Il costo umano del cioccolato

Per Pasqua, le mie due figlie, da brave bambine occidentali, hanno ricevuto circa 12 uova di Pasqua: al latte, fondente, bianco (che poi cioccolato non è)… con tante minchiate dentro che adesso mi ritrovo sparse per casa. Capirete bene che una dozzina di uova di cioccolato non potevano essere consumate solo da due bambine: il risultato è stato un mal di pancia durato 72 ore ed una riflessione seduto sul water.

In bagno, in quello che adesso è, grazie agli smartphone, il tempio per eccellenza per potenziali misantropi, amanti e segaioli, il cioccolato mi ha mostrato il suo lato oscuro. Fino a pochi minuti prima, la concezione di fabbrica di cioccolato mi rimandava alla bella Perugia, a catene di montaggio con delizioso cioccolato lavorato con maestria; confezionato e spedito in tutta Italia pronto a donare buonumore a tutti i consumatori.
In realtà, quando un bambino occidentale, spesso obeso, scarta un uovo di pasqua, una barretta di cioccolata o qualsiasi altra cosa che abbia almeno una minima quantità di cacao, sfrutta un suo coetaneo che viene frustato e costretto a lavorare nei campi di cacao per il resto della propria vita; parliamo di schiavi, bambini anche di 5 anni, tenuti in catene, seviziati e spesso orfani, venduti ai propri aguzzini, nel migliore dei casi, dagli stessi genitori.

Dietro a questo sfruttamento, oltre alle borse mondiali che guadagnano sul costo umano e materiale del cacao tramite le fluttuazioni del mercato, ci sono sempre le stesse multinazionali: quelle rassicuranti che sanno di famiglia, feste, e infanzia: marchi noti come Ferrero, Lindt, Mars, Nestlè, Kraft, M&M, Hersey, Godiva.

Un fenomeno che, secondo il rapporto dell’organizzazione no-profit Mighty Earth,  sconvolge Stati come Ghana e Costa d’Avorio, che detengono più del 60% della produzione mondiale. Stati in cui le foreste vengono letteralmente bruciate per lasciare posto alle piantagioni di cacao illegali a cui far affluire nuovi schiavi pagati 30-80 centesimi al giorno.
Ecosistemi totalmente stravolti in cui, al dramma dello sfruttamento minorile si aggiunge quello ambientale che non risparmia neanche le aree sottoposte a tutela da parte di governi corrotti e controllati dalle stesse multinazionali.

I minori coinvolti sarebbero più di 2.000.000: bambini che non hanno mai mangiato il prodotto finito e che si ammalano a causa dei pesticidi agricoli; bambini a cui sono stati strappati il futuro e la propria terra.

Dal 2001, successivamente alle prime inchieste governative, le aziende promisero di mettere al bando la schiavitù minorile entro il 2005:  l’etichetta Slave-Free sui propri prodotti sarebbe servita ad identificare una filiera controllata, rispettosa dell’ambiente e senza più bambini schiavi. Nel 2008, alle stesse aziende, fu concessa una proroga fino al 2010.
Attualmente, la filiera del cacao è la meno tracciata in assoluto: ad oggi le coltivazioni illegali continuano a crescere e si stima che il 50% del cacao finito, malgrado le rassicurazioni delle aziende, sia frutto di lavoro minorile.
Le maggiori aziende si sono date come ultima scadenza il 2025.

Probabilmente, la soluzione non sta in una rassicurante quanto verosimile etichetta, ma nel consumo etico e consapevole: bisogna ridurre il consumo,  o meglio, l’abuso di cioccolato, come di carne, o qualsiasi altra sostanza che causi sofferenza ad altro essere vivente, sfruttamento della terra, estinzione.

 

2 thoughts on “Il costo umano del cioccolato

  1. Ti sto rispondendo dal mio gabinetto.
    Bella riflessione, Marco. La dilazione al 2025 è ridicola! E continuerà, suppongo, dato che alle aziende, introdurre tale regolamentazione, sta costando parecchio. Comuque sì, 12 uova sono troppe, capisco che é tradizione ma cavolo…

  2. Sapessi quanto ho litigato con i nonni, zii, amici per questo motivo :P
    Siamo troppo schiavi delle convenzioni.
    Ad ogni modo, il gabinetto, è il nuovo ufficio per l’industria 4.0, il bello è che fino a qualche hanno fa ci scherzavamo pure su, di questo passo le riunioni si faranno tra bidè, lavello, e tazza del water. Sapessi quanti articoli ho iniziato lì! :D

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