E.T. non telefona più casa (ovvero lunga vita alle reti, e nostalgici addii ai telefoni Sip)

Non so rimuovere dalla mia testa cocciuta quella vacanza in cui un amico non si staccò dal suo maxicellulare-pc neanche a ore pasti.

Di gente che gira per strada rispondendo continuamente a sms, guardando video su youtube o controllando chi c’è in chat anche nel mezzo di quella che doveva essere una passeggiata o in un pub di sabato sera (quando, invece di scegliere cosa bere, cercano affannosamente di “craccare” qualche rete o di far funzionare il wifi) è pieno il mondo. Perfino sotto il sole infernale del mare siculo i cellulari-minipc di ultima generazione convincono i loro facoltosi padroncini a sfidare i granelli sabbia che minacciano di intrufolarsi tra i loro costosi meccanismi: droghe al pari di quelle inspiegabili sigarette roventi che i fumatori-dipendenti hanno il coraggio (e l’inerzia) di fumarsi sotto i 43° di Mondello.
Tra l’altro, è questa una “malattia” contagiosa: nessun mio coetaneo scrive più lettere, e quasi nessuno più fa squillare i semplici telefoni fissi; ricordo ancora quando il vecchio, grigiastro, telefono Sip campeggiava nel corridoio di casa ed io-bambina attendevo con ansia che squillasse per rispondere alla nonna. …Ecco, adesso una bambina di 7 anni come ero io allora avrebbe invece un cellulare rosa di Hello Kitty e tempesterebbe la nonna di squilletti disturbanti per costringerla a chiamarla ad ogni suo desiderio di sentirla. Ancora peggio, così come accade a tutti, spesse volte anch’io sento il senso di imminenza di rispondere ad un sms mentre guido o mentre cammino per il centro… salvo poi riuscire (ma non sempre!) a recuperare un minimo di buon senso e a dirmi qualcosa del tipo: “Che cazzona sei? Ma guardati il cielo sopra Corso Vittorio!”.  Preoccupante.

Al di là dei sofismi, è chiaro ormai che ogni settore dell’esperienza umana è stato trasformato dalla diffusione di computer&co., che da strumenti individuali di tipo “personal”, sono diventati strumenti di tipo “relational”, collegati virtualmente con tutto il mondo in una “grande illusione” di contatto universale che, sull’onda delle pregresse reti telefoniche, radiofoniche e televisive, abbatte le barriere spazio-temporali dell’agorà e i limiti della corporeità.
Si potrebbe forse dire che nell’essenza stessa dell’essere umano vi è oggi il virtuale, che è ovunque, intorno a noi e dentro di noi: compagno affidabile della nostra avventura storica e soggettiva, ci concede infiniti processi di creazione, come in una “scommessa di apertura” in cui la voglia di conoscenza diviene potenziale conoscenza universale e immediata di tutto e di ogni cosa, dell’universale e del dettaglio, alla portata di ogni mente avida o semplicemente curiosa.
Ed è una “scommessa” anelata da tutti, seppur con la sua essenziale natura contraddittoria, anarchica, proteiforme, decadente, spesso insensata e confusa che non è mai il contrario del reale, anzi lo potenzia. E non solo: la grande espansione delle reti telematiche e la loro possibilità di utilizzazione in plurimi campi della vita umana sta gradatamente spostando dal reale al virtuale molte attività e transazioni umane (vendita di opere d’arte o di libri on-line, conferenze on-line, etc…), tanto da poter parlare di una “naturalizzazione dell’artificiale” (Caretti), ovvero della scomparsa di una separazione netta tra naturale e artificiale in cui internet e compari rappresentano un doppio della realtà, ma possono anche SOSTITUIRLA pienamente.

Ovviamente, ciò ha importanti conseguenze psicologiche e cognitive:
– Innanzitutto amplifica le componenti psichiche e soggettive dell’esperienza a scapito di quelle sensoriali e oggettive: la comunicazione via internet esclude dall’incontro interumano qualsiasi elemento di fisicità, tagliando fuori dall’interazione tutti i canali sensoriali e rendendo l’interlocutore intangibile, invisibile, inavvertibile;
– lo stile comunicativo web (più spontaneo, diretto e immediato, più paritario, meno formale, a volte disinibito, e più incline all’intimità) tende a rendere la comunicazione unicamente psichica;
– si fluidificano, sin quasi ad annullarsi, i limiti del Sé, cambiano le modalità di rapporto con se stessi e con l’altro da sé, si affrontano dinamiche relazionali innovative in cui la perdita di identità sociale consente di ricostruire un Sé ideale al posto di un deficitario senso di sé;
– inoltre, gli scenari dei mondi virtuali dispiegano aspetti diversi o dissonanti della nostra identità, inaugurando identità psicologiche multiple e decentrate che esistono in molti mondi e impersonano ruoli diversi nello stesso istante. Ciò rimanda a quella “provvisorietà sociale del soggetto” tipica dell’era postmoderna, popolata da Sé deboli che, liberi da vincoli di coerenza e staticità, possono vestirsi di più soggettività, lasciandosi alle spalle la concezione di un Io sorretto da principi stabili e duraturi.
E c’è di più: la rete può veicolare al contempo quote sature di pensiero (che lo ingabbiamo all’interno di “realtà non pensabili”, perpetuando principi dogmatici immutabili che non lasciano all’individuo margini mentali autonomi) e quote insature di pensiero (che lasciano spazi autonomi di pensiero, preservando la capacità di autorappresentarsi mentale). Queste ultime rendono il cyberspazio una risorsa che può stimolare la progettualità, la diversità, il cambiamento, possibilità di crescita psichica e polidimensionalità conoscitiva. Le prime, al contrario, favoriscono la solidificazione anti-riflessiva di quei luoghi mentali che Steiner ha definito “rifugi della mente”: stasi psichiche in cui non si deve affrontare la realtà, in cui le fantasie e l’onnipotenza e il dogmatismo possono esistere senza controllo e qualunque cosa è permessa.

In un’illusione di positività da terzo millennio, oggi i più si limitano però a pensare che non vi sia migliore strumento di Internet per dilatare a 360° lo spettro delle proprie risorse su un registro spazio-temporale modificato da possibilità infinite. Così, a breve probabilmente anche l’uovo al tegamino lo farà un Bimbymassaio computerizzato che occuperà le nostre cucine al posto delle mamme.

Il risultato di tutto questo vi sarà visibile con una semplice osservazione di amici e parenti: oggidì, i computer sono interiorizzati nei vissuti e nelle fantasie individuali come semipersone con cui si stabilisce una relazione psicologica fondamentale, in barba a quel sogno anacronistico del tornare al roussoviano stato di natura che ogni tanto mi coglie (saranno le allucinazioni da deserto siculo).
Eppure me lo chiedo com’era quando l’adattamento dell’uomo era una qualità innata, non facilitata da nessuna di queste paradisiache diavolerie del “futuro che è ora”; com’era quando la selezione era davvero naturale, quando chi non sapeva cacciare o lo imparava o moriva di fame o aveva come unica scelta quella di avere un vero amico che dividesse con lui il pasto, perché non c’erano soldi, né ricchi e poveri, né supermercati in cui andare a comprare la carne bella e pronta.
E poi mi dico che i famosi Maya non ci hanno ancora riportato a prima dell’era glaciale, e che non ci resta che sperare che l’evoluzione infinita di queste robe che ci complicano la vita semplificandola sia quella di un potenziamento del Sé che – invece di depauperarsi incatenandosi forever alla tecnologia – divenga capace di essere, di scoprire le proprie potenzialità e di pensarsi come risorsa, piuttosto che come prìncipe o principessa sul pisello che non può vivere senza l’i-phone. In sintesi, un Sé capace di usare quelle risorse che rendono l’individuo un soggetto attivo e protagonista della propria vita …dono molto più costoso di un microchip …e ancor più raro di quel famoso e nostalgico telefono Sip.

3 thoughts on “E.T. non telefona più casa (ovvero lunga vita alle reti, e nostalgici addii ai telefoni Sip)

  1. La seconda parte dell’articolo sembra scritta negli anni ’90, quanto ottimismo xD

    io non riesco a togliermi dalla mente l’idea che l’internet moderna sia progettata per mantenere basso il livello dei suoi messaggi, abbiamo accesso a una quantità innaturale di chiacchiericcio inutile e sforziamo continuamente e inutilmente le capacità del nostro cervello di simulare il multitasking… non so se capita anche a te ma da qualche anno mi riesce difficile leggere un testo lungo su internet, e non perchè mi stanchi… perché voglio controllare continuamente che succede nelle altre tab aperte!

    • darshan, io ho chiuso facebook mentre leggevo perché il mio occhio veniva continuamente distratto dalla possibilità di aver ricevuto una notifica.
      preoccupante, direbbe Noemi! che per inciso è stata brava ;)

      • Grazie Elisabetta, quando vuoi …lo sai!
        Per il resto che dirvi, siamo vittime… e diventiamo carnefici di noi stessi.
        Abbisogna attivare la modalità “autocoscienza & autocontrollo” o sarà peggio per noi!

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