Storytelling – La vacanza di Giuseppe Milazzo

«Eh caro mio, se non era per il mio posto fisso alla regione, ed anche, diciamolo, per l’aiuto di qualche mio amico, a quest’ora eravamo tutti con il culo in aria. Cosa? Dici che alla fine la mia vita è stata solo fortuna e raccomandazione? Può darsi. Ma non è solo questo. In effetti, non nego che mio padre, pace all’anima sua, fosse già amico di un pezzo grosso, infilato pure lui dentro la linfa infinita della burocrazia, ma devi saperci fare: non basta prendere la poltrona e farsi i cazzi propri. Devi sapere come muoverti, altrimenti finisce che lavori veramente e sei costretto a timbrare il cartellino per quarant’anni. Nella vita, e nella nostra amata città in particolare, gli amici valgono più di qualsiasi busta paga. Se un collega ti chiede un favore, devi esercitare il diritto di pensarci su; prendere tempo, valutare i pro e i contro, ma soprattutto, considerare quello che lui un domani può fare per te. Non si arriva alla nostra età senza un briciolo di pianificazione. La pianificazione è tutto.

Tu, ad esempio, perdonami se te lo dico: hai fatto lo schiavo tutta la vita. E dai, non t’incazzare, fammi finire il concetto. Sei entrato in azienda all’età di quindici anni, come apprendista, quando ancora non c’era nemmeno la Repubblica. Dopo, durante il boom degli anni Sessanta, hai avuto finalmente il tuo ufficio e lì ti sei fossilizzato per il resto dei tuoi giorni. Avevi trent’anni e sopra di te tutta una serie di persone che, entrate dopo, magicamente, da un anno all’altro, hanno fatto carriera e che, un po’ più tardi, sono andate in pensione prima di te, lasciando marcire per altri vent’anni te e i carteggi del tuo ufficio. Ti sei sposato. Hai avuto tre figli. Hai comprato una casa che hai finito di pagare dopo venticinque anni facendo sacrifici, lasciandoti soltanto l’ebbrezza del sabato prima della noia della domenica. Scusami se te lo dico, ma sei stato un fesso… E non m’incanti con la scusa che, tutto sommato, sei felice. Cosa dici? Che hai amato tua moglie… che i tuoi figli ti amano? Che hai due nipotine bellissime? E nel frattempo cosa ti sei perso, amico mio? Sai quante donne ho avuto io? Non bastano le nostre mani insieme… sapessi! Alte, magre, bionde, brune, grasse, basse…. italiane, spagnole, olandesi, norvegesi, francesi… Ah, le francesi! Loro sono le migliori; la malinconia sui loro visi si scioglieva tra le mie braccia, come l’ultima neve caduta tra i vicoli di Montmartre. Me la sono goduta la vita, carissimo. Una vita perennemente in vacanza, non mi sono fatto mancare niente. Mi sono pure sposato, lo sai, più per convenzione che per amore, e lei, tutto sommato, un matrimonio se lo meritava. Te la ricordi? Era bellissima ma noiosa. Passava i pomeriggi da Roney in via Libertà, sorseggiando granite al caffè, fumando sigarette, lanciando sguardi a tutto il passìo del salotto palermitano. Anche attraverso le vetrate potevi sentire il suo profumo: un odore di femmina dai capelli corvini e dagli occhi talmente verdi e pericolosi che molti finivano per inciampare anche solo incrociando il suo sguardo. Dici che le corna me le sono meritate? Può darsi. Ma per noi non è mai stato un problema. A lei bastava tutto ciò che il mio denaro potesse comprare, a me bastava la sua dote, una villa a Mongerbino e l’apparenza di un matrimonio felice per i bigotti della società. Lo sai, sull’apparenza hanno costruito nazioni intere…

Cosa dici? Se adesso che sono vecchio e sto per morire rimpiango qualcosa? Scherzi? Ho passato una vita a girare il mondo, anche adesso, guardami, questa villa meravigliosa tra palme e piscina, immersa nel verde, il personale premuroso sempre con il vassoio in mano, cosa posso volere di più? Un figlio? Bah. Questa del dna, del bambino a tutti i costi, è la scusa nella quale le donne di una certa età o di un certo ceto sociale amano rifugiarsi per iniziare una vita fatta di declino e pantofole. La donna dagli occhi verdi non ha mai voluto bambini da me, né io ho mai sentito questo bisogno; il mondo è già abbastanza affollato e non sai mai cosa può crescere intorno a vite come le nostre. I figli danno, i figli tolgono, e Giuseppe Milazzo è sempre rimasto libero da qualsiasi costrizione. Non sono mai stato più convinto come adesso.

La vita è una soltanto, e se nascere ricchi è una fortuna, continuare ad esserlo e diventarlo ancora di più è solo merito di ciò che tu chiami egoismo. Sono solo… io? Ma cosa stai dicendo!? Ma cosa mi vieni a dire? Ho più amici io che un bambino di dieci anni. Ti sbagli, io non ho comprato mai nessuno, non l’amicizia. A te, per esempio, non ho mai dato un centesimo, eppure mi sei sempre stato accanto. Anche negli anni della nostra vecchiaia ti ho sempre avuto vicino. Che vuol dire che te ne sei pentito? Che significa che ho perso la cognizione della realtà? Ancora con questa storia? Ogni volta che ti invito qui, alla fine, finisce sempre che litighiamo. Che significa ciò che hai appena detto? Gli infermieri? Ma quali infermieri! Tu sei andato di testa amico mio. Ma sì, vattene, vai via pure tu. Portati dietro quel relitto di tua moglie, la stessa che hai sposato cinquant’anni fa. Torna nel tuo condominio. Non ho bisogno di amici. I soldi, questi qui, li vedi? Sono tutto, ma non comprano gli amici e quelli a cui sono stato sempre vicino mi vengono a trovare ogni giorno. Facciamo festini fino all’alba, ci intossichiamo e poi ci facciamo curare dai migliori medici e nelle migliori cliniche. Che vuol dire che finalmente ho capito? Capire cosa? Tu sei pazzo. Esci subito da casa mia e non tornare più. Che significa che non è casa mia? Una clinica? Una casa di riposo? Un ospizio? Sei sempre stato un comico. Mi fai ridere e mi fai pena. Non verrai più a trovarmi? Bene.

Ma cosa fai, piangi? Sei ridicolo, vattene, ma sì… adesso voglio stare solo, non meriti un amico come me, non meriti tutto questo. Sei triste… vai vai… e non tornare più. La vita va vissuta sempre con il sorriso, leggerezza ci vuole, come dentro un bicchiere di champagne… ma cosa ne vuoi capire tu…
Cameriere? Uno chardonnay! Che significa che vi è rimasto solo un chinotto?»

5 thoughts on “Storytelling – La vacanza di Giuseppe Milazzo

  1. Che poi strana la mente… alla fine quando inventiamo i nomi finiamo per usare sempre le nostre iniziali ;)
    Grazie :*

  2. immancabili le emozioni e i sentimenti negli scritti di Marco… e stavolta c’è anche l’effetto sorpresa che in un racconto adoro trovare inaspettatamente… Complimenti!

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