Le mie matrigne

Fotografia di Chiara Mazzola

Fotografia di Chiara Mazzola

Questo è un post molto autobiografico, che parla dei modelli femminili cardine della mia formazione, ma salto volentieri l’imbarazzante preambolo di Spice girls e Sailor Moon, in particolare il problema che i due gruppi di donne costituivano nel momento dell’identificazione con una – e nient’altro che una! – componente, che poneva dilemmi irrisolvibili alle bambine, per la voglia di essere il quinto elemento, quello mancante a completare i gruppi di gioco che simulavano il cartone o la band.
Ne fui sempre esclusa.
Mi riscattai disegnando, e così divenni la più brava disegnatrice di sailor della classe, compagni e compagne facevano la fila pur di aver una combattente vestita alla marinara con sotto la mia firma (di cui in realtà importava ben poco).
Ma non è del mio paraculismo sociale che in questo post voglio parlare. Dedico questo spazio alle donne della mia vita, quelle che mi hanno dato insegnamenti e consigli, in qualche modo, ma non certo loro malgrado.

Solitamente non amo i discorsi di genere, anzi sono quasi ostile. Il “noi contro voi”, schema dicotomico e da complottisti, non fa per me. Non sopporto il termine “quote rosa”, non voglio maggiore punteggio ai concorsi o ai test d’ingresso perché sono donna, no. Ma il fenomeno del “femminicidio” (altro termine che non sopportavo finché non s’è rivelato davvero un’emergenza) un po’ mi ha scossa, così ho deciso di fare un post di genere, un piccolo grazie alle donne che hanno costruito i miei valori e il mio immaginario.

Alle origini fu Lara Cardella: ho sempre amato i miei jeans

La giovane donna mi fu presentata da mia madre, grande lettrice, per mezzo del suo romanzo d’esordio Volevo i pantaloni, che si potrebbe definire di formazione. La protagonista, Anna, si trova immersa nel clima asfissiante della Sicilia anni ’80, in cui trucco, pantaloni e minigonna erano sinonimi di “puttana”. Anna, per il suo ribellismo giovanile, viene punita dalla famiglia che cerca, a modo suo, di tutelarla dalla società, ma quasi per contrappasso, la minaccia al suo  onore arriva proprio dal parentado.
A proposito di semiologia dell’abito, in risposta ai dati sconcertanti sulla connessione stupro-minigonna, radio Capital ha dedicato un servizio alla storia dell’indumento, simbolo del femminismo degli esordi, molto interessante essendo un capo d’abbigliamento che talune frange del femminismo post-sessantottino disprezzano e additano quale libidinis hominis causa.
Io comunque ho sempre preferito i jeans.

La voce nasale e blues di Lauren

Lauren Hill risale al mio periodo rap (talmente breve che ben presto mi sono gettata sul rhythm’n’blues). I suoi testi sono profondi, spesso riguardano l’amore, il riscatto, l’arte. Il punto di vista è femminista e mai superficiale (eccezion fatta per That thing, un po’ generalizzante e sessista, ma pur sempre una bella canzone). Esordiente con i Fugees (per chi non li conoscesse [new generation], consiglio: Killing me softly), nel 1998 diventa solista e pubblica The Miseducation of Lauryn Hill: la maleducazione, il titolo di uno dei film di Almodovar che preferisco (è solo una divagazione: nel caso dell’album il titolo si ispira al libro The Miseducation of the Negro di Carter G. Woodson).
Per le innamorate: Tell him.

Poi arrivò la groupie: Courtney Love

Una delle figure più controverse del rock. L’ho amata per la sua bellezza, la sua dannazione, la sua voce roca, graffiata, la sua musica perfettamente grunge, i suoi testi così pieni della sua anima, aggressiva, sensuale e, talvolta, fragile. Ovviamente ero innamorata persa anche e soprattutto di suo marito, Kurt Cobain. Se ne sono dette tante su di lei, c’è chi arrivò a pensare che fosse stata lei a uccidere il frontman dei Nirvana, padre di sua figlia, Frances Bean. Eppure nelle foto che li ritraggono insieme e nella loro vita avvelenata io l’amore l’ho sempre visto.
Per le insicure: Pretty on the inside.

La comunista: Meg

Grazie a lei e ai 99posse mi sentii dire, a proposito di un tema in classe al secondo anno di superiori, che se quello fosse stato un articolo, mi avrebbero potuto denunciare. «Ma da dove le hai prese queste cose?» mi chiese il mio professore di italiano. «Sono cose che so» risposi, molto genericamente. Non gli volevo dire di essere così arrabbiata e comunistoide perché ascoltavo la band napoletana.
Meg, la ragazza con il bridge tra le sopracciglia che cantava Vulesse ai detenuti: quante cose mi ha insegnato. Ma ora che è solista ammetto di non ascoltarla più, così come non ascolto più i 99posse. Non riesco a concepirli divisi.

La bassista dei Verdena

Una bassista: e questo bastava, per me, a renderla speciale. L’ho emulata, ovviamente. Ma il mio basso lo chiamai Chris.

La lesbica, Jeanette Winterson

La mia scrittrice preferita, ho tutti i suoi libri. Mi ha letteralmente cresciuta. Scrittrice e giornalista inglese, il primo romanzo che ho letto fu Scritto sul corpo, e siccome all’epoca non leggevo molta critica letteraria, non mi ero accorta che il punto di vista del narratore fosse volutamente ambiguo e asessuato.
La scrittura è tipicamente giornalistica: periodi brevi e concitati. Sprazzi lirici. Aforismi (o sententiae).
I fili rossi che legano tutte le sue opere sono tre: passione, storia, genere.

Le italiane: Carmen e Cristina

Concludo con loro, le mie compaesane. Carmen Consoli mi è stata vicina in periodi oserei dire “tragici” della mia vita, in particolare mi ha aiutata a ritrovare me stessa e l’orgoglio del mio essere donna (Besame Giuda).
L’altra, inizialmente, mi stava antipatica. Sì, mi sembrava un po’ piena di sé (Raso e chiome bionde), ma ero io a non capirla. Ciononostante, certe sue canzoni mi hanno portata a stimarla e a comprare il suo album d’esordio (è da allora che la seguo): Stelle buone, Senza disturbare sono impareggiabili.
P.s. Se vi capitasse in città per un suo tour vi consiglio di andarci, l’atmosfera è intima, parla al pubblico come se fosse al bar tra amici.
Per le infelici: Torno a casa a piedi.

Qualche donna è rimasta fuori, come Margaret Mazzantini («sono i difetti che ci caratterizzano»); Tina Modotti (la fotografa sulla quale suggerisco una splendida biografia di Pino Cacucci, Tina); Diane Arbus (altra fotografa, per saperne di più: Fur – un ritratto immaginario di Diane Arbus); Asia Argento; Sibilla Aleramo (Una vita è il suo libro; un film sulla sua vita: Un viaggio chiamato Amore), Frida Kahlo (Frida); Laura Scarpa (direttrice della rivista Scuola di fumetto e fumettista); Marjane Satrapi (autrice di Persepolis).

Chissà quante ne ho dimenticate: mi perdonino, talvolta è stato amore, talaltra infatuazione.

2 thoughts on “Le mie matrigne

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