Muri che crollano

di AA. VV. a cura di Gas Giaramita
berlinoEra una giornata cupa, i timidi raggi del sole si alternavano a grandi nubi nere e mentre me ne stavo seduto, inchiodato dalla mia staticità, un gruppo di bambini ha attirato la mia attenzione.

Erano l’unico arcobaleno in quel grigio pomeriggio.
Ad un tratto, una voce timida chiedeva il mio aiuto: «Mi scusi, la mia palla è arrivata al di là del muro, puoi aiutarmi a prenderla?».
Ci ho provato ma ho fallito. Il muro era insormontabile e la bambina inconsolabile. Ho provato a rallegrarla costruendo per lei una palla di carta e foglie ma era “brutta e non rimbalzava e poi non c’erano neanche colori!”.
Io sorridendo ho mormorato: «Maledetti muri, bisognerebbe abbatterli! In fin dei conti a cosa serve un muro?».
La bambina ha alzato le spalle e i suoi occhi grandi mi guardavano con perplessità.Le ho chiesto allora, cosa fosse un muro per lei.


«Un muro è un muro, non si può spiegare perché un muro lo vedi. Tutti sanno cos’è un muro, ci sono in tutti i posti, a casa, a scuola, anche nel cortile dove giochiamo. Ci puoi pure disegnare su un muro e i cani ci fanno la pipì».
Ed io: «E i muri si possono scavalcare?».
E lei: «Se sei forte, sì».

Chissà cosa pensava il muro, ho chiesto io, ma prontamente la bambina sottolineava che “il muro non ha la bocca per parlare, né le orecchie per sentire, possiamo immaginarlo se vogliamo ma il muro non è vivo. Io se fossi muro non ne sarei felice, i muri nascono per separare, per impedire di raccogliere una palla colorata. Non sono neanche belli e sono immobili”.
Nel frattempo mi balenava l’idea di come potesse pensare un muro. Che dentro quei mattoni fosse imprigionata l’anima di un essere umano costretto per sempre a rimanere tra due universi, senza mai farne parte di uno. Così, pensavo che potesse provare delle sensazioni quando gli umani si avvicinavano ad esso, come questi bambini che giocavano a palla, quei due che si baciavano, quelli lì che si strattonavano, o i ragazzi che facevano i murales.

E mentre tutto si muoveva, in realtà si restava al di qua e al di là di questo muro.

La bambina: «Ma tu non sei forte, allora?».
Io: «Sì, il muro a volte è più forte di te. Ma non per questo non possiamo più giocare. Se riesci a giocare anche senza la palla sei già più forte del muro».
La bambina: «Io quando sarò grande vorrei un posto senza muri dove poter giocare con gli altri, così posso sempre recuperare la mia palla!».

E di fronte a questo muro, con la palla ormai aldilà, restavamo a fissarci. Restavano gli occhi grandi di una bimba sconosciuta, già saggia nella sua semplicità. E poi resto io, un po’ commosso e incuriosito. I bambini, si sa, hanno molto da insegnare al mondo. Loro oltrepassano le barriere. Sono forti perché il mondo lo vedono a colori, senza muri.

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