Come ti cucino la Categoria Protetta

di Gregory Di Giovanni

L’argomento è spinoso, perché si addentra in situazioni delicate che coinvolgono persone che nella vita di tutti i giorni subiscono spesso discriminazioni e che vedono di frequente la loro privacy non tutelata. Discriminazione è ogni azione che volge all’isolare e inibire un soggetto, cosa che spesso accade anche e soprattutto nel mondo del lavoro, in barba a tutele che invece dovrebbero essere garantite per legge.

Partiamo dal presupposto che per categoria protetta si intende un individuo con un handicap fisico o intellettivo che ne pregiudica il naturale e/o completo svolgimento delle sue attività motorie, lavorative, comunicative, cognitive, di vita sociale e in cui in termini di legge rientrano anche orfani e vedove, profughi, vittime del terrorismo e della criminalità organizzata.
In questo articolo non si andranno a toccare le discriminazioni che spesso i soggetti affetti da handicap subiscono nella vita di tutti i giorni, ma si andranno ad analizzare, puntualizzare e scoperchiare quelle che sono le dinamiche e le discriminazioni che avvengono nel mondo del lavoro.

È doveroso sottolineare che nel corso degli anni lo Stato ha emanato una serie di leggi volte a tutelare tali categorie. Una di queste, la ex legge 482/68 (oggi legge 68/99) “ha come finalità la promozione dell’inserimento e dell’integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato”.
A prescindere dalla crisi lavorativa che ha investito tutti, un lavoratore disabile ha il doppio delle difficoltà a trovare lavoro, perché se si presenta come candidato una persona affetta da problemi di cuore o menomata o con problemi di deambulazione, è indubbio che ciò che scatterà nella testa del datore di lavoro sarà il naturale paragone tra chi è “sano” e può far tutto senza alcun problema e chi è disabile e ha dei limiti lavorativi imprescindibili. In questo caso, l’ago della bilancia cadrà per forza di cose verso il candidato sano, in barba al senso civico o di solidarietà che pure potrebbe investire il datore di lavoro.

Proprio per evitare meccanismi di questo tipo, nasce la legge 68/99, la quale prevede per esempio che un’azienda con oltre 150 impiegati debba assumere un numero di lavoratori appartenenti alle categorie protette pari ad una percentuale del 7% del totale dei lavoratori e che per ogni categoria assunta il datore di lavoro avrà degli sgravi fiscali interamente coperti dallo Stato.

Ma questa legge tutela completamente tali categorie? E se sì, in che modo si applicano il reclutamento e l’inserimento?
Oltre ai classici iter selettivi, esistono meeting ad hoc organizzati da pompose organizzazioni, a cui le aziende fanno a gara per partecipare. Tuttavia, il 95% delle volte non ci sono posizioni da offrire, generando frustrazione nelle persone che accorrono all’evento piene di aspettative.
Anche il web è pieno di offerte a loro dedicate, annunci postati da datori che dovrebbero prendere in considerazione le problematiche di questi soggetti, mettendo in conto che probabilmente la loro performance per vari fattori non potrà essere identica a quella dei colleghi “sani” (del resto è proprio questo il motivo per cui godrebbero delle agevolazioni concesse dallo Stato).

In realtà, durante i colloqui di selezione, gli interlocutori chiedono subito di che tipo di patologia si è affetti, se si hanno difficoltà a svolgere il lavoro per cui si è stati chiamati, se si gode della 104 (legge che consente di avere 4 giorni al mese di permesso per curarsi). Perché tali domande? Nella migliore delle ipotesi, per tutelare l’individuo e capire se ha bisogno di particolari strumenti di lavoro; nella maggior parte dei casi, per capire se scartare la risorsa, perché la produttività deve essere al top, senza però rinunciare agli sgravi fiscali concessi per l’assunzione di queste persone.
Quindi, ricapitolando, ti vorrebbero assumere con tutti gli sgravi fiscali a loro beneficio, ma devi lavorare come tutti gli altri non “rompendo le scatole” per la tua patologia. Oltre al danno, la beffa!

Sul posto di lavoro invece il problema è forse ancor maggiore, perché se lavori come i tuoi colleghi, magari facendo anche meglio di loro, ma poi improvvisamente inizi a calare, inizieranno a soffrirti perché secondo loro si stanno sobbarcando anche il tuo lavoro. Se la cosa avviene in tempistiche limitate, all’inizio ci sarà sicuramente comprensione, ma se sei un povero Cristo che non riesce a lavorare e i tuoi colleghi non sanno di te, inizieranno gli screzi sul fatto che sei pigro e non vuoi lavorare. Si renderanno conto di aver fatto una figura di merda quando qualcuno gli confesserà il tuo dramma, ma anche questa forma di pietà passerà quando la pressione lavorativa aumenterà e il continuo lavorare per coprire la categoria protetta genererà insofferenza, a volte livore con picchi di urla e strepiti contro di loro.
Non è raro assistere a scene di questo tipo sul posto di lavoro: la cronaca è piena di notizie di questo tipo e purtroppo non ci si rende conto che se queste persone fanno meno, non è colpa loro, se stanno lì a lavorare è un loro diritto e che non stanno rubando niente a nessuno perché in fondo a loro i contributi e le spese accessorie li paga lo Stato, mentre al collega fannullone “sano” li paga l’azienda.

È facile applaudire se tutto va secondo quelle che sono le aspettative comuni, ma se la diversità viene fuori son dolori.
Queste persone, oltre ad essere sballottate da “avversari” più o meno occulti, vengono inserite dalle aziende e cucinate ed edulcorate come un bel piatto da cucina Michelin …ma con essenza di porchetta!
Perché? Perché da vedere l’individuo/piatto è bello nella forma e visti gli sgravi fiscali rappresenta un po’ il maiale, dal quale non si butta via mai niente, ma pochi si rendono conto del micro equilibrio che sta dietro il lavoro di una categoria protetta e della quotidiana fatica che si fa a lavorare in un mondo in cui la competizione è alla base di tutto. Devi dimostrare sempre che non hai nulla di meno, reggere la pressione, lavorare a volte il doppio degli altri per stare al loro livello, nonostante te stesso.
Sia ben chiaro, esistono (e per fortuna) isole felici in cui queste persone vengono davvero tutelate e preservate, aziende in cui la diversità è una ricchezza e non un peso, ma il punto è: cazzo, quanta merda devono mangiare lungo tutto il loro percorso?

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