La festa e l’autogestione

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Come è stato già detto, stasera ci si vede in via Sampolo 135.
Ci pare il caso di festeggiare in grande, nonostante l’estate abbia fatto intendere, in maniera fin troppo puntuale, la propria deprimente fine. Non si festeggiano ricorrenze particolari, ma semplicemente una “presenza” che tenta di farsi spazio nel dibattito qua e là e nell’azione, con riflessioni spontanee che quotidianamente scorrono su pagine e pagine, prima mentali e poi sui più svariati supporti. E mi piace ricordare chi, al di là del collettivo, ha prestato la propria visione delle cose in questa nuova esperienza di spazi, idee, e foto, facendo sopratutto leva su quella parola francese che ci sovrasta ed ingloba.

A volte sanguigna, a volte lattea, o semplicemente in una scala di grigi.

E l’autogestione
Il fatto di non recepire alcun denaro e il metterne di tasca propria tutte le volte che abbiamo un’idea nuova mi fa pensare che l’autogestione di un’attività di qualsiasi tipo diventa, con il lungo andare, una fatica (una delle 12, eh!) in periodi di occupazioni instabili e di guadagni mai puntuali. Restando pur sempre i fogli di carta, qualche penna, la voce e i mezzi virtuali per mettersi in contatto con l’Altro, sembra indispensabile ai più circondarsi di pubblicità per portare avanti un progetto. Premettendo che può esistere pubblicità buona e pubblicità cattiva, come allo stesso modo il guadagno buono e quello cattivo, penso che bisogna un po’ uscire da certe tendenze ormai diffuse in ogni ambito.

Ma capisco che molte volte è l’unica strada per raggiungere tante persone.

Ultimamente vedo in giro un tizio che vende, spesso a offerta libera, un opuscolo autoprodotto con su scritte le proprie strane idee sul mondo e sulle cose. “Il reazionario assoluto”, se non mi sbaglio. Chissà che non ne sentiremo parlare di più tra un po’ di tempo; ma il punto è che se ci stranizza il metodo cartaceo improvvisato alla rustica maniera, metodo sicuramente freak, dovremmo capire invece perchè tendiamo al contrario a seguire le mode senza spesso imporre/proporre una via nuova, che altri potrebbero continuare.

È il periodo adatto per correre rischi a basso costo, vista la crisi che non muore mai.
E la cultura locale che da un lato appare circondarsi di troppi editori anonimi che mai avranno una voce, dall’altro lato sembra riaprire le cantine e i piccoli spazi per unire una nicchia di affezionati al feedback culturale, sempre più aperta al nuovo, al prezzo spesso di una birra o poco più.

Domanda: la creatività o il genio innovativo, sono solo il frutto acerbo del denaro?
In mancanza di esso, si sta con le mani nelle mani ad aspettare?
E l’autogestione è l’utopia di scarto dei sinistroidi o una tendenza che se calcolata nei meriti e nei benefici (poco economici, ammettiamolo) può avere la capacità di smuovere acque stagnanti di una società ancora poco moderna?

3 thoughts on “La festa e l’autogestione

  1. Bella domanda, è una di quelle che mi pongo sempre anch’io. Il fatto è che se si vuole essere totalmente liberi, non soltanto di esprimersi ma di muoversi, l’autofinanziamento è pur sempre il mezzo migliore. Una volta riflettendo con la mia socia/blogger, ci chiedevamo che effetto avrebbe avuto inserire uno di quei piccoli banner del tipo “dona un euro” per finanziare ad esempio una mostra. Non l’abbiamo mai messo, proprio per ragioni di principio, appunto non utilizzare dei mezzi che potrebbero essere fraintesi. Però c’è un sondaggio che è rimasto in sospeso e potremmo pur sempre fare…del tipo “donereste un euro per l’arte?”

  2. Il denaro non ha lo stesso fascino poetico di un’ opera. Donerei una carezza, un sorriso, non un soldo.
    A parte l’ironia, contribuire economicamente è certamente qualcosa di generoso e cortese, come dare le mance ai camerieri; solo che pensiamo di avere altri motivi, migliori(?), per lasciare a qualcun altro un misero euro. Misera umanità.

  3. L’altro giorno mi sono mortificata, perché ho dato pochi centesimi…ma davvero pochi non so neanche se arrivavano a 15, ad una persona che stava davanti un supermercato a chiedere l’elemosina, mi sono mortificata al suo “grazie”. Cioè non gli interessava quanto avessi messo nel suo piattino, ma intanto ha detto grazie.

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