Storytelling – «Sono stati… come dire? Delocalizzati!»

(continua da qui)

«Bene Marco, mi parli dei suoi disturbi».
Il dottor Scala, dall’altro lato della sua scrivania, mi scrutava curioso. I ricordi di quella sera me li sarei trascinati a vita, per sempre.
«Credo di avere delle forti allucinazioni visive. I luoghi, le stanze cambiano da un momento all’altro e penso che qualcuno mi stia prendendo di mira. Dottore, lo so che le sembrerò pazzo ma non ho altro modo per spiegarlo. L’altra sera ho visto l’ufficio pieno di ragnatele e migliaia di badge sparsi per terra con le foto sbiadite. Al telefono qualcuno che si riteneva il padrone del mondo mi ordinava di dare le dimissioni, citando Jimi Hendrix!»
Il dottor Scala, dopo aver trattenuto un mezzo sorriso, più per decenza che per rispetto alla sua professione, disse:
«Ascolti, il lavoro che fa è tra i più deleteri, si tratta sicuramente di forte stress, ma visto che mi dice di aver avuto anche delle allucinazioni visive è meglio fare subito una Tac. Mi chiami se dovesse ripresentarsi il problema».
Salutai il medico e m’incamminai a piedi verso il paese. Una passeggiata, ecco cosa ci voleva, una bella passeggiata distensiva.

Quella mattina un cielo azzurro e limpido si confondeva col blu del mare. La brezza che soffiava portava il classico odore del mare d’inverno: un misto di alghe, sale e profumo di pesce.
Chiusi gli occhi e distesi i nervi.
Lei è l’ultimo… l’ultimo italiano, l’ultima speranza… Delocalizzato.
Quella voce, quella maledettissima voce mi perseguitava, non mi lasciava respirare. A volte capita di portarsi dietro le voci dei clienti dopo una giornata di lavoro, ma quella mi tormentò per tutta la mattinata.

Decisi di chiamare il centralino dell’Asl per la prenotazione della visita, sicuramente ci sarebbero voluti mesi, ma si sa, sono un ottimista.
Composi il numero, una voce automatica mi diede il benvenuto:
«Gentile utente, la informiamo che la sua chiamata verrà trasferita in Albania, resti in attesa, il primo operatore utile le risponderà…»
“Minchia! Pure l’Asl, non c’è più mondo!” pensai.

«Buongiorno, sono Tina, come posso esserle utile?»
Sospirai, trattenni un po’ di acido e risposi: «Buongiorno Tina, ho bisogno di prenotare una visita per una Tac, a Palermo».
In sottofondo il classico vociare di un call-center mi fece compagnia durante una lunghissima attesa.
«Bene Signore, le ho prenotato la visita all’ospedale San Giovanni di Dio per le 11 del 12 agosto».
«Che? Mi scusi, dov’è che si trova?»
«A Salerno, il posto che mi ha detto…»
«PA-LE-RMO! Pa-ler-mo! Palermo… in Sicilia! Salerno è in Campania… Suona allo stesso modo, probabilmente sono allegri e solari come noi, loro però hanno il Vesuvio e noi l’Etna… loro i babà e noi i cannoli… ha capito adesso?»
«Non ti arrabbiare! Ora risolvo…» prese tempo, poi balbettò: «Signore, mi scusi tantissimo ma non possiamo annullare richiesta, non puoi andare a Salerno?»

Mi arresi. Probabilmente sarei andato a pagamento come tutti, oppure forse ne avrei approfittato per un giro sulla costiera amalfitana, avrei deciso in un secondo momento. Adesso era ora di andare a lavoro.

Alle 18,30 iniziai il turno, non ero mai stato così felice, i miei colleghi erano tutti lì. Eppure la frase del pazzo continuava a far eco dentro la mia testa: …Diciamo che sono stati, come dire? Delocalizzati?
Dopo qualche minuto mi raggiunse Salvo, un team leader simpatico e gradevole quanto una giocata di Dybala.
«Marco, ti vogliono all’ufficio del personale».
Deglutii sorpreso, a quell’orario non c’era mai nessuno.

La grande stanza era illuminata solo da qualche neon e dalle finestre aperte che davano sull’enorme parcheggio, dove auto in terza e quarta fila ricordavano un grande Tetris di arroganza e inciviltà.
Un uomo, dentro un abito classico, nero come la pece, guardava fuori con lo sguardo attento, con mani che si toccavano dietro un corpo alto ed autorevole.
«Entri, entri pure Giglio. Sa, a volte mi fermo a guardare fuori, non sa quante cose si capiscono di una persona mentre parcheggia… meglio di Animal Planet!»
Sorrisi. Ero seduto di fronte all’uomo più potente di Karmacall, il mio capo, Nicodemo Zampa.
«L’ho fatta chiamare perché sembra che ieri lei si sia intrattenuto più del dovuto con un cliente e pare che sia uscito correndo e gridando come un pazzo utilizzando addirittura le scale anti-incendio, facendo di conseguenza scattare l’allarme in tutto l’edificio e, cosa che non trascurerei, facendo partire una telefonata al sottoscritto nel bel mezzo dei festeggiamenti del mio sesto anniversario di matrimonio… Cosa le è passato per la testa?»
Sbiancai. Tralasciando i dettagli assurdi, balbettai qualcosa che assomigliava ad una scusa credibile.
«Quindi mi sta dicendo che lei ed il signor Di Maggio, il tl, siete scesi dalla scala anti-incendio perché eravate rimasti bloccati nel settore?…Alle due di notte?»
Rimase in silenzio, poi continuando a picchiettare una penna sul tavolo, aggiunse: «Prima di convocare lei ho parlato anche con Di Maggio, mi ha detto che vi siete salutati durante la sua ultima chiamata e che, visto che la conosce ormai da molto tempo, le aveva chiesto di chiudere lei il settore una volta finita la chiamata. Tagliando corto Giglio, lei ha violato il regolamento aziendale, le immagini della videosorveglianza la vedono correre sulle scale come un pazzo. Si attenda un richiamo ufficiale… e per favore, si risparmi la fatica di farmi perdere altro tempo con i sindacalisti… Vada, la faccio richiamare io».
Cercai di replicare ma improvvisamente una nube scura e violenta mi coprì la vista.

La matricola 782303 era svenuta a terra. Di lì a poco, un’ambulanza si sarebbe fatta spazio tra le strade violacee della sera.

4 thoughts on “Storytelling – «Sono stati… come dire? Delocalizzati!»

  1. Marco giglio mi sono letta tutto nella 626 sempre bravo ….direi esci ogni settimana sei abile nelle descrizioni visive !!! Lettura fluenty complimenti!!!

  2. Pingback: Storytelling – Il pattoAbattoir | Abattoir

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.