Storytelling – Il patto

(continua da qui)

Buio e freddo. Mi trovavo dentro una stanza stretta illuminata solo da una vecchia lampada ad incandescenza, il perimetro ricordava la tromba di un ascensore.
Disteso a terra, in posizione fetale, percepivo all’altezza della fronte quello che doveva esser stato un forte colpo alla testa. Davanti ai miei occhi migliaia di cavi e fili elettrici correvano tra le mura intonacate solo con il cemento, su per almeno 15 metri, respiravo polvere.
Gridai con tutta la forza che avevo in corpo ma non rispose nessuno. Il cellulare segnava una chiamata persa e per terra vidi un foglio con questo messaggio:
“Ben svegliato! Ti chiederai cosa ci fai in mezzo alla polvere, dentro un cavedio a 17 metri di altezza… Ho cercato di fartelo capire in tutti i modi, hai ignorato i miei consigli e hai fatto finta che sia stato tutto un sogno, frutto di chissà quale disturbo o allucinazione. Devo farti i miei complimenti, sei stato bravissimo a crederci, non avrei mai pensato di trovare così tanta resistenza per uno stipendio da 700 euro al mese, la somma che io guadagno in una sola ora… Complimenti davvero, anche la tua… com’è che la chiami? Ah sì, ispirazione! Il tuo “talento” pare non volersi arrestare: passi il tempo a scrivere, divulgare, andare contro un sistema che va dove IO e qualche amico decidiamo di far andare. Cosa c’è? Vuoi forse farmi credere che questo lavoro ti piace? Soddisfa la tua vita e quella di altre ottantamila persone? Vuoi davvero dire a tutto il mondo che ti piace gestire così tante chiamate nelle tue misere quattro ore da non voler altro che questo? No, aspetta, non me lo dire… Com’è che scrivevi l’altro giorno? Siamo il miglior servizio clienti… bah! Smettila di fare lo scribacchino dei poveri, ti conosco bene, anche tu hai il tuo prezzo. Chiamami e forse sarai libero per sempre.
Con premura e amorevole stima, il tuo amico pazzo”.

Cominciava a farmi male la testa e qualcosa di indefinito iniziò a passeggiarmi sulla schiena. Feci partire la chiamata persa che terminava con un bel 666 finale, qualcosa o qualcuno mi avrebbe risposto:
“Pronto?”
“Marco, che piacere! Finalmente ci risentiamo, come stai?”
La voce continuava a trasmettermi rabbia ed agitazione.
“FAMMI USCIRE BASTARDO!”
“Al tempo ragazzo, intanto le buone maniere! Forza, ripeti con me: Buonasera, sono Marco… in cosa posso esserle utile?
Non risposi. La voce sbraitava continuando a ripetermi la stessa cosa, con un tono che diventava sempre più grave. Era come ascoltare un cliente arrogante che non aveva più nulla da perdere, con la sottile differenza che da quest’ultimo dipendeva la mia libertà e forse anche la mia vita.
“…anche se ritengo inutile e banale tutto ciò che hai scritto, scrivi e scriverai, la tua “penna” è la chiave della tua libertà. Non ti nego che ho ammirazione per come riesci a coinvolgere le persone, al tempo stesso però sono convinto che sapresti fare anche di meglio…”
“Che vuoi dire?”
“Ci sono persone che occupano posti da cui dipendono i culi di tantissime altre persone, il mio “lavoro” è mettere in quel determinato posto gente che fa dell’empatia, la persuasione, il carisma e l’autorità uno stile di vita. Hai mai visto camminare delle formiche in fila? Solo la prima sa dove sta andando, se provi a fermare con un dito il resto del gruppo queste ultime si sentiranno perse prendendo strade diverse. La prima può anche andare verso morte certa, il resto lo ignora, semplicemente segue il Leader. La mia proposta è questa: io metto a disposizione qualsiasi mezzo, stampa, tv, giornali, social network, e TU convinci ottantamila persone, spina nel fianco di regioni e comuni, ad accettare qualsiasi condizione lavorativa, ovviamente con margini sempre più alti… per NOI. Ti assicuro che la delocalizzazione sarà solo un ricordo, specie per te e la tua bella famigliola. Ovviamente non ci sono condizioni di rifiuto, in quanto i tuoi migliori amici e colleghi sono già nella lista dei licenziamenti a pioggia che, a breve, tutte le aziende faranno. Non vorrai essere responsabile di questo scempio?”

Restai in silenzio nel buio, illuminato solo dal candore dello smartphone, pensai a tutti i miei colleghi, a tutto quello che negli anni avevano costruito, i bambini, i progetti, le mani sporche come i rulli passati sui muri. Non li avrei traditi mai.
“La mia risposta è no, licenziateci tutti, non avrete mai la mia collaborazione…”

Un dolore sordo. Il buio. Odore di disinfettante.
“Presto Dottore, si sta svegliando…”
Il viso di mia moglie era soltanto uno dei tanti che continuava a fissarmi con preoccupazione. Al braccio una flebo lasciava cadere ogni goccia di certezza, ogni briciolo di lucidità. I neon erano talmente forti da darmi fastidio agli occhi, chiesi dell’acqua e delle spiegazioni:
“Ti hanno trovato a terra durante il tuo ultimo turno di lavoro serale. Peppe Di Maggio era uscito un attimo e ti ha trovato a terra senza sensi; ha chiamato l’ambulanza… hai battuto la testa, hai perso sangue, sei rimasto in coma per due giorni… sono passati tutti, anche il capo del personale…”
“Questo spiega tutto… il capo del pers…? Nicodemo Zampa?” chiesi.
Barbara mi guardò stranita: “Spiega cosa? Nicodemo chi? Il gatto?”
“Niente, un sogno, un terribile incubo… ti amo”.
Baciai mia moglie, guardai il comodino azzurro pieno di bottiglie, mele e pranzi mai consumati, chiusi gli occhi per i successivi tre giorni, poi tornai a casa.

Stamattina, accompagnando le bimbe a scuola, un cielo azzurro annunciava che la primavera era alle porte. Al mio ritorno, la cassetta postale richiamò la mia attenzione, una lettera gialla chiedeva di essere letta:
“Carissimo, devo ammettere che non mi sarei mai aspettato un tuo rifiuto visto che la vita ti ha dato così poco. Anche se di me dicono peste e corna sono uno che si commuove, specie di fronte a talenti sprecati come il tuo, per questo ti voglio premiare e lasciarti in pace. Ti lascio il dubbio, l’incertezza, le chiamate, la tua routine quotidiana fatta di pizze da asporto il sabato sera, gonfiabili, campeggi ed utilitarie, stress telefonico, casa in affitto ed altri momenti “memorabili” …non diventerai mai nessuno, come tanti, tantissimi altri, resterai incastrato in vite che voi chiamate “semplici”, ma che sono e saranno per sempre solo l’ultimo gradino della scala sociale. Correrai ogni mese a pagare l’affitto, le bollette, mentre ci sarà qualcuno al tuo posto che farà quello che deve fare circondato dagli agi di una vita piena di lussi e soddisfazioni. Sarai per sempre precario, l’hai scelto tu e la cuffia te lo ricorderà per sempre. Buona Vita, N.Z.”

Strappai la lettera in milioni di pezzi, poi presi l’accendino e le diedi fuoco, al vento avrei lasciato i resti di dignità vendute al miglior offerente.

6 thoughts on “Storytelling – Il patto

  1. Finale tristemente vero. Complimenti all’autore e all’eccellente capacità di scrittura. Ho vissuto questo lungo incubo con lui. Mi ha portato proprio dentro al suo brutto sogno con un racconto scritto davvero bene.

  2. Come sempre realista nella descrizione…le immagini escono dalle righe….che dire…l autore e’ proprio un genio!!!!!!!

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