Quant’era bello il concetto di parola d’onore…

di V. T. (trentenne palermitana disoccupata)

Quasi mi vien da sorridere, di un sorriso piuttosto isterico, se penso al perché i giovani non cercano più lavoro. Lo sapete voi, cari Responsabili (o piuttosto irresponsabili), cosa c’è dietro tale non-ricerca? Quale mondo si cela al di là di quello che raccontate voi? Beh, permettetemi di raccontarvi (almeno in piccola parte) la mia verità, quella che ho visto e vissuto io.

Dovevo e volevo essere una professionista del Turismo, con la laurea triennale in Scienze Turistiche conseguita in una prestigiosa università milanese, con la conoscenza di quattro lingue fluentemente parlate e scritte, ed un bagaglio di esperienze sul campo a livello nazionale e internazionale. Per ovvie ragioni (mancanza di posti di lavoro in ambito turistico in Sicilia e necessità di restare nella stessa regione) avevo abbandonato la mia vocazione e mi ero buttata su tutt’altro, del genere: “ogni lavoro lecito va bene pur di guadagnare qualcosa”.
futuro-lavoro-giovaniA febbraio, però, decido di voler tornare a fare ciò per cui avevo finora studiato ed inizio così un iter fatto di giornate a inviare curricula a centinaia di strutture alberghiere in Sicilia. Tra le molte non risposte (neanche quelle automatiche!) e le poche risposte negative, persevero. Da febbraio a maggio mi danno la possibilità, con viaggio a mie spese, di fare delle prove tra Punta Raisi, Selinunte e Sciacca. Risposte? Nessuno che si degnasse di dare un esito, di dire/scrivere qualcosa. Nessuno che spiegasse il perché no. Sono stata io stessa a chiamare per sapere, per non restare in balìa di questi silenzi interminabili, di questo limbo assolutamente inutile; a insistere per sapere perché era “no”, a constatare che avevano scelto un’altra persona, che tutto lo sbattimento da me compiuto era stato vano e che un’ennesima speranza andava accantonata nonostante l’entusiasmo e la forte lena. Salvo poi venire a scoprire, per vie traverse, che al mio posto era stata assunta la figlia di o il nipote de…  Ma perseveri, perché pensi che il lavoro sia un tuo diritto e che l’hai sempre svolto bene, come dimostrano anche le lettere di referenza che hai ricevuto in passato.

Ma il pezzo forte arriva adesso. Un giorno, ormai disoccupata da cinque mesi, allibita rispetto a questo sistema (o non-sistema), continuo l’invio dei miei curricula. Tra i tanti, vengo contattata dal capo del servizio amministrativo di un bellissimo hotel di Panarea, a pochi passi dal porto, struttura tipicamente eoliana, sino all’anno scorso frequentato da molti vip a causa dell’ottimo ristorante in una terrazza meravigliosa con vista mozzafiato. Ricercavano una receptionist, esattamente la posizione per la quale mi ero candidata. Il “signore” che mi contatta – in seguito a determinate sue domande e mie risposte inerenti le mie conoscenze e competenze –  mi chiede di recarmi a Panarea, presso l’hotel, (chiaramente a mie spese) per un colloquio conoscitivo (sebbene avessi chiesto la possibilità di effettuare un colloquio tramite skype). Mi informa che il contratto andrebbe dall’1 giugno all’1 settembre con possibilità di proroga e che sarebbe un contratto stagionale di quarto livello del Ccnl del Turismo. Cosa significa? Vitto e alloggio all’interno della struttura, 1.150 euro netti mensili di retribuzione, più il tfr per il terzo mese (per un importo complessivo di circa 1.500 euro netti) e il diritto alla disoccupazione ridotta (più o meno altri 2.000 euro). Potevo mai perdermi una tale offerta al giorno d’oggi? No di certo, anzi mi sentivo fortunata…
Lo informo allora del fatto che mi sarei organizzata per raggiungere l’isola quanto prima. Causa maltempo, che rendeva impossibile la traversata da Milazzo a Panarea, il colloquio avviene sabato 25 maggio. Partenza e rientro in giornata. Il mio viaggio inizia in macchina da Palermo (quasi tre ore di autostrada), poi traversata in aliscafo di circa due ore da Milazzo a Panarea e rientro lo stesso giorno. Colloquio in sede con il “signore” e supervisione silenziosa della proprietaria della struttura: durata venti minuti.
Il mercoledì mattina vengo contattata da tale “signore” che mi dice che il mio colloquio ha avuto esito positivo e che se sono d’accordo ad intraprendere un rapporto lavorativo con l’hotel devo recarmi sull’isola non oltre il 31 maggio, poiché il contratto sarebbe partito dal giorno successivo. E così il 31 maggio prendo il treno delle 08:00 dalla stazione centrale di Palermo e dopo tre ore arrivo a Milazzo. Raggiunto il porto, causa mare mosso non si ha la certezza che partano gli aliscafi per Panarea. Finalmente, dopo cinque ore di attesa, un aliscafo parte. Arrivata in hotel il “signore” mi presenta la mia compagna di stanza e mi dice di sistemarmi. Prendo possesso della mia camera, sistemo i bagagli e mi reco dal “signore”, il quale mi informa che dovrò prima sostenere due giorni di prova.
Il giorno dopo, dunque, così come richiestomi, mi reco in reception di buon mattino e svolgo alcune attività da lui assegnatemi (sistemazione della direzione e della mia postazione lavorativa, registro presenze su dei fascicoli creati lo stesso giorno, fotocopie varie etc.). Lavoro sino alle 15:30 circa e poi in pausa sino alle 18:15. Alle 19:30 ceno insieme al resto dello staff. Rientro in reception sin alle 21 circa. Il 2 giugno mi reco in reception alle 08:30, come mi era stato detto il giorno prima, svolgo poche attività e alle 10:30 il “signore” mi chiede di sedermi di fronte a lui perché dobbiamo parlare del mio contratto. E così mi spiega che la persona che aveva lavorato lì l’anno precedente ha dato la sua disponibilità per tornare a lavorare in hotel e che dunque la mia presenza non è più necessaria. Non si scusa, non mostra alcun segno di “pena”, ma dice con lunghi discorsi che lui deve guardare al bene dell’hotel e al suo (poiché presto diventerà direttore, se farà andare bene le cose). Obietto due volte: una nel dire che neanche erano trascorsi i due giorni di prova (lui controbatte dicendo che non ce n’era bisogno, dal momento che il ragazzo che era rientrato era in grado di fare tutte le cose che io non sapevo fare e per le quali in realtà neanche mi aveva messo alla prova poiché non c’era stato il tempo; che non poteva perdere tempo con me a spiegarmi tutto, che era stanco poiché era lì da febbraio e doveva produrre e non poteva permettersi di sprecare energie per insegnarmi la maggior parte delle cose che riguardavano il commerciale). La seconda nel dire che già sapeva tutto questo e che la scorrettezza e la mancanza di professionalità che aveva dimostrato nei miei confronti erano sconcertanti, specie dal momento che mi aveva tolto ogni possibilità per altri posti di lavoro poiché ormai le stagioni erano iniziate. Lui? Mi dà un rimborso spese viaggio minimo e mi congeda.

Lascio l’hotel il giorno dopo senza però aver prima girato l’isola di Panarea quasi elemosinando un lavoro, poiché non avrei voluto andarmene via così sconfitta e umiliata con la mente predisposta a trascorrere tre mesi “lontana” da casa pur di lavorare. Il giorno dopo, allora, raggiungo Vulcano e decido di girare tra gli hotel in cerca di un posto di lavoro, ma così come a Panarea tutti gli staff erano già al completo.
Sono rientrata a casa stanca, demoralizzata, incredula, delusa. Credevo che la tenacia potesse portare a qualcosa e invece tale “signore”, di soli cinque anni più grande di me, mi ha mostrato quanto la “parola d’onore” non abbia più nessun valore e che (ammetto, ingenua io a non farmi inviare una lettera d’impegno prima del mio arrivo sull’isola!) la scorrettezza va al di là di ogni aspettativa.
Ci vuole molta forza per suggerirsi di non piangere, di non demoralizzarsi, di pensare “prima o poi tutto avrà un senso” e “con la tenacia si ottiene tutto”. Crederci. Autoilludersi. Avere fede. Perseverare nonostante tutto. Queste sono le vie da seguire, altrimenti ci si perde e, se non si è forti abbastanza, ci si distrugge dentro.

Dunque, cari Responsabili o, mi ripeto, Irresponsabili, leggete i racconti di chi vive la non-ricerca del lavoro e tiratene fuori i perché. Non siamo  tutti choosy. Tanti di noi non lo sono affatto. Vorremmo solo avere delle possibilità. Sebbene la vita stia insegnandoci ad imparare che ci sono state negate anche quelle.

3 thoughts on “Quant’era bello il concetto di parola d’onore…

  1. V.T. hai la mia totale solidarietà, anche io sono nelle tue stesse condizioni, ed ho passato alcune esperienze poco piacevoli con determinati escrementi proprietari di esercizi commerciali. Non lo nascondo, ho smesso di cercare…

    • Aggiungo, la ragazza si firma V.T. e non riporta il nome dell’albergo, perché tutti viaviamo in fondo, nella paura di crearci una “cattiva reputazione”, di quelli che osano denunciare pubblicamente gli schifosi comportamenti nel mondo del lavoro. E se poi qualcuno scopre che rivendico i miei diritti? Viviamo nel timore di essere giusti. Il mondo è rovesciato.

      • No Marco, per fortuna si firma V. T. perché sta provando a fare loro causa! E quindi meglio al momento l’anonimato. Ne abbiamo parlato, visto che noi di solito preferiamo nomi e cognomi “coraggiosi”; l’unica motivazione è questa ;)

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