Pensieri e parole

“[…] Che ne sai? Sì, tu lo sai.”

Non so bene di quante delle cose frullatesi nella mia testa questa estate voglio scrivere oggi 15 di agosto, ferragosto per i più.
Penso di non voler ricorrere ai soliti “preamboli delicatessen”, e così penso voler dire che questo mondo di egocentrici – che pure per una serata ti fanno vedere i sorci verdi perché deve essere tutto a loro forma e misura o non si può neanche sorridere! – mi sta stretto. Penso anche di voler dire che le finte amicizie che neanche ti chiedono “come va?” mi stanno strette. E penso poi di voler dire che tutte quelle persone che presumono di sapere/saper-ti per ruoli così atavici da non sostare più neanche nello strato più profondo dell’amigdala… non capiscono un cazzo; perché alla fine si cambia sempre: non si è l’eterna bambina riccia e manco l’eterna adolescente biondo-ingenua e iper-disponibile/dipendente. Penso di voler dire che le cose si evolvono e che è giusto che chi ha pensato sappia: che chi ha pensato che tu “sei una figlia di papà!” (pur senza una madre e con un padre che avrebbe voluto essere tuo figlio già dal tuo primo menarca) perché hai incontrato – forse per un errore di calcolo nelle arcane probabilità della sfiga – una persona che in qualche frangente ti ha viziato (sì, mi ha mantenuto gli studi ad esempio e non mi ha fatto mai fare i piatti tra i 12 e i 28 anni; il letto però sì: ogni giorno appena sveglia)… ecco, desidero che chi ha fatto questo bel pensiero sappia che “chiù lunga è a pinsata e chiù grossa è a minchiata”. Che siete persone marce con un deficit di empatia se non sapete immaginare che cosa pesa sulle spalle (oltre l’uossa) in saecula saeculorum da una cosa così. In compenso avete la presunzione di esigere che “e ora paghi!”: io pago lo scotto di essere stata amata almeno da lei come una madre dovrebbe (saper) amare; e lo pago con lo snobbismo invidioso di chi mi ritiene ancora, a 34 anni, quella ragazzina iperprivilegiata che si può permettere, nel 2000, di pensare solo a studiare per diventare chi desidera essere: chi schifiu chi ssì! 

Prigioniera di ruoli, mai potrei essere tenuta in considerazione dal basso di esperienze, studi, idee indipendenti, sentimenti genuini, stanchezze. Io che parlo solo per invidie-gelosie-prese-di-posizione adolescenziali. E il bello sai qual è? Che fuori da questo ruolo ce n’è confezionato un altro e/o quanti altri vuoi: animatrice, organizzatrice, crocerossina, responsabile, “trainatrice”, dovere-dotata, instancabile stacanovista tirocinante, etc., etc., etc.!

Come stai?”, dicevamo. Ho perso l’abitudine di dire la verità. Ho detto che quest’anno era stato particolarmente difficile, questo sì. Ho detto che stavo malissimo per la mia piccola nonnina in pericolo, questo sì. Questa era (ed è) una mezza verità. Ho detto pure che, invece di ricevere “richieste”, preferivo ricevere aiuto in forma di proposte. L’ho detto, ne sono certa, ma per lo più arrivano ancora richieste; in formato perifrasi, eufemismi e circonlocuzioni, questo sì.
Mi chiedo così ancora oggi che di quei mesi sono rimasti ricordi e qualche strascico chi abbia ascoltato e capito. Ma subito mi dico che andrà meglio e ci credo, e intanto leggo de “Le vacanze del popolo della partita Iva” e mi aggiungo addosso qualche altra domanda, tipo come farò a vivere bene con l’Iva e/o nel mondo che vuole le 12 ore minimo pagate a part-time ed in cui non si ritiene necessario onorare un contratto né esibirne i termini e le condizioni in sede di colloquio, figuriamoci poi rispettarli! In cui se sei schiavo vai bene, se alzi la testa sei licenziato e ti senti pure in colpa. Un mondo in cui la classe lavoratrice deve ringraziare per essere stata assunta e dare culo e sacrificare feste&famiglie&domeniche senza sapere quale sarà la sua retribuzione, senza poter quindi progettare un misero fottutissimo fine-settimana lontano da questo succhiamento-di-vita che chiameremo sfruttamento; lontano solo per …respirare un po’ di sé.

Il fatto è che la vita (la MIA vita!) facile non è. E che le cose si portano avanti a fatica, anche se è una fatica innamorata.

E comunque. Mi chiedo di cosa sto parlando e mi rispondo che da 36 righe non mi sto legittimamente chiedendo altro che “dove sto andando?”, “dentro cosa vivo?”, “qual è la cornice dei miei giorni?”. Io che, nonostante sia piena di vita volitiva e fin troppo desiderante, do culo perché “l’erba voglio cresce solo nel giardino del re”; perché alla fine oggi è ferragosto ed io sono circondata da vicini di casa “zulù” (con tutto il rispetto per) e da gatti almeno loro silenti in piena città. Scrivo, leggo, il medico mi ha prescritto vacanza. E basta.

Per ora sto leggendo Yalom, un guru della psicologia. Yalom racconta che noi psicologi spesso ci sentiamo soli e frustrati. Che spesso siamo stanchi di accogliere per lavoro tutta l’umanità dell’intorno e che poi resta poca energia per la quotidianità. Io non lo so se è così. Però al motto che “l’importanza sta nella relazione” ci credo e così mi guardo attorno: richieste di maternage, di annacamento, di riconoscimento pure di sta coppola narcisistica di m. E allora vorrei, piuttosto che sforzarmi di relazionarmi e di comunicare, spegnere tutti questi wifi e perdere la maggior parte delle speranze, ché tanto la maggior parte delle persone chiede a spruzzo ciò che vuole senza molta dignità o punto in faccia – diceva mia madre –, ma a ora di chiedere davvero come stai… beh, forse, tra tutte queste richieste-strattonamenti-pretese-sbattimenti, lo sanno massimo in 3.

In fondo, per altro, si lavora proprio su questo e a me non è mai fottuto un c. del ferragosto, ma ieri tra noi è stata una serata semplice, normale: bellissima.

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