Mamma mia dammi 100 lire che me ne voglio andar

La precarietà quotidiana ci soffoca ogni giorno e non lascia molto spazio all’immaginazione: o scappi o sei fottuto.
In questa Italia in cui non cresce né erba né lavoro, vediamo andare avanti solo il marciume che divora ogni giorno le nostre speranze. Siamo come abbandonati alla corrente degli eventi e ci appigliamo per qualche secondo della nostra esistenza ad ogni cosa ci possa dare una precaria stabilità.

Chi ha ambizioni non può guardare oltre il confine e invidiare la serietà culturale delle altre nazioni, prima che la loro tranquillità economica.

La crisi è mondiale, la stanno subendo tutti, ma ci sono Paesi come la Francia o la Germania (per citare i più citati) che non perdono la dignità, anzi la rivendicano a muso duro davanti le altre nazioni europee.
Oggi il desiderio di partire è presente in quasi tutti i giovani, che si distinguono solo per chi vorrebbe tornare tra 20-30 anni e chi non tornare più.

Io stesso sono partito per non tornare o almeno non prima di avere le spalle abbastanza larghe per portare in terra natia la serenità appresa altrove.
Sono partito, come fanno in molti, sfruttando un programma di mobilità europeo, il progetto Leonardo da Vinci, con la speranza nel cuore di trovare nel posto in cui avrei fatto il tirocinio un posto di lavoro o comunque un punto di partenza per mettere radici.
Ero convinto con tutte le buone volontà di un idealista, ispirandomi ai tanti emigranti che prima di me avevano lasciato casa in condizioni peggiori, come gli italiani nel mondo, non diversamente dai cinesi, indiani o arabi.
Loro partivano senza sapere cosa avrebbero trovato, con i soldi necessari solo per il biglietto d’andata e senza avere alcuna conoscenza linguistica.
Io speravo che avendo dei soldi messi da parte, più il rimborso del progetto europeo e la conoscenza linguistica ce l’avrei fatta. Andavo in Spagna, d’altronde era sempre Europa e il mio titolo di studio e la mia patente erano valide.
Invece, le cose furono molto più complicate: tre mesi dopo la fine del tirocinio, mi ritrovai a fare il biglietto di ritorno prima di ritrovarmi anche senza soldi per quello. Eppure avevo mandato e portato il mio bel CV in spagnolo ovunque, dalle agenzie pubblicitarie ai bar, alle imprese di pulizie. I giornali titolavano ogni giorno un numero crescente di disoccupati in Spagna e il sogno finì così.
Tornato in patria ebbi più fortuna, trovai un lavoretto che rimpinguò il mio conto in banca. Poi un periodo di disoccupazione e poi ad oggi lavoro. Fortuna la mia, molte altre persone che reputo più in gamba di me sono ancora disoccupate e per loro la fuga da questo Paese è ancora l’unica speranza di veder valorizzati i loro sacrifici, anche se so bene cosa passeranno.

Mentre penso a tutto ciò, a distanza di due anni, un uomo di origine africana che pulisce la scale nel mio condomionio mi chiede perché non me ne vada dall’Italia, perché non faccia come sua figlia che a quasi 24 anni se ne è andata da Palermo verso la Francia dove si può vivere meglio.
Nella mia banalità provai a rispondere che per partire servono i soldi, avendo in mente la caparra per una stanza singola, con internet, telefono, luce, riscaldamenti e confort vari. Tutto in una città dove sicuramente tutto costa di più.
Lui invece mi guarda sorridendo e mi dice: 100€ il costo del biglietto!
Già, per lui che ha un diploma preso 30 anni fa nel suo Paese (quando in Italia non l’avevano in molti) e che venne in Italia con chissà quale mezzo di fortuna, senza conoscere la lingua, cosa vuoi che siano 100€ per un viaggio in aereo?
Mi sono sentito una merda. Mi sono sentito un viziato, che in fondo ha più pretese di comodità che necessità di emigrare, io cercavo tutti i confort, loro si mettono in 10 in un bilocale e vivono insieme aiutandosi magari tra di loro.
Io penso che avrei fatto il lavapiatti per un mese o due, loro magari lo fanno tutta la vita.
Io forse mi merito la mia “medietà” e loro a confronto sono degli eroi.

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