#Gaza: parliamo di “occupazione”

Produrre una riflessione sulla “questione israelo-palestinese” è molto complesso in questo momento. I media ufficiali preferiscono mantenere cauti i toni e non approfondire eccessivamente ed è proprio in queste ore che l’informazione via Facebook, Twitter o blog indipendenti prende il posto del tg della sera.

Da parte mia non credo sia interessante apporre un ulteriore contributo informativo sulla questione.

Vorrei soltanto chiarire, ragionare, sulle parole utilizzate per descrivere questi eventi che in questi giorni stanno prendendo sempre più spazio nelle riflessioni geopolitiche e su una in particolare.

Quella che propongo è una riflessione sul lessico e un suo uso che guardi alla decolonizzazione della Palestina.

Parliamo di occupazione.

Quando si parla di “conflitto israelo-palestinese” si pone, già sul piano del discorso, una leggitimità intrinseca dei due attori del conflitto, nel conflitto stesso. In qualsiasi litigio o disputa, da un punto di vista puramente legale, si presuppone un’appartenenza allo “stato di diritto” in cui si produce la rottura. In uno Stato democratico ogni cittadino è dalla nascita soggetto del diritto e ne gode i benefici o ne subisce le conseguenze in caso di non adempimento al patto (multa, prigione, pena di morte).

Nel caso dello Stato di Israele credo che si debba spostare l’angolo di osservazione in quanto trovo problematico il fatto stesso di considerare questo Stato un “soggetto di diritto”.

Il processo costituente che ha portato alla formazione dello Stato di Israele è, in sé, problematico.

Ogni Stato, se si va indietro nella storia, ha affermato la sua esistenza con la violenza, questo non lo si mette in dubbio. Ecco perché non credo sia utile attaccare Israele esclusivamente da un punto di vista etico centrando l’attenzione sull’utilizzo di armi ad alto potenziale distruttivo, del fosforo bianco, ecc.

Andando a monte, credo si debba ricostruire la genealogia di Israle e vederne i caratteri paradossali.

In breve, la Palestina (ottomana), uscita sconfitta dalla prima guerra mondiale, inizia a confrontarsi con le istituzioni ebraiche già nel 1917 quando gli inglesi creano la Jewish National Home in Palestine per poi terminare con la creazione dello Stato di Israele nel 1947 da parte dell’Assemblea delle Nazioni Unite.

L’occupazione da parte del nuovo Stato nascente avviene quindi in maniera anomala rispetto a quelle che possono avvenire in seguito a guerre di conquista. Non possiamo parlare di un soggetto di diritto contro un altro soggetto di diritto che si scontrano su un medesimo piano. Dobbiamo per forza distinguere tra “abitanti legittimi” che abitavano e lavoravano in terra palestinese ed “occupanti illegittimi”, nati in quanto soggetti istituzionali in seguito ad un provvedimento di un organo internazionale chi si autorizza a creare nuovi spazi di diritto.

È qui che pongo il centro focale della critica ed è da qui che parto per pensare alle ipotetiche soluzioni in termini di decolonizzazione ed eventuale coabitazione.

La coabitazione trai due Stati non sarà possibile senza una effettiva decolonizzazione in quanto i presupposti costituenti non sono gli stessi e non si possono trarre conclusioni da ragionamenti asimmetrici. Questa non è una guerra, è un’occupazione istituzional/militare e quelli che vengono chiamati “attacchi palestinesi a Israele” preferisco chiamarli “atti di resistenza”.

In questa sede non mi occupo del ruolo di Hamas e delle sue connessioni internazionali e del suo ruolo nella resistenza ma ci sono saggi e articoli di approfondimento che sicuramente ne parlano meglio di come potrei fare io.

2 thoughts on “#Gaza: parliamo di “occupazione”

  1. Riccá.. mi ti interrompi sul più bello.
    Sono assolutamente d’accordo sugli atti di resistenza palestinese ma al netto di 200 e passa vittime perché hamas ha rifiutato la richiesta di cessate il fuoco proppsta dall egitto? Il washington post ( un filo filo israeliano) avanza l’ipotesi chr hamas stia approfittandp dei morti per spingere egitto e stati uniti a una soluzione “diplomatica” che gli permetterebbe di avanzare richieste pendenti da tempo. Persino l’uccisione dei tre ragazzini isrEliani, il casus belli dell’ultimo conflitto, sarebbe stato fatto per prpvocare israele, certi che la risposta sarebbe stata cruenta e sanguinosa. C’é speranza per questi due popoli??

  2. Ro, credo che nessuno possa sapere cosa si nasconda dietro Hamas e quali siano gli interessi “veri”. Io, onestamente, preferisco non andare troppo alla deriva seguendo questa o quella teoria dietrista non confermata. Mi attengo alle fonti che reputo più serie, organizzazioni militanti che agiscono da anni sul territorio e che raccontano di centinaia di morti, di attacchi a civili, ad ospedali. Un “cessate il fuoco” di un paio di giorni non è che poi sia il big deal del secolo… Bisogna mettersi un po’ nei loro panni, ad un certo punto l’elemosina non l’accetti neanche più, preferisci farti saltare in aria pure piuttosto…

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