Quale moralista, invece, condannerebbe mai l’affetto?

Mesi fa, dopo l’ennesima sparata sui gay del solito politico Burlone, ho ascoltato con piacere un rappresentante dei GayLib, associazione di gay e lesbiche di centro destra.

La persona in questione si diceva indignata dalla battuta e sconfortata che l’attuale classe liberale non li rappresenti nel modo adeguato. Ovviamente essere queer non impone categorie religiose o politiche, si può essere perfettamente queer cristiani e con idee liberali, però la cosa mi incuriosì e andai sul loro sito a cercare di capire quali fossero i loro punti fermi.

Al di là dei testi, una cosa però mi colpì: il termine “omoaffettivo” usato al posto di “omosessuale”.

I GayLib non sono quindi omosessuali? qual è la differenza tra i due termini? Essere liberale non significa essere cristiano o religioso, tanto meno conservatore, però i liberali di centro destra tradizionalmente portano avanti le loro lotte a fianco dei conservatori di destra, che a loro volta sono religiosi e contrari all’omosessualità.

Chi è gay e di destra allora deve trovare una formula più “politicamente corretta” di definire la sua sessualità qualora decidesse di svelarla al mondo.

Omoaffettività, dunque, è un termine “politicamente corretto” rispetto ad omosessualità, in quanto si da risalto al sentimenti di affetto tra le persone e non alla pratica sessuale. Il sesso è politicamente scorretto, in questo caso.

Il sesso è politicamente scorretto in quelle società governate dal pudore che si radica nella moralità tanto da convertire ogni spudorato in amorale. Sulla moralità ha ampio potere il potere della religione.

Il pudore in senso stretto è legato al corpo e alle pratiche fisiche, tra le quali il sesso, di cui bisognerebbe vergognarsi. Riflettendo sull’argomento, la vergogna del corpo nudo è una vergogna che è indipendente dal sesso e dalle pratiche sessuali. Chi è nudo allo sguardo altrui si deve vergognare (coprendo le parti intime chiamate a volte “le vergogne”), ma si vergogna anche chi vede un altro nudo.

Il senso del pudore di una persona lo si può quasi misurare in uno spogliatoio di palestra. Tutte persone dello stesso sesso, a seconda della loro educazione morale, si ritroveranno a camminare “spudoratamente” con le chiappe al vento dentro lo spogliatoio, mentre altri si vergogneranno a guardarlo e ancora sudati e senza essersi cambiati nemmeno la maglietta, si metteranno una giacchetta e se ne andranno in fretta.

In altre culture questo senso del pudore è più forte che nella nostra, in altre lo è meno e ciò non si misura con i centimetri quadrati di pelle scoperta, perché anche un certo modo di scoprirsi può essere considerata una coscienza del pudore proprio e altrui, e in un certo senso un giocare con esso.

Le popolazioni cosiddette primitive, che vivono con poche impalcature sovrastrutturali, si coprono a seconda della temperatura e non del pudore, ciò indica che il senso di vergogna non è originario dell’uomo, non fa parte della sua natura, ma di una sovrastruttura culturale che collega la nudità al sesso, sesso che anche se eterosessuale va moralizzato. Attraverso il dominio della sessualità un governo riesce a controllare il suo popolo, esattamente come fa con  la gestione degli altri suoi appetiti. Non è quindi per la conservazione della specie (le popolazioni aborigene vivono in stato primitivo e non si sono estinte) ma per la conservazione delle classi.

L’eterosessualità non può essere del tutto proibita perché necessaria alla procreazione, quindi nelle religioni più pudiche il sesso deve essere praticato solo per procreare, l’onanismo e altre pratiche sessuali legate al piacere devono essere condannate.
Così arriva la mia personale riflessione a intendere perché l’omosessualità è vergognosa, scorretta e da condannare, secondo alcune morali.

Quale moralista, invece, condannerebbe mai l’affetto? I GayLib quindi per essere più liberi nel loro ambiente preferiscono usare “omoaffettivo” anziché “omosessuale” solo per ipocrisia?
Il termine “omoaffettivo” ha un impatto, per quanto dedotto prima, più affabile per chi viene da culture di pudore ed esprime meglio l’umanità dell’amore tra persone dello stesso sesso al di là delle pratiche sessuali.
Non potendo abbattere il muro del pudore (anche i queer possono avere un grande senso del pudore, attenzione!), non sarebbe meglio usare il termine “omoaffettività” per aprire almeno una finestrella dalla quale comunicare?

3 thoughts on “Quale moralista, invece, condannerebbe mai l’affetto?

  1. Interessante, ma non condivido la prospettiva di usare “omoaffettività” per aprire una finestrella. Credo che nessuno voglia vietare l’affetto non eterosessuale, il punto è la possibilità di esternare questo affetto in pubblico, ad esempio, perché richiamerebbe quella sessualità inaccettabile che poi è il fulcro dell’omofobia. Il verò tabù della sessualità gay è la violazione del corpo dell’uomo, nell’unico punto che non deve essere violato, l’ano, violazione metaforica del corpo dello stato. Non a caso, alla sessualità gay è appioppata l’ombra del contagio (aids) che sarebbe la punizione diretta di quella violazione inaccettabile.

    Ecco perché non sono d’accordo con l’uso di omoaffettività come termine politicamente corretto, perché favorisce quella finta tolleranza del “possono fare quello che vogliono, ma a casa loro”. Semmai, i due termini dovrebbero andare insieme, proprio per esprimere le due sfere del rapporto omosessuale, quella della sessualità e quella dell’affettività, ma non ci sarebbe nemmeno bisogno, dato che quando ci definiamo eterosessuali non abbiamo bisogno di aggiungere “ed eteroaffettivi!”.

  2. Ciao,
    sono Enrico Oliari, di GayLib: mi reputo ‘l’inventore’ del termine ‘omoaffettivo’ e quindi della dicitura ‘coppie omoaffettive’.
    Noi parliamo di ‘omoaffettività’ e non di ‘omosessualità’ non per una questione banale come il politically correct, bensì perchè consideriamo l’individuo nella sua completezza (quindi sessualità, ma anche prsiche, relazione, parte di un rapporto). Il termine ‘omosessuale’, è stato coniato, non a caso, in un’epoca in cui si ritenevano i gay persone malate, deviate, appunto, negli aspetti sessuali. Noi gay inoltre abbiamo già riconosciuto il diritto alla sessualità, quello che manca è il riconoscimento dell’affettività, cioè del fatto che due individue che si amano e non solo che hanno rapporti sessuali, possono essere ua coppia.

  3. Ciao Enrico, come hai letto ho già scritto che il termine omoaffettivo spiega qualcosa in più e quindi spiega qualcosa meglio. Se mi permette8te un po’ di linguaggio tecnico da filosofo preferisco riformulare il mio pensiero nel seguente modo: il termine omoaffettivo apre nella comprensione dell’ascoltatore la dimensione sentimentale del rapporto tra persone dello stesso sesso. Il politicamente corretto è ipocrita e banale, ma necessario per il “marketing”. La comunicazione è negoziazione, commercio, e mai più che oggi l’argomentazione deve essere fatta usando le strategie di marketing e il politicamente corretto finché non è nascondimento della verità ma spostamento del punto di vista è accettabile.
    Non è vero inoltre che la sessualità gay è riconosciuta al pari dell’affettività al livello sociale-culturale. L’ho è a livello politico ma non basta!
    La mia proposta non è quella di abolire il termine omosessuale con omoaffettivo ma ritengo che sia necessario misurare le parole al contesto in cui vengono espresse e decidere se usare un termine piuttosto che un altro, mentre oggi il termine omoaffettivo non è affatto diffuso.
    Inoltre la visione di Manuela mi sembra un po’ troppo astratta, spostamenti semantici troppo evoluti, appartenenti ad una sovrastruttura ancora più alta da quella da me descritta.
    Dal mio punto di vista la violazione del corpo maschile è tabù in quanto il maschio rappresenta il sesso dell’ordine e la sua violazione è il caos (anche tra gli umani c’è la figura del maschio alpha che domina e controlla la sua famiglia/tribù e che è simbolo dell’ordine).
    Inoltre ricordo che la sessualità lesbica non è più tollerata di quella gay a meno che non siano delle pornostar, ma questo è un problema psicologico prima che culturale.

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