Storytelling – I tulipani di Blufi

Caro M.,
Sul prato l’aria danza senza sosta assieme ai bombi: le creature il cui volo, mi dicesti, pare sia impossibile per via di ciò che la scienza si ostina a provare.
Mi viene da ridere ripensando a quante volte mi hai raccontato questa storia.

Qui è di nuovo primavera: la stagione in cui il campo di grano inizia a farsi fecondo.
Tra gli ulivi e i mandorli in fiore, resistono ancora i segni sulla cortecce che ricordano i nostri giorni insieme: non esiste altro luogo sulla faccia della terra che spieghi il senso della vita e della morte come questi campi circondati dalle montagne innevate.
Con il tempo, ho imparato ad apprezzare anche l’autunno: quella stagione in cui l’edera verde tende ad infiammarsi addolcendo la malinconia che mi pervade da sempre. Quella stagione che mi fa ripercorrere i terribili momenti in cui qualcuno, strappandomi i vestiti, mi disse che gli appartenevo come una cosa, che valevo meno di niente alla stregua di un animale o di un’essere inferiore: una donna piegata tra le sue spighe e il suo campo.
Se non fossi arrivato tu a ricoprirmi forse non sarei qui a scrivere un finale diverso.

Odio questi posti, odio questa terra, ma è qui che ti ritrovo.

Il Santuario, a due passi da qui, è incorniciato da cime bianche, le stesse dal quale scendevi portando al pascolo il tuo gregge. Ricordo ancora le tue mani grandi che riuscivano a raccogliere il mio viso che, come acqua, spazzava via ogni sorta di stanchezza, ogni chilometro, ogni particella di polvere dal tuo viso.
Ogni mio sguardo, dicevi, era linfa contro la paura, la stanchezza e i sacrifici.

Qualcuno disse alla mia famiglia che saremmo dovuti scappare lo stesso giorno in cui uccisero, una ad una, ognuna delle tue bestiole: il prezzo da pagare per aver salvato una ragazza da un maiale.
Forse quella gente aveva ragione: saremmo potuti andare al mare, in quei luoghi in cui non ero mai stata e che, dicevi, l’acqua aveva la stessa tonalità dei miei occhi; il mare il cui sale cura tutte le ferite. Tutto il resto in fondo non avrebbe avuto senso: è così che doveva andare.
Quando ti hanno trovato riverso a terra, stringevi ancora tra le mani delle piccole zolle, spighe, forse l’ultimo fiore per me: l’ennesimo tentativo di firmare con il sangue, il tuo, il territorio di chi non riuscì ad avermi.
Ricordo le altre spighe piegate e macchiate di sangue, il tuo corpo nudo martoriato dai fendenti, le mani che abbracciavano la terra, lo smarrimento, il terrore e lo sgomento di non averti più con me.
Non c’è momento in cui, ripensando a tutto questo, non torni violento in me il desiderio di abbandonare questa terra bella e maledetta. Ci sono voluti anni per capire che le farei un torto: un torto alla bellezza di questi luoghi, un torto a te, alla giustizia, alla tua splendida anima pura come la neve.

Ancora oggi, quando il campo di grano abbandonato si tinge di rosso ed il tappeto di tulipani si arrampica tra le colline, rido delle varie teorie che narrano di miracoli e misteri, o peggio, negano la spontaneità di ogni tulipano che ricopre le campagne di Blufi.

I tulipani, questi straordinari bulbi selvatici di Blufi, di cui nessuno è riuscito a dimostrare la provenienza, altro non sono che l’ultimo omaggio al nostro amore, alle donne che non si arrendono, alle innocenze violate assetate di giustizia; il ricordo di chi, versando il proprio sangue, non si è arreso malgrado le minacce, l’arroganza e la violenza.

Ogni singolo bulbo è memoria di chi ha amato la propria donna e la propria terra;
il grido e la speranza di chi non sa’ tacere e non si piega,
il volo di un bombo che non potrebbe volare.

2 thoughts on “Storytelling – I tulipani di Blufi

  1. Riflettiamo, ogni qual volta facciamo del male, e soprattutto quando lo facciamo alle donne, riflettiamo, su cosa stiamo privando quell’essere umano… grazie Marco, x la tua sensibilità!

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