Storytelling – Lobby di potere

di Fabio Campoccia

Il petrolio finì una mattina di fine autunno.
In genere uno si aspetta che le cose succedano gradualmente, che vengano preavvisate, che ci siano dei precisi indizi del cambiamento.
Invece tutto successe da un momento all’altro. Una mattina i pozzi di greggio smisero di funzionare e fu tutto.
Io non mi ricordo molto, ero solo un bambino. Le uniche cose che mi vengono in mente di quel periodo sono il freddo cane dell’inverno e la puzza di fumo che proveniva dai camini improvvisati nella città. La gente, per non morire di freddo, bruciava qualsiasi cosa. E per non morire di fame mangiava qualsiasi cosa.
Mio padre mi racconta che fu un momento molto difficile, ma che alla fine tutti si organizzarono e fecero la cosa più ovvia: andarono a vivere in campagna e cominciarono a coltivarsi il cibo da soli. Quando hai fame impari in fretta. E, se riesci a riempirti lo stomaco e a non morire di freddo, il resto conta poco.
Certo, tutto diventò terribilmente faticoso e lento. Ci si ricominciò a muovere con i carri trainati dagli asini, a lavorare la terra a mani nude, ad accendere il fuoco e a trasportare l’acqua dai fiumi.
Furono anni durissimi, ma l’umanità sopravvisse e si adattò.
Oggi naturalmente i vecchi si lamentano sempre con i ragazzini di quanto è brutto il mondo adesso e di quanto era bello il mondo prima che il petrolio finisse. Ci raccontano che loro potevano spostarsi da un lato all’altro del mondo in poche ore, che potevano viaggiare nelle automobili, che non dovevano spaccarsi la schiena a lavorare la terra perché c’erano i trattori, che c’era la luce elettrica, l’acqua corrente, il riscaldamento tutto il giorno. E poi attaccano la tiritera che i giovani di adesso sono dei buoni a nulla, che non saprebbero neanche accendere un computer e che non capirebbero niente di elettronica e di tecnologia.
Io non lo so com’era davvero il mondo prima. Certo se poi quel mondo è finito si vede che per quanto bravi e intelligenti gli uomini di prima non avevano previsto tutto. Non ho mai capito bene a cosa servisse davvero il petrolio. Quando i vecchi ne parlano quasi si commuovono, come se fosse stata una cosa sacra e meravigliosa. Evidentemente doveva essere un gran bene averlo.
Mio padre mi ha spiegato che prima tutti i lavori erano facili perché li facevano le macchine alimentate dal petrolio. Inoltre tutti gli utensili, i vestiti, i giocattoli, i cibi e persino i libri li producevano le macchine senza che nessun uomo facesse fatica.
Mica bisognava andare come adesso dal vecchio Tommasino a chiedergli un paio di scarpe nuove e aspettare una settimana prima di averle. Ci pensavano le macchine che te le facevano subito, e più belle di come le fa Tommasino.
C’erano tanti oggetti, alcuni utili, altri meno utili, ma gli anziani erano felici perché ne avevano tanti. Era bello. Nessuno doveva lavorare, tutto era facile e nessuno faticava.
Mio padre dice che le uniche cose preziose sono quello che metti nello stomaco ed il lavoro che hai fatto per ottenerlo. Mentre prima c’erano tante altre cose preziose. Ma mi dice anche di non dare ascolto ai vecchi. Tutti quegli oggetti non servivano a nulla.
Penso abbia ragione lui. Non ho mai dato tanto ascolto a quei racconti.
Grazie al babbo non salto mai un pasto e mamma cucina proprio bene.
Poi ho tanto amici. Ogni giorno non appena finisco di aiutare il babbo al lavoro vado a giocare con loro e non penso più a nulla.
Un giorno è successa una cosa.
Ero con Piero, che è il mio migliore amico. Era pomeriggio e cercavamo un posto dove fare un sonnellino. Mentre giravamo per la città vecchia abbiamo visto un edificio grande tutto diroccato, così pieno di calcinacci e immondizia che abbiamo pensato subito che fosse disabitato.
Chi mai potrebbe tenere la propria casa in quelle condizioni!
Invece qualcuno ci viveva in quel posto.
Siamo entrati incuriositi e dopo alcuni giri tra i lunghissimi corridoi abbiamo trovato una grande sala piena di gente.
C’era un tavolo rotondo gigantesco e attorno al tavolo erano seduti tantissimi vecchi, magrissimi e pallidissimi. Avranno avuto almeno cent’anni. Stavano lì silenziosi con le facce serie e arrabbiate e si scrutavano sospettosi l’un l’altro.
Mamma dice sempre che bisogna rispettare gli anziani e quei poveri vecchietti erano così emaciati e pallidi che forse avremmo dovuto portare loro da mangiare e da bere.
Allora io e Piero ci siamo avvicinati a quello che sembrava il più vecchio e gli abbiamo detto:

– Signore? State bene? Avete bisogno che vi portiamo qualcosa da mangiare?

Il vecchio si girò verso di noi con una lentezza esasperante e con un tono acido rispose:

– Tu, bambino, vorresti dare qualcosa a me? Tu sicuramente non hai nulla da darmi! Ma sai chi sono io?
– No, signore, ci spiace se l’abbiamo offesa. Non sappiamo chi è lei e chi sono i suoi amici, ma pensavamo che aveste fame, siete così magri…

Il vecchio si mise a ridere, ma la sua risata era terribilmente cacofonica e sgradevole.

– Stupido bambino! Noi siamo gli amministratori dell’organizzazione mondiale delle banche e della finanza. Ed io sono il direttore dell’assemblea. Noi siamo le persone più ricche e importanti del pianeta.

Io, sempre più imbarazzato, risposi scusandomi:
– Ci perdoni, mio padre non ci aveva mai parlato di voi. Lui è il capo del villaggio e ne conosce di cose. Siete i più ricchi di tutti? Davvero? Quanti sacchi di grano avete nella vostra cantina?
– Sacchi di grano? Ragazzino tu non sai di cosa parli! Io posseggo oro, titoli di stato, azioni, tre banche e decine di fondi obbligazionari. Io posso comprare quello che mi pare. Figurati se ho bisogno del tuo pidocchioso grano.
– Ma senza grano morirete di fame!
– Se ho fame, comprerò un terreno e pagherò qualcuno per coltivarmelo e per cucinarmi il pane.
– Che significa “pagare qualcuno”?
– Ragazzino! Io ho cose molto importanti di cui occuparmi non posso perdere tempo con le tue stupide domande da campagnolo.
– Di cosa si sta occupando signore?
– Di cose importantissime: io decido assieme ai miei colleghi il valore del denaro, il valore dei fondi azionari. Noi decidiamo come si muoverà la borsa. Capisci? Noi abbiamo il potere.
– Il potere di fare cosa?
– Il potere di spostare liquidità e denaro da un punto all’altro del mondo, stupido! Non capisci?

Feci silenzio per qualche secondo. Non avevo idea di cosa stesse parlando quel signore e me ne vergognavo un po’. Poi ripresi.

– Signore, mi spiega che significa “pagare”?
– Oh santo cielo! È così semplice. Se voglio qualcosa do dei soldi in cambio per averla.
– Per esempio?
– Che idiota che sei! Se voglio i tuoi sacchi di grano ti do in cambio soldi.
– Ma noi abbiamo pochi sacchi di grano e ci servono tutti per passare l’inverno. Non te li possiamo dare. Papà dice che se qualcuno ha fame gli si dà da mangiare ma poi deve sdebitarsi lavorando. E vale per tutti. È faticoso coltivare i campi a mani nude, puoi coltivare solo quello che poi mangi, di più no. Non te ne darà nessuno in cambio di …cosa sono i soldi?
– Cosa sono i soldi??? Che domanda?!? I soldi sono quella cosa che ti permette di fare tutto. Ecco, guarda, questi sono i soldi.

Il vecchio tirò fuori un foglio di carta colorato, lercio e strappato.
A questo punto, come fanno tutti i bambini dopo un po’ di tempo, persi interesse per quell’omino strano e decisi con Piero di andare via da quel posto. Ma prima di uscire gli risposi ripetendo a pappagallo le parole che diceva sempre mio papà:

– Signore, quando c’era il petrolio tutta la fatica la facevano le macchine e chi possedeva il petrolio si era comprato il mondo. Ora che non c’è più il petrolio la fatica la fanno gli uomini e gli uomini non si possono più comprare. La saluto.

Ma il vecchio neanche mi stava ascoltando, si era girato di nuovo verso gli altri amministratori dell’organizzazione mondiale delle banche e della finanza.
Ce ne andammo mentre i vecchietti avevano ripreso a scrutarsi sospettosi l’un l’altro in silenzio con le facce serie e arrabbiate. Avevano da occuparsi di cose importantissime.
Io e Piero ci mettemmo a correre verso casa, si stava facendo buio.
Lungo la strada raccogliemmo due fichi belli maturi e ce li mangiammo.
Com’erano buoni!

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