Storytelling – Le anime erano piene di impazienza

di Pigi Arisco

Uff! Finalmente posso posare questa sacca, pesa un quintale.

Sono veramente esausto, senza forze, non sono più un ragazzino ed i bagni di folla mi mettono fuori combattimento. L’ingresso dell’albergo mi è sembrato un miraggio, tra colleghi giornalisti, cameraman e pulmini vari sembrava di stare in un girone dell’inferno. Già, il girone degli idioti. Perché bisogna essere degli idioti totali per dire al proprio capo: «Ok direttore, il matrimonio del rampollo inglese con la cenerentola di turno lo seguo io, nessun problema».

Idiota che sono stato, anche se apparirò su tutti i telegiornali per una settimana, non è certo un’impresa da Pulitzer. Non c’è da andarne fieri, il fatto è che volevo fare uno sgarbo a Silvia, la mia collega super-figa convinta di avercela solo lei e per giunta placcata oro… Bah! Che frase maschilista, è proprio vero che le donne sanno tirare fuori il peggio da noi, soprattutto quando rifiutano, inspiegabilmente, di venire a letto con te. Comunque… ormai sono qui, cerchiamo di farcela piacere ‘sta vacanza-lavoro. Ancora con i capelli umidi dalla doccia mi sdraio sul letto matrimoniale della stanza e prendo una rivista dal cassetto del comodino. Le prime pagine parlano solo del matrimonio di William e Kate, due palle! Mi torna in mente mio nonno Cetto, contadino siciliano, anarchico. Lui avrebbe commentato l’evento così: «A me del matrimonio di William e Kate non me ne fotte una beata minchia!». Mi scappa da ridere, era forte nonno Cetto, così decido di farlo contento e salto le prime quindici pagine dedicate al matrimonio reale. Sfoglio distrattamente il resto, verso la fine trovo un articolo interessante, parla dello Swatziland, una piccola nazione grande quanto il Veneto in pieno Sud Africa. Leggo che si tratta di una monarchia assoluta, ne sono sorpreso, non pensavo ne esistessero più. Inoltre il Re Mswati III ha preso il posto del padre a soli diciotto anni. È uno degli uomini più ricchi del mondo, e anche uno dei più idioti a quanto leggo. Per mettere un freno alla strage che l’AIDS stava facendo nel suo Paese ha introdotto la legge della castità, ovvero castità femminile fino ai ventiquattro anni. Ma si può essere più idioti? La castità per sconfiggere l’AIDS! Ora che ci penso anche in Europa c’è un altro genio che propone qualcosa di simile, e ce l’abbiamo pure in Italia. In Swatziland però stanno decisamente peggio, leggo che la popolazione vive con meno di un dollaro al giorno e che l’aspettativa di vita è di trentatré anni, la più bassa al mondo… Cazzo, sono veramente pochi trentatré anni, lì sarei già vecchio. Ne ho trentasette e mi lamento dei primi capelli bianchi, lì non sanno proprio cosa siano. Ovviamente il loro re non ha di questi problemi e lui di anni ne ha quarantatré, ha pure quattordici mogli e ventitré figli con i quali vive nel lusso più sfrenato e sconsiderato. Leggo pure che questo capolavoro di intelligenza ed umanità è venuto qui a Londra per assistere al matrimonio reale e che per l’occasione ha comprato un Jet. Un jet costa circa 60 milioni di dollari, e nel suo Paese vivono circa 1 milione di persone; avrebbe potuto regalare due mesi di pasti gratis ai suoi cittadini se avesse preso un normale aereo di linea. Guardo la foto, ha pure un faccione simpatico questo concentrato di merda, avido e senza cervello. Tiro la rivista sulla poltrona, sono veramente distrutto dalla stanchezza, chiudo gli occhi e mi addormento.

Sento un fruscìo accanto a me, apro gli occhi e li vedo, una processione di donne, uomini e bambini tutti neri, magrissimi, entrano dalla porta della camera d’albergo, anche se chiusa, guardano dritto davanti a loro, passano ai piedi del letto ed ognuno di loro gira la testa per un secondo, a guardarmi; è la cosa più spaventosa che abbia mai visto, non hanno le pupille! I loro occhi sono tutti bianchi, aperti e senza vita. Dopo proseguono la loro marcia fino alla finestra, attraversano anche quella e spariscono, ma per ognuno che sparisce un altro attraversa la porta. Ad un certo punto il primo della fila rientra dalla finestra vicina al mio letto, all’altezza del cuscino punta dritto su di me seguito dagli altri, attraversa il letto ed è diretto proprio sulla mia faccia… È troppo. Urlo con tutta la forza che ho in gola, per lo sforzo mi si chiudono gli occhi, strizzati fino a vedere i puntini colorati. Quando li riapro sono sveglio, da solo, con i peli della nuca dritti come spilli e le gambe rigide come due pezzi di legno.
Mi alzo, vado in bagno a sciacquarmi; sono una persona razionale, tutte le volte che ho un incubo cerco subito il motivo che ha spinto la mia mente a creare quelle immagini e la spiegazione è fin troppo facile: la pessima cucina inglese mista all’articolo appena letto sono una spiegazione più che sufficiente a calmarmi. Quello che la mia mente non riesce a spiegare è il fatto che, uscito dal bagno, trovo una decina di quegli uomini, donne e bambini seduti sul mio letto che mi guardano con i loro occhi senza vita. Corro a nascondermi in bagno, mi guardo allo specchio, sono sveglio sicuramente, per essere ancora più sicuro metto la nuca sotto l’acqua gelida, mi asciugo, esco dal bagno. Niente da fare, sono ancora lì, in religioso silenzio aspettano. La mia mente razionale dà forfait, abbandona il campo, si gira dall’altra parte come a dire: “Per me niente di tutto ciò è vero, se continui a vederli cazzi tuoi, risolvi la situazione da solo”.  Sento le gambe che mi tremano, ma in fondo quella gente non è minacciosa, fanno solo paura per il loro aspetto e per la sofferenza che i loro corpi nudi raccontano. Ognuno di loro avrà passato le pene dell’inferno prima di morire, ed io sono un giornalista, ho il dovere di raccogliere le loro storie, di raccontarle.
«Siete i morti dello Swatziland, vero?». Lo chiedo in inglese, forza dell’abitudine; uno, il più alto, fa cenno di sì con la testa. «Capite quello che dico? Capite la mia lingua?».
«Il nostro popolo è stato dominato per secoli dagli inglesi, abbiamo dovuto imparare la loro lingua. Non avere paura di noi, avvicinati, vogliamo solo parlarti».
Mando definitivamente affanculo la mia mente razionale ed ogni pensiero precauzionale, mi avvicino, mi seggo nel letto in mezzo a loro, li guardo da vicino, nessuno ha un solo capello grigio, le donne sono tutte giovani e sode, i bambini… beh loro hanno delle pance enormi, gli zigomi a punta, i denti storti e sporgenti e le dita talmente storte e nodose da sembrare ingovernabili; i loro corpi gridano fame da ogni angolo. Resto tutta la notte a parlare con loro, mi confermano quanto ho letto sul giornale, mi raccontano le fatiche, il dolore, la follia che a turno ha preso ognuno di loro, e la causa era sempre la stessa: FAME. Dopo un’intera notte di racconti ci siamo salutati con abbracci sinceri e calorosi, avrei voluto prendere tutti quei bambini e portarli via con me, riempirli di cibo e regali per il resto della loro vita; ma loro una vita non l’avevano più, l’avidità del mondo e soprattutto quella del loro re gliel’avevano portata via presto, prestissimo.
Alle prime luci dell’alba mi sono infilato sotto la doccia, l’acqua riusciva a nascondere il mio pianto a dirotto, ma nessun rumore avrebbe potuto nascondere i miei singhiozzi, espressione sincera ed incontenibile di un senso di miseria, impotenza e frustrazione. Mi accucciai in un angolo abbracciando le gambe e premendo la fronte sulle ginocchia rimasi così per un tempo infinito con l’acqua calda che cadeva sulla nuca nel vano tentativo di scaldarmi dentro. Il nostro corpo è una macchina meravigliosa ed anche quando sembra di essere precipitati nella più profonda disperazione, ad un certo punto, da qualche parte, un interruttore si accende, smetti di piangere, riacquisti forze e lucidità ed esci da quello stato di sconforto come se fosse sempre stata la cosa più facile del mondo.

Fuori il sole è già alto, mi vesto e scendo a fare colazione; entrato nel salone tutte le energie che avevo recuperato grazie all’interruttore magico spariscono in un lampo. Nella sala, circondato dalle guardie del corpo c’è Re Mswati III intento a strafogarsi la tipica colazione inglese. Chiedo ad un cameriere che ci faccia una simile celebrità nel nostro albergo, Londra ne ha sicuramente di migliori e più costosi. Mi spiega che durante la notte hanno dovuto trasferirlo perchè una folla di contestatori non voleva saperne di andarsene da sotto le finestre. Guardo di nuovo il re, mi disgusta proprio vederlo mangiare, quelle guance tonde e lucide sono l’ennesimo sputo in faccia al suo popolo che letteralmente muore di fame. Chiudo gli occhi perchè non riesco a sopportarlo, quando li riapro davanti a lui ci sono alcuni dei miei amici; un uomo è messo di fronte a lui, le braccia lungo il corpo, i pugni serrati, i muscoli delle esili braccia in tensione, la testa immobile, ma il mento trema vistosamente. Accanto al re c’è anche uno dei bambini, non lo guarda, il suo naso è quasi dentro il piatto cercando di percepire, immaginare quale odore possa avere quel cibo sconosciuto. Il re, finito il suo piatto, si alza e va al bagno. Mi alzo anch’io, lo seguo. Deciso a fare quel che va fatto. Le guardie del corpo mi fermano, mi dicono di aspettare, cazzo non posso entrare con lui. Aspetto, mi sento come il più inutile degli insetti, non riuscirò mai a vendicare quei bambini. Dopo un tempo infinito il re esce, ora posso entrare, mi guardo allo specchio. Alle mie spalle appare una delle donne della notte scorsa, mi indica un angolo del bagno, c’è un armadietto rosso, dentro un estintore ed un’accetta, il lucchetto è aperto, prendo l’arma. Apro leggermente la porta dei bagni, il re è ancora lì a guardare dalla finestra, le guardie mi danno le spalle, passa una inserviente con il carrello delle lenzuola, le guardie si girano a guardarle il culo, esco, alzo l’accetta e in tre passi sono sul re. Calo l’arma con tutte le mie forze, non ho idea della resistenza che potrei incontrare, sento il crac delle ossa e la lama che si blocca dopo diversi centimetri, il re si accascia. Metto un piede sulla schiena di quello che ormai è un cadavere per estrarre l’arma, è la mia ultima mossa. Una pioggia di pallottole mi investe il fianco, le braccia, il collo, ed infine il petto; ogni colpo mi stordice, il cervello mi manda flash ed immagini confuse: c’è una folla che festeggia, poi l’esercito che spara, poi la folla che combatte, poi militari che abbandonano le divise e poi giovani in fila per entrare in una stanza a votare e giovani sorridenti che mostrano il dito indice macchiato d’inchiostro. Sono una mente razionale, so che quello non è il futuro, è solo il mio cervello che mi consola, però è comunque una bella sensazione e mi consente di morire con il sorriso sulle labbra e questo è un privilegio riservato a pochi.

2 thoughts on “Storytelling – Le anime erano piene di impazienza

  1. Bel racconto, almeno non traspare l’insensata voglia di “esportare la nostra democrazia”, ma solo la rabbia che dovrebbe infiammare l’opinione pubblica.

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