#Mind the gap: cronache di una palermitana a Londra

– Italiani Vs londra –

 

Sono mesi che li osservo, che ne studio i comportamenti, gli atteggiamenti e le pose. Di cosa sto parlando? Ma degli italiani a Londra! Dovete sapere che l’italiano a Londra è come un panda deportato al polo nord: manca di punti di riferimento, fatica ad arrangiarsi e a ritrovare se stesso. Intanto, a giudicare dal suo abbigliamento, crede di essere in Alaska: cappello di lana, giubbotto super ultra imbottito stile omino Michelin, guanti a doppio strato e sciarpone d’ordinanza. Insomma, sembra pronto per la settimana bianca più che per una visita turistica. E poi sono tanti, ma tanti, e li riconosci a un chilometro di distanza, impossibile sbagliarsi. Quando si avvicinano qualsiasi dubbio si dilegua perchè gli italiani ci tengono a far sapere al resto del mondo che sono italiani, e per farlo urlano. Urlano in metro, urlano nei camerini (donne, non fatelo, è terribile): “Giussyyy ma secooondo te questo vestito fucsia mi sta bene o è meglio quello blu???!”. Il tutto urlato nel silenzio più totale! Potrete ben capire l’enorme imbarazzo della sottoscritta che si trova a dover fingere di essere ugandese piuttosto che palesare le sue origini italiote. 

Ebbene sì, odio gli italiani a Londra, odio le scolaresche di sgallettate che entrano in metro stile mandria di cavalli, che vanno nei musei e urlano (anche lì) incuranti del fatto che si trovano in un posto che esige silenzio e tranquillità. Non parliamo di quando devono ordinare qualcosa, lì si raggiunge il massimo della mia idiosincrasia.  Cari italiani, se andate da Starbucks evitate il caffè, perchè non sarà mai come il nostro, e soprattutto, se v’incaponite al punto di prenderlo, evitate i commenti post primo sorso: “Ma che schifo… questo caffè lo chiamano? Ah come lo facciamo noi…”. Alt ferma, ferma… siamo a Londra non a Roma, qua il caffè fa schifo! Fattene una ragione, pigliati un thè e non rompere il cazzo!  Anche sul cibo gli italiani sono noiosi, Dio se sono noiosi! Confesso che una volta sono andata a cena dai Fratelli la bufala, a Leicester Square, non per mia espressa volontà, s’intende. Sono, ahimè, incappata nel classico italiano che all’estero ricerca disperatamente cibi che gli ricordino il Paese natio. I miei tentativi di indirizzarlo verso altro sono andati a vuoto, inoltre, pioveva e non potevamo disquisire su quanto la cucina inglese facesse schifo. Per farla breve, una volta messo piede in quel posto sono stata investita da un vociare familare: erano tutti italiani, camerieri compresi, è stato stranissimo,  era come trovarsi in una bolla spazio temporale: fuori c’era Londra, lì dentro eravamo a Napoli, a Roma, Palermo. Orribile, come la pizza d’altronde.

Ora mi chiedo, cosa spinge te italiano a prendere un aereo, prenotare un hotel, decidere di andare in un Paese straniero, se poi una volta lì vuoi che la gente ti capisca se parli uno pseudo inglese, vuoi mangiare spaghetti o bere un buon caffè? Cosa? Dimmelo ti prego, perchè io non ci arrivo.  Ah, parliamo dell’inglese maccheronico di noi italiani! La pretesa dell’italiano di farsi capire anche quando parla una lingua che non è nè italiano nè inglese, è pari alla sua convinzione che ciò che sta balbettando sia giusto. Nel 90% dei casi non lo è mai. Una volta un tizio mi chiese un’indicazione per andare al Tate:  “This is the good direction to go to Tate?”. Non gli ho riso in faccia per ritegno. Ora non voglio fare la spocchiosa perchè il mio inglese è ancora vacillante e in fasce, ma subito gli ho chiesto: “Italiani?”. Il sollievo nel suo viso era più che visibile, si aspettava di dover star lì a decifrare parole sconosciute e invece ha trovato me.

Altra roba che gli inglesi detestano e gli italiani sistematicamente dimenticano: no, thank you – yes, please. Gli italiani ordinano e basta, dicono sì o no (quando capiscono una domanda) e mai un grazie o un per favore. MAI. Sappiate che ci fate la figura dei cafoni, perchè st’inglesi sono formali fino al midollo e noi dobbiamo adeguarci e tentare di imparare a dire almeno quelle due paroline magiche tanto care al britannico di turno. Infine, caro italiano a Londra, quando sei sulle scale mobili non puoi bivaccare come te pare a te, devi stare sulla destra, altrimenti chi c’ha fretta ti travolgerà e ti prenderà a parolacce e tu zitto e mosca, non devi protestare, perchè hai torto marcio, e piantala di dire “Noi italiani così, noi italiani cosà, gli inglesi freddi blablabla”… Who’s care? A nessuno, caro italiano, non frega niente a nessuno.  Si è capito che vorrei un mondo senza italiani in vacanza?

14 thoughts on “#Mind the gap: cronache di una palermitana a Londra

    • Il BrIT-alian, l´eroe romantico

      Il classico Britalian ti scruta con la coda dell´ochio nella metropolitana; cerca di capire da come gesticoli, dalle scarpe che indossi, da come odori se sei italiano.

      Quando lo sgammi e gli chiedi “ma sei italiano?” sbuffa sconsolato. Quell´appellativo proprio non gli va giù. Cerca di liquidarti con un solenne “si”. O nel peggiore dei casi fa finta di non capire e risponde con un “what?” in puro stile queen´s english, forgiato da mesi e mesi di solitario esercizio.

      Il nostro eroe romantico parla bene inglese, è cresciuto guardano i simpsons in lingua originale. Di conseguenza, il tuo zoppicare nella lingua straniera è oggetto di scherno per lui, è una vergogna sentirti parlare inglese.

      Sei un nemico da evitare; la tua colpa? Sei italiano, figlio di quel paese che lo ha maltrattato ed esiliato.

      Non beve caffè, ma dell´ottimo earl grey, possibilmente con latte, gli piace? Non lo sa neanche lui, ma un vero british lo beve in questo modo. Il nostro Ugo Foscolo è cosi, cerca di scimmiottare con tutte le sue forze lo stile di vita anglosassone. Pasta e pizza non fanno più parte della sua dieta, sono dei demoni da combattere.
      In Italia ha fallito, non si è mai trovato a suo agio nel bel paese, si è rivelato un emarginato e ha cercato maggior fortuna a Londra. Qui, dove non perde occasione di criticare Italia e italiani, ha trovato finalmente la pace, scrutando l´ennesimo cielo grigio, sorseggiando l´earl grey e sognando la patria natia orma perduta.

      Rosita raddrizzati dai tuoi 90 gradi e smettila di fare i pompini agli inglesi….italiota del cazzo.

      • Be’, l’ultima frase mi conferma esattamente tutto quello che, seppur ironicamente, ho scritto. Quello che faccio o non faccio agli inglesi o con gli inglesi è affar mio, m grazie di esserti intetessato. Nessuno ha insultato nessuno, era solo un modo IRONICO, se sai cosa vuol dire, di descrivere una realtà. Se ti senti offeso perché quando vai a Londra ci vai col passamontagna e gli scii e non ordini caffè e mangi solo pizza dai fratelli la bufala, mi dispiace per te, quello che posso dirti è rimani a casa ed evita di spendere soldi in viaggi inutili.
        Saluti, cafone italiano.

      • Ciò che avevi scritto era un punto di vista, anche interessante.
        Non c’era motivo di concludere in questo modo volgare. Mi dispiace che tu loabbia fatto, davvero.
        Anche perché è risaputo che una buona fetta di italiani in vacanza (attenzione: non tutti gli italiani e non solo gli italiani!) sono un po’ ridicoli. Quelle di Rosita, come tutte quelle che scrive su Londra, ma non solo, sono riflessioni critiche. Leggi le altre e poi, se è il caso, riformuli.
        E lascia tutti i commenti che vuoi, scrivici anche, ci fa piacere, MA se lo fai con civiltà. Altrimenti confermi solo certe tesi sulla cafonaggine! E altrimenti forse questo non è il sito per te, perché noi cerchiamo questo appunto: CIVILTA’ che allarga i cervelli.
        A presto!

  1. non che i turisti italiani in spagna siano migliori. Lì pretendono di essere compresi perché parlano una lingua (secondo loro) uguale. Ho visto gente di un ridicolo pazzesco, li ho odiati a morte. Che cazzo si spostano se non sanno una minchia del paese che vanno a visitare?

  2. Un articolo poco indulgente, per cui non mi trovo del tutto d’accordo… Non credo sia giusto pretendere un comportamento “inglese” da un Italiano in vacanza, né un comportamento “spagnolo”. Perché perdere la propria identità? Quando si viaggia, si viaggia per conoscere, non per cambiare identità. Se poi l’esperienza ci cambia, beh tanto meglio, ben venuta ogni “crescita”. Pretendere da un italofono il correttissimo uso della grammatica inglese solo per una settimana di vacanza mi sembra davvero eccessivo. Pretendere che non si vesta come se fosse in Alaska, mi sembra altrettanto eccessivo: se uno sente freddo si copre, se uno sente caldo si sveste, soprattutto mi sembrerebbe piuttosto stupido rischiare di ammalarsi in vacanza solo per adeguarsi alla moda del luogo. Sul resto però sono pienamente d’accordo con te: se c’è silenzio, ‘cazzo urli?! Se sei all’estero, assaggia la cucina locale, ‘cazzo te ne vai dai Fratelli La Bufala (ps. non credo affatto che sia sbagliata “un’oasi” italiana a Londra, ma per i Londinesi, non certo per gli Italiani! Per i turisti stranieri, noi abbiamo le pizzerie nostrane, che senso ha mangiare pizza italiana? giusto per rimanere nell’ottuso cliché che solo noi Italiani sappiamo cucinare? Ottusità); infine, direi che “grazie” è d’obbligo anche in Italia, dato che non credo affatto che gli Italiani siano un popolo di cafoni e che “grazie”, personalmente, lo dico quasi per tic ogni qualvolta chiedo un’informazione.

  3. A me più che altro infastidisce il poco spirito di adattamento di alcuni, non tutti ( non voglio generalizzare, è un pezzo ironico), soprattutto chi non è avvezzo a viaggi, e si aspetta di ritrovare le cose a cui è abituato in italia…a sto punto dico, ma stai a casa!

  4. Intanto Chiariamo un punto: è un pezzo ironico, e come tale, enfatizza all’eccesso alcune cose, non è che le cose che ho scritto sono la verità assoluta, e alcune cose, tipo “vestiamoci stile neve” è una provocazione bonaria, perchè alcuni, sottolineo alcuni, sono davvero ridicoli, ma non è che posso star qui a scrivere i mille distinguo del caso …cmq, per la cronaca, non tutti sanno che dopo un es ci va un please o dopo un no ci sta un thank you, non è cafonaggine nostra, è ignoranza, ma loro, gli inglese, lo trovano scortese, scusate se non sono stata abbadtanza chiara su questo punto.

    • Sì, è evidentemente ironico e quindi enfatizzato, però diciamo che personalmente certe “gaffe” (a parte la maleducazione vera e propria) le vedo del tutto naturali, d’altra parte non mi pare che gli Inglesi o gli Spagnoli si sforzino più di tanto nell’imparare la base della lingua dei Paesi che vanno a visitare… Gli stranieri sono “belli” proprio perché portano con sé l’esotico. Ma appunto, una cosa è l’esotico, un’altra è l’educazione… “thank you” o anche “grazie” (se non lo si sa dire) è questione di educazione. Gridare idem. Posizionarsi a destra, sulle scale mobili, è già più difficile da fare, se non si conosce la regola e soprattutto se non si è capaci di leggere l’Inglese sui cartelli. Comunque ho capito il tuo discorso, col quale mi trovo in parte d’accordo. E del tutto d’accordo riguardo a certuni che corrispondono davvero e perfettamente alla descrizione enfatizzata di questo post .

  5. Poichè è lampante che quest’articolo è tutto fuorchè un’analisi puntuale, quasi rasenta lo sfogo, non vedo la necessità di rispondere con la ferocia – o l’interesse – di alcuni dei miei predecessori. Ma qui siamo tutti in buona fede, sono certo che non vi offenderete se esprimo la mia opinione.

    Io non sono un anglofono nè ho titoli accademici che dimostrino eccezionale perizia linguistica; inoltre, avendo imparato la maggior parte delle espressioni idiomatiche tramite la rete, non faccio distinzione (e talvolta non ne sono in grado) fra American and British english. Ciò premesso, l’espressione “who’s care” non l’ho mai letta, almeno non in questa forma. Una veloce ricerca su google suggerisce, per l’appunto, che non sia una forma corretta (più che altro, corrisponderebbe ad un’errata trascrizione).

    Il dubbio: che l’autrice sia una saccente provocatrice di terza categoria, parte di quella autoincoronata élite della cultura che poco sa e molto sentenzia? Oppure, con ironia magistrale, dopo aver innalzato un monumento alle sue idiosincrasie, ha deciso di ributtarsi nel fango in compagnia dell’italiano all’estero che tanto critica?

    Spero nella seconda ipotesi. Eventualmente, suggerirei un po’ più di impegno nella correzione delle bozze. Perchè se i contenuti sono banali, quindi condivisibili, la forma potrebbe aumentarne il valore.

    Ciò detto (come se importasse a qualcuno) noto che buona parte dei partecipanti alla discussione – i più attivi, fra l’altro – sono membri dello staff di Abattoir. Senza nulla togliere alla vostra iniziativa e SOLO nell’eventualità che questa situazione si verifichi nella maggioranza dei vostri post – eventualità da me non confermabile – forse sarebbe il caso di riflettere su un eccesso di autoreferenzialità che, seppur tipico dei nostri tempi, sarebbe più umano espletare in altre forme.

    Omaggi

    • Caro lettore,
      Hai ragione, non hai trovato quella forma perchè è palesemente un errore, un mio errore, me ne scuso immensamente, visto che pare l’abbia urtata più del normale.
      Mi spiace anche averle dato l’impressione di essere una ” saccente provocatrice di terza categoria”,
      Mi scuso nuovamente, non era affatto mia intenzione.
      Io capisco che il mio post possa risultare indigesto alla maggior parte di occasionalmente viaggia, ma è solo una mia visione ( esageratamente esagerata rispetto alla realtà dei fatti) , che può non essere condivisibile, come tutto del resto, quindi accetto le critiche anche perchè esposte con una certa educazione ( si può fare di meglio, caro lettore)
      Quello che, francamente, non accetto, perchè del tutto infondata, è la critica alla supposta autoreferenzialità di Abattoir. È completamente fuori strada, noi incoraggiamo SEMPRE il confronto, la discussione, l’esposizione delle idee, anche contrarie. Se poi a commentare sono sempre le stesse persone e tutte parte di Abattoir non ci vedo niente di strano, noi commentiamo a nome nostro, individualmente, quindi davvero, non capisco dove la vede questa autoreferenzialità.
      Continui a leggerci e a farci tutte le critiche che crede.
      Rosita

      • Rosita, tranquilla, se c’è un errore che ora riconosci correggilo. Qui per fortuna non stampiamo libri e quindi possiamo ravvederci in fieri, con tanto di ringraziamenti per le segnalazioni!

    • Ciao Giovanni,
      innanzitutto grazie del commento!
      Rispondo solo parzialmente perché non voglio ripetermi rispetto a cose già dette su, che puoi facilmente (ri)leggere.
      Per capire perché Rosita scrive cose che a te possono risultare “banali”, dovresti sapere di più su abattoir… contenuti che noi cerchiamo di comunicare a chiunque esca fuori da un commento (e soprattutto da uno schermo) e che mostri interesse. Cosa che quindi faremmo volentieri anche con te. Ti do solo un accenno: Abattoir nasce per condividere riflessioni, pensieri critici anche parziali che vanno allargandosi nei commenti, nelle condivisioni e nella mente di ognuno. Noi “macellai” non stiamo nella stessa città, non usciamo insieme la sera, non decidiamo a tavolino cosa scrivere, quindi se trovi qui molti dei nostri commenti non è per gasarci tra noi o per millantare non so cosa, ma proprio perché questo è il nostro mezzo di condivisione e di comunicazione su tante cose, pensieri, riflessioni, idee, osservazioni …che altrimenti rimarrebbero a seccare da sole (quindi senza confronto con nessuno) nelle singole teste. Monadi sterili.
      Abattoir, quindi, serve innanzitutto a noi, per essere “migliori” e non morire di pensieri-non-pensati veramente, non elaborati. E serve a chiunque voglia, come te. E di rimando, serve ancora a noi per leggere i pareri altrui (come i tuoi) e rifletterci su e migliorarci.

      Per la supposta autoreferenzialità che ipotizzi, c’è molto da dire.
      Mi limiterò al fatto che a Palermo abbiamo partecipato a varie iniziative e siamo esseri dialoganti e spesso ricercati da una certa nicchia impegnata e non clientelistica che conosciamo. Ma non possiamo conoscere tutti, perché, a differenza di tanti altri, noi non siamo per la blandizie mediatica, non cerchiamo pubblicità, non scendiamo a compromessi, non andiamo siti siti a fare spam o locali locali a lasciare scintillanti, ma vuoti e costosi (per noi miseri siciliani che si arrabbattano tra studi auto-pagati e lavori malpagati), biglietti da visita o locandine o simili.
      Preferiamo la conoscenza del fare e dei nostri contenuti, che magari non sono perfetti, ma per fortuna (dai frutti che raccogliamo) capiamo che un senso ce l’hanno. Inoltre, facebook e twitter, seppur aiutandoci nella diffusione dei contenuti, raccolgono la maggior parte del nostro bacino di utenza che, troppo pigra e disinteressata per scrivere un commento vero su un sito, si limita ai like, alle condivisioni e a commenti veloci da social. (Fenomeno, come dici anche tu, tipico dei nostri tempo, soprattutto se non sei, che ne so, RosalIo, su cui scrivere un commento ti gasa perché lì diventi visibile; qui non c’è visibilità invece; qui c’è solo voglia di fare. GRATUITA.)

      Per questo, mi sento di ringraziarti del commento critico e spero però che non sia un caso isolato. Come vedi, a qualcuno importa e ci riflettiamo già da tempo su ciò che ci hai scritto anche tu, ma non abbiamo grandi soluzioni fuori dai soliti schemi (che non amiamo) con cui ci si fa conoscere oggi.
      E quindi, torna, scrivici nei commenti o nella forma che vuoi e leggi altri “articoli”.
      Saluti, e a presto.

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