Ma ‘ndo vai se la Barbie non ce l’hai?

DISCLAIMER: Articolo dedicato quasi esclusivamente al pubblico femminile dedito al consumo massiccio di bambole formato donna.

Lei è bionda, vitino da vespa, occhi grandi e blu sempre sbarrati con un’espressione di ottuso stupore e un sorriso finto che lascia intravedere i denti piccoli e bianchi fra le labbra sottili di un rosa acceso.
Lei può essere quello che vuole: ballerina, cavallerizza, medico, modella, puttana, mamma, moglie, ereditiera. Ha cinquantasette anni ma neanche una ruga, un seno ancora turgido e un culetto inesistente che le serve a separare le gambe, lunghe e scheletriche.
Il suo nome è Barbie e non ha paura di invecchiare, perché lei è immortale e non ha bisogno di punture di botox per mantenere la sua pelle tesa. Lei è il feticcio dei feticci, il mito, l’archetipo della donna perfetta, quella che da bambine guardavamo con reverenza, timore o anche invidia. Quello che noi aspiravamo inutilmente ad essere e non saremmo state mai, anche perché Barbie è anatomicamente poco realistica: con quel seno prosperoso e quella vita super stretta nella realtà non riuscirebbe neanche a stare in piedi.

Il mio rapporto con la “feticcia” (nel mio caso fetente, visto che non la lavavo mai!) era di totale asservimento: lei non era me, ero solo lo strumento attraverso cui lei si muoveva, parlava, gesticolava, civettava come io non avrei mai saputo fare. Persino la mia voce cambiava, assumendo tonalità da “rottura di cristallo”, quando la mia padrona ordinava a qualcun altro di fare qualcosa. Peccato che avendone solo una io dovevo lavorare di fantasia per circondare la mia aguzzina di serve, amiche e corteggiatori.
Quando ricevetti la seconda Barbie, la sacrificai all’altare della riproduzione: le tagliai i capelli per farla sembrare un maschio, un bellissimo maschio con le tette, ad uso e consumo della Barbie donna, che da lì in poi consumò migliaia di amplessi “ciechi”. Inutile dire che era perennemente incinta.
Dicevo, i due trombavano, anche se, come è noto, Barbie e Ken non hanno né pisellino né fiorellino, perché, tanto per confondere le idee a noi povere bambine, Barbie poteva avere le tette (che noi non avevamo) ma non una vagina che, a rigor di logica, nell’immaginario infantile, è quel buco da cui esce la pipì.
Quando impari che non è solo quello, sei bella che cresciuta e le tue Barbie sono a prender polvere in cantina. A proposito, ma ogni tanto le riprendete le vostre Barbie? Accennate dei dialoghi? Vi tornano in mente ricordi di voi legate a questa bambola malefica? Io purtroppo non ho idea di dove siano le mie, ogni tanto però mi piacerebbe avere un posto da dove ripescarle e ricordarmi dell’ultima volta in cui ci ho giocato. Avevo circa dodici anni, ricordo che la presi in mano e non riuscii a dire una parola, mi sforzavo di trovare qualcosa di frivolo da dire ma niente, le parole rimasero in fondo alla gola. Era finita: la guardai con tenerezza, la rimisi dentro la sua scatola e da quel momento non ci ho mai più giocato.
Certo, ora le dodicenni si truccano peggio delle battone e hanno una vita sessuale più attiva della mia, ma un fatto è certo: puoi definirti cresciuta quando smetti di giocare con le Barbie. Di fatto, rappresentano il passaggio da una fase di preparazione alla vita adulta, puramente emulativa e simulativa, alla  vita “adulta” vera e propria che inizia il suo corso e non si arresterà mai.

Ma come nasce la Barbie e perché diavolo diventa un oggetto di culto?
Barbie nasce nel 1959 dall’idea di Ruth Handler: osservò la figlia giocare con dei pezzi di carta raffiguranti modelle prese dai giornali a cui spesso piaceva dare ruoli di adulti e intuì che i bambolotti che facevano cacca e pupù non bastavano più.  Incidentalmente, tale Ruth Handler era la moglie del co-fondatore della Mattel, il colosso dei giocattoli.
Rielaborando il modello di una bambola tedesca, la Lilli, venne fuori la Barbie, che però era un tantino diversa da come noi la conosciamo: aveva gli occhi neri e una lunga coda nera. Solo in seguito assunse le sembianze a noi note: bionda, biondissima e con gli occhi azzurri.
Nel giro di pochi anni, la Barbie divenne un vero e proprio oggetto di culto, la bambola che tutte le bambine volevano, anche quelle povere e con le pezze al culo come me. Perché, diciamolo, la Barbie, proprio perché era un oggetto di massa, aveva un prezzo accessibile e aveva dato a tutte le bambine l’illusione di possedere un pezzetto di felicità formato bambola. Il problema sorse quando cominciarono ad uscire sul mercato gli innumerevoli gadgets che di lì a poco segnarono il divario fra chi aveva molti soldi e chi proprio niente. Anche perché sembrava che senza la casa di Barbie, la feticcia sarebbe morta di stenti, come una barbona qualsiasi.
Io ovviamente appartenevo alla seconda categoria e la mia Barbie, povera come me, non aveva vestiti (glieli facevo io, sigh!), né scarpine da cambiare venti volte al giorno, né tantomeno case, camper o cavalli.
Possedevo solo un letto con una copertina fucsia lercia, mentre l’amichetta del piano di sopra, figlia unica di genitori ricchi, aveva tutto quello che una bambina del ’93 poteva desiderare (sembra di leggere la novella di Pirandello Servitù… ‘tacci sua!)
Confesso che ero molto invidiosa e che sono arrivata al punto di rubare una Barbie all’amichetta perché ritenevo ingiusto che quel pezzettino di felicità fosse così mal distribuito. Inoltre, lei non ci giocava mai, io invece sì, io mi meritavo la casa, non lei. Mi macchiai di furto per colpa di una stupida Barbie, ci pensate?

Inizio a credere che le Barbie forse peggiorano la vita delle bambine, invece di migliorarla; infatti se da un lato le bambine sentono la necessità di confrontarsi con la realtà futura che le aspetta, fatta di relazioni, lavoro, amicizie, rotture, dall’altra, avere come alter ego una bambola dalle fattezze perfette, di una bellezza stereotipata e patinata, significa vivere nella frustrazione e nella consapevolezza che qualsiasi cosa farai, non sarai mai come la tua Barbie e arriverai ad odiarla, persino. Questo spiega come mai tante Barbie finiscano decapitate, gambizzate o dentro un forno a liquefarsi in tutto il loro splendore plasticoso. In pratica, si finisce per infliggere delle sofferenze alla feticcia per punirla della sua perfezione irragiungibile.
Io non so se aver giocato con delle Barbie per una grossa fetta della mia infanzia mi abbia peggiorato o migliorato (oddio, arrivare a rubare forse non è un buon segno!), ma sono ugualmente convinta che confrontarsi con un gioco come la Barbie sia giusto perché… è un gioco, e in quanto tale necessario a creare tutte quelle interconnessioni mentali che sviluppano tutti i nostri bei neuroni e ci aiutano a essere persone intelligenti; tanto poi lo capisci subito che essere una Barbie, in ultima istanza archetipo della donna stupida e frivola, non è questo granché e te ne fai una ragione.
Anzi, corro a comprarne subito una.

6 thoughts on “Ma ‘ndo vai se la Barbie non ce l’hai?

  1. Bellissimo! Io avevo il camper. La cucina e la piscina. Poi i miei nonni sono deceduti e la mia collezione finì li. Mi ricordo che quando eropiccola, tipo 6 anni,una mia amichetta più grande mi rubava i vestitini… Quando lo scoprii mi arrabbiai molto ma presto il mio atteggiamento sarebbe cambiato e avrei dato la colpa a quella bambola malefica che faceva litigare le amiche. Ci ho sempre giocato con mia sorella che, dopo una prima fase di istinti decapitatori, mi ci fece giocare fino all’età di 13 o 14 anni (ah, le sorelle piccole). C’erano volte che inventavo situazioni che nemmeno gli sceneggiatori di Lost! Credo che giocarci “da grande” (diciamocela tutta, a 14 anni già avevo la terza di tette) ti faccia capire quanto quella bambola supermagrissima con la paresi facciale, ti abbia aiutato a sviluppare la fantasia, il problem solving (non hai la casa? Utilizza una vecchia libreria come appartamento e avrai un palazzo!), la consecutio logica eccetera…
    Non avevo nessun ken: la mia barbie era sempre single e senza figli, un’eterna ventenne (o 30enne, ai nostri tempi) insomma!
    Le mie sono tutte conservate. Non so perché le abbia tenute ma mi piace l’idea che se voglio posso andare in soffitta, tirarle fuori e… tornare a mangiucchiarle le mani.

  2. LOL! Molto interessante, anche il tuo furto.
    Sì, penso anch’io che giocare sia importante, proprio come hai detto tu… Ma il furto la dice (più) lunga… La “società della bellezza”, col suo “kid empowrment” capital-consumistico, ci fotte e ci imporra miti e ideali irraggiungibili fin da bambini, fin dalle bambole.
    Poi ti scontri con la realtà NON ideale…
    …E a quel punto puoi sperare solo che il rito di iniziazione all’età adulta sia quello di mettere la plasticosa in forno ben gambizzata o semplicemente dentro la scatola.
    Ma se invece continui a sentirti lei….? (Come spesso accade, temo!)
    Beh, lì sono cazzi. Ed era meglio forse non avere la Barbie; magari la cugina, quella meno perfetta, meno bionda e più strafatta endovena di realtà :P !

    • io più che alla bellezza pensavo che era proprio ingiusto che qualcuno avesse troppo e un’altra niente, pur desiderando quella cosa più di sè stessa. Il furto, alla luce dei tanti anni passati, l’ho vista come un atto di giustizia, poteva essere qualsiasi cosa io desiderassi, sarebbe stato uguale. Non accetteavo la mia condizione di bambina co’ le pezze ar culo.
      Io e la barbie, in definitiva non ci amavamo. Lei era stronza, arrivista e frivola…se no che alter ego sarebbe stato?

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