Encantada – seconda parte

#3 Incontri

Quello che non si racconta quasi mai dei viaggi è del tipo a cui hai chiesto informazioni e che è rimasto a parlare con te solo per il piacere di farlo. Del sorriso della donna che mentre le indicavi un nome sulla mappa della città, ha capito che sbagliavi pronuncia e ti ha corretta con tenerezza e comprensione. Gli incontri, appunto, ma non quelli premeditati, della serie “andiamo in discoteca ad abbordare”, quelli che accadono quando hai il trucco sbavato e sei stanca e sudata.
E quindi vi dirò delle ragazze inglesi che fuori dall’aeroporto di Reus attendevano il pullmann distese mollemente al sole, gesto che abbiamo subito imitato, col disprezzo di alcuni altri turisti, accalcati sotto la pensilina per assicurarsi un posto che comunque avrebbero ottenuto. Con le ragazze inglesi ho avuto solo un breve scambio, mentre eravamo in fila in bagno, qualcosa di non traducibile, fatto di un paio di sguardi, qualche sorriso, e il semplice trovarsi nello stesso luogo.
Vi dirò poi dell’autista dell’autobus, un signore molto simpatico che ci ha chiamate “bimbe”, scherzando con noi mentre impacciatissime tentavamo di racimolare le monetine per pagare i biglietti, incurante della fila alle nostre spalle, come se non ci fossero scadenze, frette, o autobus in imminente partenza attorno a noi.
Sullo stesso autobus, purtroppo, abbiamo subito il chiacchericcio fastidioso e perfettamente comprensibile di alcuni ragazzi italiani. La mia socialità è sparita nel momento in cui i tipi davanti a me hanno iniziato a cantare la Danza Kuduro, alternando a questo tipo di entusiasmo musicale le proprie aspettative rispetto al viaggio, condensate nella richiesta “andiamo all’Hard Rock, vi prego!”. E che dire della coppia pseudo-punkabbestia sprezzante di qualunque essere vivente nel raggio di 10 km, ma dotata di I-pad? Lei ci ha deliziate con la sua voce sull’aereo, sul bus, all’andata e al ritorno, infarcendo un discorso privo di contenuti con una serie di improperi rivolti ad ignoti, alle hostess, al pilota, all’autista del bus, ai presenti, alla Spagna, agli spagnoli, e così via. Davvero spiacevole.
Però non c’è stato solo questo. Non appena arrivate a casa, abbiamo fatto la conoscenza del padrone di casa, un tale alto e molto-spagnolo che per mia fortuna parlava anche inglese, e in seguito abbiamo conosciuto gli altri coinquilini, ragazzi non spagnoli che vivono a Barcelona per motivi di studio o di lavoro. Spesso non riuscivamo a  capirci, ma anche le incomprensioni sono state fonte di “guadagno” sociale. Non dimenticherò mai la scena in cui la mia compagna di viaggio tenta di chiedere alla ragazza tedesca se fanno la raccolta differenziata, brandendo un piatto con gli avanzi della nostra cena, dando luogo a un qui pro quo, e facendole credere che le stesse offrendo il contenuto smangiucchiato del piatto. Le ho trovate che ridevano così ad alto volume da non riuscire a parlare.
Il cameriere di un bar che chiamava la birra “cervecita”, sorridendo teneramente, un venditore di cibo della Boqueria che ci riconosceva e ci salutava cordialmente, il tipo che ci ha venduto gli orecchini dilatatori e ci ha spiegato in spagnolo stretto come inserirli (“vaselina y agua muy caliente!”), il tizio punk del “pubettola” di fronte alla facoltà di geografia, che ci ha servito la prima Estrella di una lunga serie, con le sue mani smaltate di nero.
L’uomo che si è avvicinato a noi per venderci i suoi disegni. Non mi ricordo più il suo nome e mi dispiace, ma ho ancora i miei acquisti artistici. Si è fermato davanti a noi, nonostante le nostre iniziali diffidenze, e ci ha raccontato dei suoi viaggi, di cosa ha visto in Italia, della crisi spagnola e di quella italiana, dei lavori che ha fatto, bevendo la nostra birra, e alla fine regalandoci un minuto di musica suonata con una specie di flauto giocattolo, nel silenzio di una piazzetta spagnola dimenticata dal resto del mondo, e una rosa rossa.
Il ragazzo che lavorava da Escribà, la pasticceria di Almodovar, per intenderci. Ancora una volta la distanza linguistica ha provocato un’incomprensione divertente, e si è creato un motivo di confidenza. Siamo tornate a fare colazione “da Almodovar”, come dicevamo, tre volte in sei giorni, per la bontà dei dolci, ma anche per la gentilezza di questo cameriere, che alla fine è diventato nostro amico. Ad ogni colazione ci ha regalato qualche chicca, permettendoci di assaggiare i famosi baci di Almodovar, le foglie di menta ricoperte di cioccolato, vari altri dolcetti, e una piccola torta alle fragole per il compleanno della mia amica, pagando tutto questo di tasca sua, senza un secondo fine, solo per un’amicizia nata per caso, e apparentemente destinata a rimanere un ricordo. Prima di andare via, in tutti i casi, lo abbiamo coinvolto in un giro di tapas, ossia una peregrinazione per locali in cerca di birra e di assaggini di pesce, e ovviamente ha accettato, condividendo con noi l’ultima sera a Barcellona.
Un ragazzo al bar Marsella. Era seduto da solo a bere assenzio giallo, in un bar storico di Barcellona, che non viene ridipinto non so da quale secolo, né tantomeno spolverato. Potrebbero averci girato un video dei Cure. E in effetti, tra un assenzio e l’altro, passavano i Cure. E, costatando la solitudine di questo ragazzo dall’apparenza british, ci siamo convinte ad invitarlo a bere con noi. Abbiamo parlato per un paio d’ore, sempre con le solite difficoltà del caso, apprendendo che: era davvero british, era davvero solo, era assolutamente turista, dotato di zaino multi funzione, con sacca porta acqua e cannuccia da tirare dalla spalla, in caso di emergenza idrica, manco fosse andato nel deserto. Ci ha offerto il suo acquisto barcellonese, della cioccolata salata, che abbiamo assaggiato volentieri, sorseggiando assenzio giallo. Sotto i nostri increduli occhi ha bevuto due bicchieri enormi di assenzio, apparentemente senza batter ciglio, raccontandoci dei suoi giri diurni. Lo abbiamo salutato prima di tornare a casa, certe che non lo avremmo più rivisto.
E poi c’è il pattinatore. Un tizio coi rollerblade che si è seduto accanto a noi alla Barceloneta e, non mi ricordo neanche come, ha iniziato a parlare con noi. Simpaticissimo, pelato ma carino, ci ha consigliato una serie di posti, tra cui il Can Mano, di cui vi ho già detto. Ci ha rivelato l’esistenza a Barcellona del Roller Derby, uno sport ormai quasi esclusivamente femminile che si gioca sui pattini, con ampio uso di spallate a mo’ di pogo, e altre violenze regolamentari.
La polizia. Se non fosse che ci hanno detto il contrario, potremmo affermare con certezza che la polizia a Barcellona arruola solo agenti simpatici e disponibili. Spesso, trovandoci in difficoltà, abbiamo chiesto informazioni a uomini e donne in divisa, e la risposta è stata sempre completa, cordiale, simpatica, al limite della confidenza. Ci hanno rivelato che la polizia spagnola ha un atteggiamento diverso con turisti e residenti, e per questo non possiamo generalizzare, ma gli incontri in divisa si meritano almeno due righe in questo post.
Valerio, il nostro amico italiano. Va citato perché gli italiani non sono solo quelli che cantano Danza Kuduro sull’aereo, mettendoci in imbarazzo. Sono ragazzi palermitani che prendono armi e bagagli e vanno in Spagna a lavorare. Trabajo, che non è come andare a fare una vacanza, con una valigia e birra bevuta al posto dell’acqua. E dopo dieci ore di trabajo trovano il tempo per accompagnare due non-turiste in giro per localini che non avrebbero trovato altrimenti. Un grazie anche a lui, ovviamente.

Potevo non parlare delle persone? No. Barcellona non è solo la Sagrada Familia, è la gente che incontri per strada, il colore del cielo quando ti svegli la mattina, il brusio costante che viene dalla Rambla, che può non piacerti, ma sarà sempre lì, è quella lingua che è una miscela di spagnolo, francese e italiano, che ti sconvolge e ti piace sentire in voci sconosciute, anche quando non la comprendi.

(continua?)

6 thoughts on “Encantada – seconda parte

  1. Per voi donne però è anche più facile. Onestamente nella mia vita mi è capitato mezza volta che qualche ragazza si sia avvicinata random in uno dei miei viaggi. Comunque, si sei molto Manju in questo post. E se magari ti riuscissi a vedere ora che siamo entrambi a Pa credo che potrei anche accendere un cero. Bacini

  2. Un post emozionante, coinvolgente. Le descrizioni sono ben fatte, sembra quasi di vederle queste scene. Complimenti, è sempre un piacere leggerti!

  3. Ho letto tutto d’un fiato i due post e devo dirti che condivido al 100% tutto ciò che scrivi. Anche per me quest’anno è stata la prima volta in Spagna, ma per iniziare a visitare questo grande paese, che amo alla follia e di cui adoro sia la lingua che la letteratura, ho deciso di “empezar por la capital”. Poco prima di partire, alcuni amici hanno snobbato la mia meta sostenendo che “a Madrid non c’è niente”. Gente così non dovrebbe neanche viaggiare; non capisce che viaggiare è vivere un luogo a 360°, mimetizzarsi con la cultura locale, camminare per quelle strade e perdersi per la città fino a dover comprare la Voltaren e i Compeed per alleviare il dolore a piedi e gambe. Una città va e deve essere vissuta al meglio! Ti faccio ancora tantissimi complimenti per questo post e visto che la prossima meta sarà la Catalunya (che raggiungerò solo dopo aver raggiunto un buon livello di catalano, lingua meravigliosa che sto studiando con l’aiuto di un’amica che vive lì) magari mi appunto i luoghi di cui hai parlato :)

    • Grazie :)
      il corso di catalano lo farei volentieri anche io, a dire il vero, e con una certa urgenza, ahhaha. Magari mi passi i tuoi appunti? :P
      Comunque non si può dire “a Madrid non c’è niente”, ma che vanno cercando nelle città? Madrid è una capitale europea con una storia assurda, regni che si uniscono e dividono, influenza della chiesa, eccetera, e poi adesso modernità, musei, arte… Insomma non hanno capito niente! Ci andrò anche io prima o poi!

      torna eh!

  4. con piacere :D
    Vanno cercando discoteche, ecco cosa cercano. Per questo sono state create mete di proposito come Ibiza e Malta, per quale motivo spendere soldi inutilmente?

  5. Premesso che ho vissuto a Madrid e mi è rimasta nel cuore, la capitale spagnola è una “città” da vivere a 360°, che ti offre tutto: arte, cultura, spettacoli, concerti, passeggiate, teatro, divertimento, locali, discoteche.
    Madrid è la città della movida per eccellenza, anche per chi di cultura non si interessa. Quindi i tuoi amici probabilmente non ne sanno niente né di storia né di divertimento, mi sa tanto. :)
    A Madrid tutto è grande ma nonostante sia una metropoli nella sua eterogenità ti fa sentire a casa e sicuro. Almeno così è stato per me.

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