Il Principe e la questione della rappresentanza nella democrazia moderna

Questo articolo nasce da una riflessione suscitata da un tweet di Mila Spicola, che invita a riflettere sulla rappresentanza nella democrazia moderna e sulla reale necessità dei partiti.

Sarebbe troppo facile rispondere: @MilaSpicola basta più democrazia diretta, ma non basta perché credo che la questione sia molto complessa. Bisogna capire cosa comporti una scelta del genere e quindi la reale possibilità che ciò sia fattibile.

Innanzitutto chiariamo dove e come nasce l’antipartitismo. L’antipartitismo ha ben due origini differenti la prima è teorica, ideologica, tipica degli anarchici, che rifiutando qualsiasi tipo di potere strutturato non può accettare a priori la possibilità di un partito che governi in modo oligarchico, ovvero dando il potere solo a pochi.
L’altro campo in cui si manifesta avversione contro i partiti è dovuto a cause di tipo pratico: la stanchezza di vedere i partiti come iperstrutture di potere e di magna-magna, lontano dal popolo, fatta di gente interessata alla poltrona e ai fattacci loro.

Sullo sfondo di quest’ultima considerazione, nascono i movimenti come quelli promossi da Beppe Grillo o dagli Indignados, che con fare anarcoide decidono che non è il più il tempo di aspettare che la classe dirigente all’interno dei partiti si muova per il bene della comunità e si autodirige, partecipando in prima persona al cambiamento della società nel verso da loro auspicato.
Movimenti come questi non fanno altro che ripetere come un mantra che i partiti attuali non li rappresentano, perché sono un magna-magna o perché si rifanno a ideologie da loro sentite come anacronistiche.

A tal proposito, Gramsci scriveva nei suoi Quaderni dal carcere:

“L’aspetto della crisi moderna che viene lamentato come “ondata di materialismo” è collegato con ciò che si chiama “crisi di autorità”. Se la classe dominante ha perduto il consenso, cioè non è più “dirigente”, ma unicamente “dominante”, detentrice della pura forza coercitiva, ciò appunto significa che le grandi masse si sono staccate dalle ideologie tradizionali, non credono più a ciò in cui prima credevano, ecc. La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere; in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati.” [Q 3, p. 311]

Questa sembra ancora oggi una condizione attuale, le masse si sono distaccate dalle ideologia quali comunismo o fascismo, i partiti perdono il consenso e li si vede come dei nemici dominatore anziché la propria classe dirigente e rappresentante. D’altronde chi rappresenta un operaio della FIAT o un insegnante precario? Quelli con il maglioncino in cashmere o quelli con diversi canali televisivi sparsi per il mondo?

Ma la democrazia diretta è possibile solo se la massa prende coscienza della sua posizione di subalterna e risvolta il sistema politico come un calzino, decidendo che non si può lavorare per più di 5 ore al giorno perché altrimenti mancherebbe il tempo materiale per discutere, condividere e partecipare alla vita politica. Non si può fare politica senza la giusta istruzione permanente e l’abolizione dell’interesse privato a favore dell’interesse collettivo. Ma questo modello prevede una rivoluzione guidata da un programma, non un movimento a 5 stelle o una tenda da campeggio in piazza.

Ma chi guiderebbe questa rivolta? Un nuovo Napoleone? Forse oggi soffriamo così tanto l’antipartitismo perché i partiti sono diventati pienamente di carne e ossa, si sono incarnati nei loro leader, che spesso non sono più emblema dell’ideologia del partito ma solo bravi ruffiani prendi-voti.

Il “Napoleone” di turno non sarebbe altro colui che Machiavelli chiamava “Principe”, una persona che sappia rappresentare con forza spirituale un periodo storico e che abilmente lo governa con ogni mezzo a sua disposizione.
Oggi in Italia ho l’impressione che siamo rimasti formalmente alla ricerca di un Principe, ma senza badare troppo ai contenuti che rappresenta questo Principe: ci soffermiamo spesso su aspetti non politici-culturali dei vari leader ma su aspetti estetici. Non a caso per 17 anni la figura di Berlusconi, così esteticamente curato, è stata la figura maggiormente riconosciuta come rappresentante.

L’antipartitismo nasce dal fatto che i partiti non esistono più nella loro forma originaria di associazione di individui a sostegno di un progetto politico condiviso e partecipato. Sempre meno spesso è la “base” (ovvero gli iscritti) a decidere come si evolverà il partito e anche i candidati alle segreterie vengono già proposti dai vertici del partito. È venuta a mancare la dialettica dell’uno e del molteplice che per Gramsci è la forza del partito, vero Principe moderno.

2 thoughts on “Il Principe e la questione della rappresentanza nella democrazia moderna

  1. Questo articolo offre molti spunti di riflessione. Ad esempio, prendiamo l’attuale situazione politica in Italia, con un governo “tecnico” che prende le redini della situazione, proprio in virtù del fatto che i partiti, con la loro logica del “tu fai un favore a me, io ne faccio uno a te”, non sono mai risuciti a concludere un progetto, se non fare leggi e leggine che di fatto proteggono solo la loro casta. E allora arriva l’uomo del Monti, che rade al suolo il vecchio e cerca di creare il nuovo, seppure tra mille contraddizioni, l’uomo delle banche, l’uomo dell’economia. E anche qui la gente si divide, fra chi lo odia perchè “ha messo le tasse” (come se mettere le tasse fosse un delitto imperdonabile) e chi lo vede come il salvatore della patria. Resta il fatto che, un uomo fuori dai partiti ha la libertà di prendere decisioni, anche sgradevoli, cosa che il partito non può fare, perchè non può tradire l’elettorato (nel migliore dei casi) o solo perchè conviene a loro continuare l’eterno gioco della contrapposizione. Boh, è un po’ uno schifo francamente.

    • “Governo tecnico” è l’ennesimo termine da neolingua orwelliana tipica del modo di comunicare della politica italiana: una lingua artificiale ed ambigua che serve ad offuscare e confondere invece che a chiarificare.

      Non esiste “governo tecnico”. Ciascun governo è emanazione del parlamento ed è dunque un organo politico.
      Il governo Monti, in particolare, gode della fiducia praticamente unanime del parlamento. Non è composto da politici di professione poiché è stato messo per fare scelte impopolari, sulle quali nessuno dei leader di partito vuole mettere la propria faccia.

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