Ritardi d’amore

“Cito necatus insignis ad deformitatem puer esto“ (trad.: “ Un bambino chiaramente deformato deve essere condannato a morte.” – Antica Roma, Leggi delle 12 tavole, 450 a.c.)

In Italia circa 1 milione e mezzo di persone (pari al 5% della popolazione) soffre di ritardo mentale, ovvero di una condizione cronica di profonda alterazione della personalità che si verifica a livello cognitivo (funzionamento intellettivo al di sotto della media con un Q.I. da 70 punti in giù), compromettendo significativamente le capacità adattive dell’individuo.
Secondo il DSM, i fattori incidenti sul ritardo mentale sono due:
1) Ereditarietà (condizioni associate a patologie come x fragile, sindrome di down, sclerosi tuberosa, danni prenatali e perinatali, infezioni virali, malnutrizione), e questo lo sapevamo;
2) Condizioni Ambientali, ovvero mancanza di accudimento e di stimolazioni adeguate, e questo forse non tutti lo sanno.
Infatti, nel caso di deficit intervenuti in fasi arcaiche dello sviluppo, sono essenziali il ruolo assunto dall’ambiente e la qualità delle cure destinate al bambino: laddove il deficit è associato all’inadeguatezza delle cure materne, il bambino potrà difendersi solo ricorrendo a organizzazioni difensive estreme, dunque avviandosi verso versanti psicotici. Tradotto: con l’andar del tempo diventerà un soggetto sempre più grave, più di quanto prescrivesse il suo DNA.

Sappiamo già che la relazione originaria con la madre segna fortemente il destino di ogni bambino.
Questa è una verità ancora più sacra e visibile nel caso di bambini con deficit precoci, il cui futuro è determinato dalla capacità dei genitori di pensare il figlio come un bambino normale; certo, senza negare il problema, ma conquistando la dignitosissima capacità di pensare il proprio bambino come un essere in grado di desiderare e di amare come gli altri e di potere essere amato.
Voi direte: semplice! In fondo è loro figlio anche se fa dei movimenti continui e un po’ strani, anche se è più aggressivo e meno affettuoso degli altri bambini, anche se non è indipendente, anche se urla …ed anche, eventualmente, se è muto ed ha 28 anni e un‘età mentale di 2.
E invece no.
E non è solo per la pesantezza di accudire un bambino così “difficile”; c’è dell’altro.
Spesso i genitori si sentono invasi da un senso di catastrofe, “segnati a morte” dalla nascita di un figlio dis-forme che rappresenta un attentato alla loro identità, una disconferma del loro narcisismo parentale, e ancora la reificazione delle loro colpe genetiche.
Spesso questi genitori sono troppo presi dal loro lutto esistenziale, dal loro senso di fallimento per accorgersi che il figlio non è un essere ritardato e fine… e che è invece un bambino che ha delle difficoltà, ma anche delle potenzialità, dell’amore da donare e che merita di ricevere, delle possibilità di sano sviluppo.
Troppo spesso, questi genitori non ascoltano le richieste del figlio se non sovrapponendogli addosso i propri fantasmi, le loro “fantasie inconsce”, le loro “pulsioni di morte” e il loro modo di elaborare la menomazione, che invadono pervasivamente il bambino, orientandone il destino. Possono così trasformare il figlio in un corpo da curare a loro piacimento, da vedere solo in funzione dei propri bisogni, dei propri tempi, dei propri stati umorali.
Nel migliore dei casi, si innesca un paradigma medicalizzante/riduttivo in cui non possono nascere legami mentali; una sorta di tacito patto per cui da entrambe le parti si abbandona il contatto mentale e ci si preoccupa solo del corpo e delle cure ad esso destinate.
Nel peggiore dei casi, i genitori finiscono inconsciamente (e a volte neanche poi tanto!) per delegare a strutture assistenzialiste anche le cure primarie dei propri figli, in un atto di rifiuto (questo sì più spesso inconscio) che porta questi bambini, che arrivano in un centro diurno sporchi, trasandati, nervosi, assonnati, spettinati… ad essere degli emarginati tra gli emarginati.

In entrambi i casi, l’atteggiamento genitoriale non permetterà alcuno sviluppo reale, e il bambino rappresenterà per lo più un “animale” ammaestrato e rieducato o un eterno infante impossibilitato a crescere, agghindato in modo imbarazzante (che sia trascurato o curato) di vestitini da bambini che rappresentano in modo imbarazzante la negazione della sua crescita, della sua individuazione, della sua diversità e potenziale autonomia.
…E’ così che un ritardo organico lieve può nel tempo trasformarsi in una condizione di grave irrecuperabilità.

Certo, qui non siamo in Svezia, dove a quanto pare lo Stato è così evoluto da garantire un’esistenza autonoma (poiché dotata di tutte le tecnologie a spese statali) anche a dei ritardati gravissimi.
Qui siamo a Palermo, Sicilia, Italia: lo Stato funziona poco e male e neanche le famiglie spesso sono in grado di fare fronte comune, di offrire calore umano e sincero ai propri sfortunati figli; troppo raramente esiste una spinta allo sviluppo, al pensiero autonomo e ad una soggettività possibile.
Oggigiorno, il debole mentale è ancora destinato ad essere l’oggetto di qualcuno o di qualcosa: è un “Oggetto da curare“, giammai Soggetto autonomo, ma sempre dipendente e privo di qualsiasi espressione personale e della possibilità di riconoscersi come essere umano con desideri propri, non alienati nell’Altro.

Io conosco ritardati gravi che vengono vestiti in camicia, ordinati, puliti, curati, responsabili.
E conosco ritardati gravi senza denti, con i capelli pieni di forfora, sempre le stesse magliette macchiate d’olio e di sa Dio cos’altro e il pannolino (sì, a circa 22 anni hanno ancora il pannolino) sporco; e le famiglie non sono di certo povere.
Nonostante ciò, voglio bene a entrambi, a entrambi stringo la mano, e li bacio.
Ma – anche se oggi non è più lecito uccidere nessuno come nell’antica Roma – so perfettamente chi dei due è metaforicamente “condannato a morte”; so perfettamente che i primi a modo loro diventeranno uomini e donne dignitosi e magari anche indipendenti e in grado di sopravvivere ad una vita che a un certo punto li priverà fisiologicamente dei genitori. Mentre i secondi non sono bambini, non sono ragazzi, non saranno mai uomini; sono e saranno sempre e solo semplicemente “ritardati“.

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Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (ONU 2006): “la disabilità è parte della diversità umana” e prevede il diritto:
(a) al pieno sviluppo del potenziale umano, del senso di dignità e dell’autostima ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani, delle libertà fondamentali e della diversità umana;
(b) allo sviluppo, da parte delle persone con disabilità, della propria personalità, dei talenti e della creatività, come pure delle proprie abilità fisiche e mentali, fino al loro massimo potenziale;
(c) a mettere in grado le persone con disabilità di partecipare effettivamente a una società libera.

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