più di quello che conosco.

E quindi eccomi qui, vi dirò qualcosa, forse poco, di quello che succede adesso in Costa d’Avorio, e che non trova spazio nei nostri giornali. La Costa d’Avorio era una colonia francese, degli orrori del colonialismo si dovrebbe parlare in una sede opportuna, qui dirò soltanto che nei primi anni del Novecento la Francia si macchiò di genocidio nei confronti della popolazione ivoriana, che fu letteralmente decimata, riducendosi da un milione e mezzo di individui a circa centocinquantamila.

Nel 1960 ottengono l’indipendenza, e da quel momento si alternano 4 presidenti, l’ultimo dei quali è al centro di un colpo di stato di cui parleremo: Laurent Gbagbo, professore e poi preside della Facoltà di Lingue e Culture di Cocody-Abidjan, fondatore del Fronte Popolare Ivoriano, che nel 2000 viene formalmente sconfitto alle elezioni presidenziali, ma grazie ad una rivolta popolare viene comunque considerato presidente. Nel 2002 un colpo di stato ai suoi danni fallisce, e da allora inizia una guerra civile che si protrae praticamente fino ad ora, e che vede contrapposti i sostenitori di Gbagbo, affiancati dalle truppe governative, e i ribelli, che nel corso del tempo hanno conquistato il nord del Paese. Il governo francese ufficialmente cerca di far arrivare ad un accordo le due parti, proponendosi come mediatore, ma fonti indipendenti affermano che i ribelli sono stati supportati da mercenari francesi spinti dall’istanza destabilizzante contro il presidente, per infiltrarsi nel governo ivoriano, e gestirne alcune risorse economiche. A quanto pare, il presidente sarebbe stato difeso dai primi attacchi dei ribelli, da un esercito e da gruppi pacifici di studenti. Il mandato di Gbagbo, comunque, viene rinnovato nel 2005, col benestare delle Nazioni Unite, anche se la sua autorità risulta sempre più inficiata dalla guerra civile, tuttavia allo scadere del mandato il presidente rimane in carica, di anno in anno, a causa dell’impossibilità di organizzare delle elezioni durante la guerra.

Queste vengono comunque indette nell’ottobre del 2010 e vinte dal rivale di Gbagbo, Alassane Outtara, ma l’esito non viene riconosciuto dal presidente, che annulla il voto dei seggi del nord (circa il 13% dei votanti), risultando così vincitore. Da quel momento, Gbagbo si è asserragliato nel suo palazzo, scatenando una repressione violenta contro i ribelli, ribelli che, pare, siano sanguinari almeno quanto le truppe governative. Ecco, dunque, per sommi capi, cosa sta succedendo in Costa d’Avorio. La popolazione civile subisce violenze, attacchi, bombardamenti, rapine, in un regime di costante terrore. E Outtara, considerato presidente eletto regolarmente, speranza per questo Paese, potrebbe essersi macchiato di gravi crimini di guerra, senza contare che le truppe ribelli, con l’appoggio della Francia, hanno conquistato il Paese con la violenza, compiendo un massacro in alcune cittadine, tra le quali Duekoué, nella quale si stimano tra i 300 e gli 800 morti (dati forniti da ONG e Croce Rossa).

Pensiamo sempre che i crimini più gravi li abbiano compiuti quei nomi terribili, tedeschi solitamente, mezzo secolo fa, nei campi di concentramento, e ci chiediamo come sia possibile che la violenza non sia stata denunciata, ma ignorata, da un popolo che, adesso, ci sembra cieco, o forse muto, connivente, ingenuo, e così via. Non riusciamo ancora a dare una spiegazione a quello che successe in Germania, ma ci sentiamo feriti dalle immagini dei prigionieri, dei morti, uomini, donne, bambini e anziani. E fatalmente, continuiamo ad ignorare altre stragi, di uomini, donne, bambini e anziani, che, in un posto diverso, senza neve e in una lingua diversa, vengono comandati, assediati, controllati, forzati, violentati, picchiati, sottomessi, uccisi e tragicamente ignorati da più di un secolo. Ecco perché è un nostro dovere parlare di quello che sta succedendo a sud dei nostri pensieri, a sud dei nostri stupidi gossip, delle diete a zona, della prova costume. Conoscere, scambiarci informazioni, farci domande su cosa succede in quel continente che è più vicino di quanto non sembri, che parla di noi, che attraversa il mare su imbarcazioni pericolanti per chiederci aiuto.

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