In memoriam Paolo Borsellino, magistrato

di Emanuele Zabelli

In memoriam Paolo Borsellino, magistrato
(Palermo 19 gennaio 1940 – Palermo 19 luglio 1992)

Cosa ci si porta in casa quando si compra una TV, il 19 luglio 2013, anniversario della morte per strage di mafia del giudice Paolo Borsellino e della sua scorta?

 

Qualche giorno fa mi è ritornato tra le mani un libro che avevo acquistato ad una bancarella di libri usati, per poche lire, ad un mercatino. E ho preso l’abitudine di spiluccarlo qui e là fino a leggerlo completamente; il libro è costituito di brevi paragrafi, accattivanti, adatti ad esser letti anche uno per volta. Il titolo è Faccia a faccia con la mafia di Aristide Spanò, 1978. Si presti attenzione alla data di pubblicazione: 1978.

Nel capitolo conclusivo del libro, Il gioco continua, l’autore scrive:

“Si suole dire che la stampa, con la relativa libertà d’informazione, sia in un paese democratico il quarto potere. Ma troppo spesso alla libertà d’informazione si contrappone la libertà di essere sordi, e il silenzio assume il ruolo di quinto potere, l’ultimo e il decisivo. (…)

Di questa particolare libertà, la libertà di essere sordi, si è ampiamente avvalso il governo nazionale, e anche alcuni “notabili” della politica, per circoscrivere e smorzare il clamore su alcune vicende che li riguardavano troppo da vicino. Quanto ciò abbia giovato alla causa dei mafiosi a tutti i livelli questa sorta di inopportuna omertà* di stato, non lo avremo mai ripetuto abbastanza.

Inchieste giornalistiche, interrogazioni e interpellanze parlamentari sono state “schivate” con un’abilità e una disinvoltura che non trova forse riscontro neppure presso talune repubblichette sudamericane.”

Qualche pagina dopo prosegue così…

“Ma la maggiore difficoltà a colpire la mafia, nella sua complessa realtà attuale, è che essa va assai oltre l’aspetto criminoso vero e proprio, e si innesta in un vasto fenomeno di crisi delle istituzioni statuali, traendone forza ed alimento: è dunque anche un problema di moralizzazione della vita pubblica e della classe politica in particolare, di rilancio della Giustizia le cui azioni hanno subito un forte crack, di svecchiamento della macchina amministrativa, di ristrutturazione della polizia giudiziaria. (…)

E in quest’opera di ristrutturazione e moralizzazione dello stato non possono rimanere estranei i movimenti politici. Sarebbe ora che i partiti inserissero nel loro bagaglio elettorale, oltre alle autostrade, l’industrializzazione e il ponte sullo stretto, anche il problema della mafia, senza mezzi termini. Naturalmente non basterebbero le parole, bisognerebbe cominciare con un esame accurato delle liste dei candidati, e informarsi bene anche sul conto dei gerarchetti locali. La mafia da combattere non è tanto quella delle manifestazioni delinquenziali più o meno collegate al fenomeno, ma soprattutto la mafia nella sua peculiare essenza di potere antagonista – e purtroppo talvolta collaterale – al potere statale togliendole la vernice di rispettabilità che le deriva dalle troppe commistioni con quest’ultimo. Fate il vostro gioco signori, s’il vous plait. Il gioco continua.”

E infine, nelle ultimissime pagine…

“Il progresso, si è detto, inteso come sviluppo della tecnica e del benessere non fa paura alle organizzazioni mafiose, che anzi si inseriscono traendone vantaggio. Eppure lo sviluppo culturale, l’incremento delle comunicazioni, la circolazione delle idee soprattutto attraverso la televisione, la radio e il cinema, a lungo andare incideranno a tal punto sul costume da eliminare la mafia, legata com’è ad una concezione arcaica della società. Allora la mafia sarà soltanto un ricordo storico.”

 

Come mai oggi la mafia è ancora viva? La radio è praticamente obsoleta ormai. La TV è vecchiume che ha fatto la storia. I giornali, i telegiornali e tutti gli altri organi d’informazione si sono moltiplicati negli anni. Come mai questa cultura, questo incremento della circolazione delle idee e dell’informazione non ha avuto possibilità di svilupparsi nonostante gli strumenti tecnici ormai disponibili a chiunque consentano di avere questa informazione, al giorno d’oggi, addirittura tascabile in ogni momento della giornata ovunque ci si trovi? Cos’è andato storto?
Vorrei sapere cosa non ha funzionato nella radio, nelle TV e nel resto dell’informazione, tanto da compromettere, di fatto, la circolazione delle idee, della cultura e dell’informazione rendendo impossibile la fine della mafia così come prospettato da Aristide Spanò.
Vorrei sapere come mai si confezionano libri, trasmissioni televisive, articoli di giornale e si continuano a riempire tutti i contenitori d’informazione con immagini, parole, lettere fondamentalmente vuote, inutili, che non dicono nulla e che non sono altro che fumo negli occhi per chi le legge o le guarda. Come mai quello che doveva essere circolazione delle idee, informazione e quant’altro è diventato soltanto intrattenimento di bassa categoria?
Pier Paolo Pasolini, in un’intervista rilasciata in televisione nel 1971 ad un Enzo Biagi perplesso, ingenuo e stupido come il resto degli ospiti in studio, che non capiscono le sue parole, dichiara a chiare lettere la condizione di inferiorità nella quale si viene a trovare chi accende la televisione in casa propria. Una situazione di sudditanza dello spettatore, servile, che crea una situazione totalmente antidemocratica, non tanto, o meglio, non ancora, per il contenuto del messaggio televisivo, ma proprio per la condizione “tecnica”, per come “tecnicamente” avviene il messaggio tra televisione e spettatore.

 

Ma c’è di più! E tralasciamo i motivi per i quali ancora oggi, nel 2013, non sia diffusa tra la gente la grande verità e consapevolezza che già quarant’anni fa ci rivelava Pasolini sulla condizione della TV, da superiore ad inferiore, ex-catedra. Chi, capendo invece molto bene i meccanismi di sudditanza antidemocratici ai quali Pasolini fa riferimento in questa intervista, messi in moto dal mezzo televisione e dagli altri media di massa, li ha saputi usare in tal modo da non far emergere informazione, cultura, circolazione delle idee, a tal punto da impedire di incidere sul costume della gente e decretare la fine della mafia? A tal punto che oggi, luglio 2013, non solo non ci sono spiegazioni su cosa sia successo in via D’amelio 21 anni fa, ma, per esempio, non ci sono spiegazioni su cosa sia successo a Portella della Ginestra ben 66 anni fa? Vicenda legata alle gesta del bandito Giuliano, sulla quale vige il segreto di Stato sino al 2016.
Chi…? Ma soprattutto perché e come mai ha potuto un popolo pieno di cultura come quello italiano, quantunque sempre un po’ fascista per natura, ridursi in tale stato di sudditanza come quello nel quale si trova oggi?
Vorrei sapere.

 

* In Appendice, Il rebus dell’antimafia, sul concetto di omertà l’autore scriverà: “Il carattere più saliente del costume di mafia è l’omertà. (…) L’omertà nasce da una distorsione di un sentimento dell’onore, lo si è osservato sin dal secolo scorso, e non certo dall’intenzione di favorire in qualche modo i manigoldi. Per comprendere come essa sia entrata nel costume, bisogna risalire alle origini della mafia, la quale nacque come forza destinata a supplire alle deficienze di uno stato corrotto e incapace, che costrinse i cittadini alla difesa privata nella carenza dei poteri pubblici, a rinchiudersi in quelle tradizionali leggi isolane che sole potevano assicurare il vivere civile.”

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