Libri dentro la neve

di Caterina Spina (a cura di Booq)

Alcuni dissero che la soluzione migliore era trovare un barcone e farsi trasportare tutti insieme. Davanti a questa prospettiva i più mostravano preoccupazione per l’umidità e l’acqua intorno che li avrebbe di certo corrotti, altri proponevano una passaggio in treno o in auto stivati in carri merci o grandi portabagagli.

«Dobbiamo fare in fretta!» urlò forte uno piccolo, sistemato in alto a destra.

«In fretta!» ripetè in coro una famiglia intera, più grossi e in seconda fila.

La discussione era molto animata nella penombra delle grande stanza: i dorsi sembravano tremare, qualcuno rischiò perfino di cadere dalla sua postazione nella furia di dire la propria. Sapevano di dovere trovare una soluzione al più presto, si sentivano abbandonati e accerchiati da quella nuova gente che non sembrava interessata a loro e che certamente, pensavano, presto li avrebbe messi da parte, buttati, bruciati.

Erano quasi 5000 tutti in cerchio, addossati alle pareti, in scaffalature alte, come a presidiare  la stanza del vecchio asilo che non aveva più un ordine, tutto era buttato a caso sul pavimento: sedie capovolte, vecchi striscioni, monitor rotti e la polvere che aleggiava densa su tutto.

Nessuno sapeva quanti fossero con esattezza, nessuno era ancora riuscito a catalogarli tutti, non ce n’era stato il tempo. I 5000 libri erano stati raccolti negli anni, certi erano arrivati coi carichi più grossi negli scatoloni ed erano stati sempre insieme, altri erano arrivati da soli come piccoli doni inattesi.

«Dove sono gli altri?» disse una voce piagnucolosa.

«Gli altri chi?».

«Quelli che ci hanno accolto e raccolto prima, che ci hanno già salvati una volta, dove sono?» continuò sempre più afflitta la voce.

«Sono stati cacciati» rispose forte un grosso vocabolario di arabo con la copertina rossa e uno strano accento cantilenante.

Il vecchio asilo era stato per molto tempo luogo di incontro e di accoglienza, non soltanto per i libri, ma soprattutto per le persone, quelle che vivevano nella città e che qui si ritrovavano per discutere, costruire e condividere e per quelli che arrivavano da fuori, quelli che erano dovuti scappare e non sapevano dove stare. Poi qualcosa è cambiato, chi sta troppo tempo in un posto spesso ne prende le cattive abitudini, a volte diventa egoista. I nuovi arrivati scacciarono i vecchi senza pietà e senza rimorso, l’asilo diventava di altri con altre idee e altre intenzioni.

I libri l’avevano capito tardi e ora erano impauriti, sentivano soltanto che non erano più ben visti, sapevano che era già stata una fortuna essere salvati una volta, che erano ingombranti e che certo difficilmente sarebbero riusciti a rimanere tutti insieme. I più anziani, le edizioni più antiche, quelli un po’ ingialliti, ricordavano ancora le prese di mani sicure e attente, gli spostamenti da uno scaffale all’altro, il lieve solletico di un’etichetta appiccicata con precisione sul dorso che li faceva sentire finalmente parte di qualcosa. I più giovani invece, i fumetti ad esempio, sentivano già la mancanza di mani che li sfogliavano divertite.

Calò il buio, a poco a poco il silenzio cadde nella stanza, alcuni continuavano a frusciare idee improbabili, alla fine anche l’ultimo dei tomi sembrò addormentarsi cercando ancora nel fondo delle proprie pagine una soluzione.

«Avete sentito?».

«Chi è?» sussurrarono quasi contemporaneamente due romanzi della stessa collana.

«Sono loro, sono loro» soffiò emozionata una garzantina.

«I nostri amici sono venuti a prenderci».

Nessuno ebbe il tempo di rispondere, né di capire.

Tutti i libri si svegliarono, chi dal rumore delle porte spalancate e dalla luce accesa di colpo, chi d’improvviso dalla stretta forte che dal proprio posto nello scaffale lo scaraventava al fondo di uno scatolone.

Non fu un viaggio lungo, come qualcuno aveva previsto furono stipati nei portabagagli di molte auto, dentro il buio puzzolente degli scatoloni di cartone, incastrati gli uni sugli altri, nessuno osava proferire parola. Zitti sopportavano i sobbalzi della strada, poi lo stop. In breve vennero di nuovo scaricati da molte mani, ogni cartone preso di peso e passato da un paio di braccia ad un altro come in una danza, come in una catena per essere posati infine per terra con delicatezza, ma anche con una certa fretta, allineati l’uno accanto all’atro. Dopo solo il fragore fastidioso e netto di una saracinesca che cala, e buio, e umido.

«È finita!» sentenziò un vecchio saggio dallo scatolone identificato con la scritta a pennarello: storia.

Ancora una volta calò il silenzio, quelli con le pagine più sottili cominciarono per primi a sentire l’umidità penetrante dell’ambiente, gli sgargianti libri per bambini si sentirono scolorire presto dentro al buio degli scatoloni. Tutti si sentirono delusi e ormai rassegnati. Nessuna voce si udì più per molto tempo.

Fu un giorno caldo, era già quasi estate, quando inaspettatamente la saracinesca si aprì ancora una volta, i libri erano ancora tutti lì quieti e intirizziti, la folata di calore li inebriò per un momento ma nessuno questa volta ebbe coraggio di sperare niente e restarono ancora in attesa. Di nuovo furono caricati su molte auto, di nuovo sentirono il dondolio ballonzolante della strada, nessuno disse niente ma tutti pensavano la stessa cosa. Dentro l’auto più grande, schiacciato dallo scatolone che stava sopra il suo, un giovane atlante bisbigliò:

«Questo è l’ultimo viaggio».

Stavolta però il viaggio sembrò più lungo della volta prima, vennero scaricati più lentamente, voci allegre si sentivano intorno, risate e urla di grandi e piccoli e poi odore di vernice.

«Questo è odore di vernice» sentenziò un manuale di chimica.

E poi un martellare continuo e seghe e trapani e un continuo viavai. I libri illustrati immaginarono che fuori ci fossero tanti bambini e cominciarono a sentire un solletico tra le pagine. Questo tramestio continuò ancora per giorni mentre loro quieti stavano ancora al buio.

Finalmente il primo scatolone venne aperto, venivano aperti a caso senza un ordine preciso: prima quello dei romanzi italiani, poi quello dei saggi politici, poi i vocabolari e i primi libri tirati fuori… e man mano che venivano fuori almeno uno urlava:

«Questa volta sono loro!.

«Sì, sì, guarda quello è il barbuto, sì… e quello è lo spilungone, la mamma, l’occhialuta…»

In poco tempo furono sistemati negli scaffali ma, non ancora ordinati, cominciarono anche a succedere cose strane: un grosso tomo su Marx provò a scalciare il vicino romanzo di Harry Potter e uno Sciascia tentò l’abbordaggio di una sedicente Jane Austin. Ma successe anche che in quel posto nuovo i libri ricominciarono tra loro lunghe discussioni sottovoce, ipotesi e teorie. I libri di mitologia e di religioni dall’alto delle loro credenze concordarono che dietro la saracinesca non erano stati abbandonati per sempre, ma ricoverati da anime pie in una specie di limbo per accedere poi ad un nuovo eden; gli scienziati ridacchiarono, ma un po’ ci vollero credere pure loro. I libri di urbanistica invece, più pratici, suggerirono che probabilmente non erano più nella zona nuova, ma al centro nella parte antica della città. E tutti, proprio tutti, se avessero potuto avrebbero sorriso e avrebbero urlato dalla gioia perché ora sapevano che non erano stati ripudiati, anzi il nuovo spazio sembrava anche più bello.

Nel frattempo ai 5000 libri se ne sono aggiunti altri portati e donati, i primi hanno accolto i nuovi in vicolo della Neve dove hanno trovato casa dentro quel locale anch’esso dimenticato e recuperato con la forza e la fatica, e la casa è diventata biblioteca e la biblioteca luogo di incontro e il luogo di incontro un’officina di idee e di oggetti da costruire e da reinventare, e la formula magica si chiamò booq.

E ora si anima il vicolo, si anima la gente e i bambini, si animano i libri per raccontare un’altra storia ancora.

 

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