Il silenzio dei dammusi

di Vito Catania

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Fotografia di Gianni Alescio

Questi luoghi: un ciuffo di case sulla sommità di un colle, una ragnatela di stradine e vicoli tra la terra e le nuvole, campane che rintoccano inclementi le ore, Santi che a turno sfilano in passerella, una falange di ulivi, pini, sole, vento e nebbia. In queste mattine di autunno poi, la luce setaccia una leggera foschia che avvolge dolcemente la scacchiera dei terreni brulli intorno.
Quando ero bambino, la domenica mattina aveva un odore particolare. Appena sveglio, correvo giù in dammusu, dove trovavo mia nonna intenta a pulire le teglie nelle quali, in un contorno di farina, scorgevo le sagome ad “s” dei biscotti appena sfornati. Il pane, ancora fumante, giaceva ammassato nel paniere pronto per essere avvolto dalla solita vecchia coperta di lana.
Ogni porta sbuffava fragranze diverse: fritture, infornate di vario genere, sughi lasciati ad insaporire per ore. Sì, allʼinterno di quei dammusi si preparava la domenica! In quelle stanze annerite si consumava un rito laico che attirava la mia attenzione e stimolava i miei sensi.
Quei comignoli, tuttavia, esistono ancora. Nonostante il loro numero si sia drasticamente ridotto a causa della ristrutturazione degli edifici, qualche esemplare si erge ancora a sfidare il vento. Spine dorsali lungo i muri scrostati. Come reduci silenti di una guerra dimenticata, stanno lì, ad aspettare nella loro monumentale fierezza la loro lenta estinzione.
Dove sono finite quelle voci? Dove sono finiti quegli odori? Dove sono finiti quei volti che come ritratti in chiaroscuro sbucavano dalla penombra di quelle porticine sgangherate? È impossibile che si siano persi nel nulla?
Nessuna scopa spazza più questi usci. La posta pubblicitaria, ammassata a forza tra le insenature, celebra insensibile la vittoria del tempo; mentre i cartelli “vendesi”, con i loro colori sgargianti, ne cancellano definitivamente lʼodorosa poesia.

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