Le scritture collettive: queste sconosciute

Quando si pronuncia in pubblico l’espressione “scrittura collettiva” un misto di diffidenza e pietà si impossessa dell’uditorio. Una risata amara si disegna sul volto delle persone. Ascoltatori (e potenziali lettori) tendono a considerare la succitata pratica scrittoria solo come un bizzarro esperimento di simil-letteratura riproposto fuori tempo massimo dal pazzo-sessantottino-comunista di turno. La scrittura collettiva come un esperimento sovietico di collettivizzazione dell’arte, insomma. Ma, se la diffidenza lasciasse spazio al dubbio e alla curiosità, ci si renderebbe conto che le scritture collettive hanno una storia molto antica e degna di rispetto. Agli ascoltatori perplessi, ai lettori scettici, mi piacerebbe ricordare che l’Odissea, l’Iliade e anche la Bibbia sono state il frutto di un’elaborazione comunitaria. Mi piacerebbe ricordare che molto prima dei romanzi scritti a quattro mani da Fruttero e Lucentini esistevano le tenzoni dei poeti trovatori. Mi piacerebbe ricordare anche i dialoghi, i centoni, i canti popolari, i cadaveri squisiti surrealisti e tanto altro ancora. Dunque le scritture collettive non sono né casi rari ed eccezionali nella cultura europea, né sono strettamente legate alla cultura sovietica. Attualmente esse hanno ottenuto un certo successo commerciale e artistico soprattutto grazie agli scritti del collettivo Wu Ming, Kai Zen e dei Sic. Quest’ultimo gruppo, fondato nel 2007 da Gregorio Magini e Vanni Santoni, ha elaborato un metodo di scrittura per la stesura partecipata di opere narrative da parte di gruppi e masse. A questo proposito è giusto ricordare che non tutti i gruppi di scrittura sfruttano le stesse tecniche di composizione e che l’elaborazione artistica è anche un problema di metodo strettamente connesso agli scopi dello scrivere. Se ad esempio i Sic individuano tra i fini ultimi del loro operare i seguenti punti:

– far diventare la scrittura collettiva dei piccoli gruppi una prassi letteraria

– scrivere un grande Romanzo Aperto, un libro collettivo da centinaia di utenti, che sia innanzitutto un buon libro

– dare vita a una rete di lettori e scrittori attenti all’innovazione e sensibili al tema della condivisione del sapere1

c’è anche chi vede nella scrittura collettiva una pratica alternativa al “muro dell’individualismo esasperato”2 e che al di là dell’esito letterario punta ad ottenere risultati positivi dal punto di vista sociale. Insomma, c’è chi guarda alla scrittura collettiva non solo come prassi artistica ma anche come mezzo di integrazione e benessere. Ne sono un esempio i corsi di scrittura promossi da Leonardo De Sanctis insieme a Nadia Maialetti e Donatella Scotti a Roma.

In conclusione sarà possibile intuire che quando si usa l’espressione “scrittura collettiva” non ci si riferisce ad un referente unico (un bizzarro esperimento sovietico di simil-letteratura), ma ad un grande insieme di realtà che coprono un arco temporale molto vasto e che si sono avvalse di varie tecniche per perseguire scopi differenti. La scrittura come strumento per cristallizzare l’epos di un popolo o le sue credenze religiose, la scrittura come pratica corale, la scrittura come creazione artistica, la scrittura come mezzo collettivo per superare il disagio sociale, questo e molto altro ancora sono le scritture collettive.

12 thoughts on “Le scritture collettive: queste sconosciute

  1. Complimenti per aver trattato il tema. Mi permetto di aggiungere almeno un’opera frutto di un divertissement collettivo: “Dubbi amorosi”, 1535 circa. =)

  2. Non sempre scrivere in gruppo è una cosa semplice. Nel gruppo, per forza di cose, si deve trovare un terreno comune, uno stile unico, si litiga facilmente (trovare gruppi in cui tutti vanno d’accordo: che palle!), ognuno porta il proprio bagaglio di esperienze che può essere ricco oppure no, e però si crea anche un legame forte tra gli autori.
    Il TCDM Lab ha creato “Strage di Natale” che, pur essendo di poche pagine, dietro c’è una lunga storia di lunghe serate e lunghissime liti.
    Bell’articolo, comunque.

  3. Anche io ho partecipato (ed anzi proposto e iniziato) un’opera di scrittura collettiva.
    Erano i tempi d’oro del Box 4 a lettere e la stesura andò avanti per un buon annetto. Il risultato fu chiamato “Il Mahābhārata del box 4”. In fin della fiera era un cazzeggione cosmico scritto a più mani in cui personaggi reali e non entravano ed uscivano in una storia quasi totalmente sconclusionata. Eppure a me come esperienza collettiva piacque molto. Di più penso che su internet una scrittura collettiva, tramite un blog, la scrittura collettiva possa diventare quasi automatica, e magari andare verso logiche crossmediali.
    Peraltro ho sempre cercato gente cui andasse l’idea di tentare l’avventura, ma con scarsi risultati! :-P

  4. Io l’amo *__* e la credo anche terapeutica, al bisogno!
    Ho fatto due corsi qui a Palermo con “le città invisibili” in cui si passava dalla individuale alla collettiva con diverse “tecniche” e come niente fosse e i risultati erano quantomeno emozionanti. Qualche volta noi ci abbiamo provato, ma ci vuole tempo e testa. Potremo rifarlo per divertissment! Io ci sono!

  5. Federico, grazie del tuo commento all’articolo. Con la tua testimonianzza non fai altro che confermare quell’idea della varietà e della molteplicità insita nella natura della scritturra collettiva :D
    Se è consultabile on-line potresti anche linkare il testo di “strage di Natale” tra i commenti.
    un abbraccio
    AnnaLisa

  6. Joseffis ti ringrazio dell’attenzione e del commento, come ho scritto poc’anzi anche a Federico sarebbe interessante linkare i frutti di cotante meningi frullate insieme :D Se c’è qualche reperto virtuale linkabile di “Il Mahābhārata del box 4″, linka pure in un commento a questa pagina. Sarebbe bello condividere la vostra esperienza!
    un abbraccio
    Annalisa

  7. Io ho letto ” la strage di Natale” ( credo che sia in vendita come e-book) e l’ho trovato un esperimento riuscitissimo, quindi, al netto di liti, discussioni ( proficue) e paranoie varie, credo che la scrittura collettiva sia o debba essere la nuova frontiera della scrittura, in barba agli individualismi che hanno un po’ stufato. ( ad esempio, l’esperienza di editing collettivo del progetto letterario di abattoir l’ho trovato utilissimo e “rinvigorente” per i nostri neuroni, riallacciandomi all’articolo di oggi di Emi)

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