Il taglio della falce

di Vito Catania

Ho imparato col tempo a vivere alla giornata, a non disperdere il mio sguardo verso orizzonti troppo lontani, perché annegare alla maniera di Leopardi in un ipotetico infinito sarebbe alquanto stupido oltre che insensato.
Il mio è un rifiuto deciso, una presa di posizione, una ribellione silenziosa contro un destino che sornione sorride ad ogni mia patetica iniziativa. Ho abbandonato così i miei progetti e con essi le prospettive radiose covate negli anni, le quali, in preda ad una metamorfosi tutta terrena, hanno lasciato solo l’eco malconcio di un ricordo, una scia acre come quella che disperdono i trattori carichi di letame sulla Provinciale.

Misi su famiglia tanti anni fa, una di quelle famiglie felici da spot pubblicitario con pargoli che giocano in salotto e mogli affettuose che ti fanno sentire ogni giorno speciale. Ben presto, però, i pargoli si emanciparono e con il cinismo degli adulti presero il volo verso continenti lontani, lasciando i genitori a scannarsi con le loro rispettive miserie. Miserie e debolezze, per intenderci, ma anche un pizzico di codardia dinanzi a quei giorni che avanzavano lenti… troppo lenti. Così, per spezzare la monotonia di quella lentezza soffocante, anche mia moglie un giorno decise di prendere il volo e, come un’aquila rapace, si fece trovare a letto con l’inquilino del piano di sotto.
Mi liberai allora di tutto e di tutti; dopo pochi mesi conobbi per caso in un locale del centro Denisa, una bellissima ragazza di Bucarest con il cielo negli occhi e il miele sulle labbra. Ci amammo come gli adolescenti, viaggiammo per mezza Europa senza pensieri ingombranti per la testa. Ci cullavano le città che visitavamo e il dolce tepore del presente ci avvolgeva proteggendoci dalle ombre del passato.
Toccò a me spiccare il volo quella volta e al mio fianco, stretta, avevo Denisa che finalmente dimenticava l’odore dell’alito di suo padre fetido di acquavite e la vampa delle sue mani ruvide che ardevano sulle sue piccole cosce fredde.
Fece appena in tempo a mettere al mondo il nostro piccolo Mattia prima di affidare il suo ultimo sorriso al cartoccio di lamiere dell’autobus Bucarest-Roma.
Sorride Mattia mentre gli compro il camioncino dei pompieri, sa benissimo che quello stupido giocattolo lo renderà felice per qualche giorno e che una volta rotto, inevitabilmente, verrà abbandonato come gli altri sul fondo della cesta.

Per quanto mi riguarda, come dicevo, ho imparato col tempo a vivere alla giornata. Gli uomini si affannano ogni giorno a risalire la corrente sicuri della robustezza delle loro ossa, quando in realtà i loro passi appaiono leggeri, inconsistenti quanto le loro ombre violentate dal sole. Non rimane altro, allora, che giocarsi l’ultima carta, abbandonarsi al gioco della vita come talvolta fa l’erba che asseconda il soffio della tramontana per evitare il taglio della falce.

4 thoughts on “Il taglio della falce

  1. Taglio da romanzo, bello e vero come tante tragiche notizie in questi giorni… la vita è così.
    Sviluppala, è un peccato lasciarla così con i limiti dello storytelling.

    Complimenti!

  2. Bello ma odoroso di acre, Vito. Preferisco guardare alla gorza del tipo della storia, molto “juncu” dantesco e siculo (“calati juncu, chi passa la china”!).

    P.s.: vi conoscete voi due? :)

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