Storytelling – “Les mômes de la cloche”. Occhi color ambra

I miei capelli hanno il colore ed il profumo del miele, i miei occhi sono castani, quasi ambrati, e diventano quasi verdi quando guardo il sole scomparire dietro Parigi.
È il momento che amo ed odio di più; l’accendersi dei lampioni, le carrozze che pian piano riducono le corse; la brezza che si alza nell’ultimo istante in cui finalmente esisto per qualcuno.
Sotto i lampioni, guarderanno solo il mio culo, la mia terza abbondante ed il viso da mômes, da fanciulla, con tutti i suoi 37 anni, che diventano venti con una bella dose di trucco.

Oggi è il mio ultimo giorno. Dono carezze da più di 20 anni dentro vicoli, case abbandonate, vecchi alberghi, quando i clienti se lo possono permettere. 

La prima in verità la donai a mio zio: un vecchio ubriacone perdigiorno che si prendeva cura di me forse dal mio primo vagito. Mi ripeteva spesso che le ero stata affidata da una donna in punto di morte per cui aveva tutte le ragioni per baciarmi il collo e sfiorarmi il pube. “Non è niente, è un gioco… Sophie” diceva mentre lo sentivo ansimare.
Vivevamo sul canale di Saint Martin, sotto i tunnel, tra l’odore del piscio dei cani, tra i topi, gli escrementi a cielo aperto. Sopra di me passavano famiglie, bambini felici, un mondo da me lontano fatto di perbenismo, educazione, pasti caldi, amore.

Pensavo di trovarmi già all’inferno, ma erano solo i pensieri di una ragazzina.

Qualche buon padre di famiglia passava a trovarci per capire se esisteva davvero: scopriva, palpava, sempre tappandosi il naso, ignorando le calze luride, giusto per poterlo raccontare ai propri amici.
Ogni tanto scappavo tra i vicoli di Rue Sébastopole e mi univo ad altri ragazzi con cui ci scambiavamo carezze, baci, qualcosa che assomigliava all’alcool. Ma non mi facevo pagare, quelle erano le mie storie d’amore.
Portavo con me il loro odore per giorni, puzzavo, ma restavo la bella bambolina da fottere: una marionetta, roba a buon mercato, un giocattolo economico. M’illudevo che, pur nella disperazione, in una città come Parigi potesse esistere l’amore o qualcosa che gli assomigliasse.
Parigi è una marchetta.
Cominciai a ricevere quel che basta per vivere da chi cercava un semplice contatto in rapporti simili ad un conato di vomito. A volte mi arrestavano, rimanevo in galera qualche giorno e poi tornavo per strada.
I poliziotti tornavano spesso, ma a volte mi lasciavano lì, si strusciavano, si pulivano con quel che avevo addosso e sparivano senza vergogna dentro la loro uniforme.Per me è normale, non ho mai pensato di smettere: per quello ci pensano le malattie e la vecchiaia.

“Si fottono il tuo culo, non la tua anima. Ricordatelo!”; me lo disse Claudette prima di buttarsi nel canale qualche mese fa. In 46 anni non aveva mai visto il mare. Quando la raccolsero dalla Senna nessuno provò pietà per lei. “Ah bè… era una puttana.. .se l’è cercata.” Nessuno andò al funerale. Non ci furono fiori, né ghirlande.
“Ce ne freghiamo Claudette. Chi se ne frega.”, gridai.

La morte è il nostro giorno più bello.

Si muore all’alba: dove la notte fa l’amore con il giorno e tutto sembra più bello.
Ho i capelli che profumano di miele, gli occhi color ambra, ma che al sole diventano verdi, mi chiamavo Sophie ed ho finito le carezze.

(liberamente ispirato da “Les mômes de la cloche” cantata da Édith Piaf.)

6 thoughts on “Storytelling – “Les mômes de la cloche”. Occhi color ambra

  1. Sembra di vedere le vie di Parigi, sembra di imparare a conoscere Sophie e il suo dramma e la sua voglia di esserci e il suo desiderio di amare e la sua speranza d’ essere amata! Compimenti!

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