Vizi Capitali 2.0 – Giocondo l’Iracondo

Non potevi nemmeno chiedergli l’orario che si voltava per darti una sberla. Era fatto così; al bar, dopo un goccetto, non si poteva nemmeno avvicinare, trasudava rabbia e rancore. Non si sapeva perché, giravano voci a riguardo. Pare che un giorno fosse felice e sereno ma poi tutto cambiò. Ha perso la moglie, non parlava più con la figlia, ha perduto anche il lavoro ad un certo punto. Non si poteva tornare indietro.
Dopo quei giorni, era diventato un nervo scoperto e qualsiasi cosa lo infastidiva. Lo chiamavano Giocondo l’Iracondo. Giocondo l’Iracondo si arrabbiava per qualsiasi cosa. Al baretto sotto casa, quando entrava lui, molte persone uscivano perché sapevano già che, a breve, sarebbe scoppiato l’inferno. Poteva essere una notizia sul giornale o il barista che gli comunicava che le brioches alla marmellata ai mirtilli erano finite. Insomma, in una vita di insoddisfazioni qualsiasi cosa poteva far girare i coglioni al povero Giocondo.
Tutti lo conoscevano nel quartiere, principalmente perché era sempre incazzato anche senza un motivo apparente, ma in generale tutti sapevano che quella persona soffriva e aveva sofferto durante tutta la sua esistenza. Anche voi vi svegliereste incazzati dopo una vita di sofferenze. Io conoscevo il personaggio ma non l’avevo mai visto all’opera come in quell’occasione.
Era la vigilia delle consultazioni del Presidente della Repubblica con le forze politiche in pompa magna invitate a salire al Quirinale per la formazione del nuovo Governo. «Ogni volta la stessa storia, porco zio, mi sono rotto i coglioni! Bastardi!». Avevo osato chiedergli: «Lei cosa farebbe?». Si girò di scatto e mi venne incontro sbraitando frasi incomprensibili. Gli chiesi di ripetere perché non avevo capito e di tutta risposta mi mandò a quel paese senza giri di parole, mi mandò letteralmente a fanculo!
A quel punto lo afferrai per una spalla e gli urlai in faccia: «Che cazzo di problema hai, vecchio di merda?». Un po’ stupito si gonfiò come un pallone e tornò all’attacco: «Ma tu che cazzo ne sai della vita, sei solo un pivello, torna dalla mamma! Io ho fatto l’Iraq, ho visto morire i miei amici in guerra e in ospedale, ma che cazzo ne sai tu della vita!?».

Il signore insinuava quindi che io ero inferiore a lui per esperienza: «Oh, vecchio di merda, che ne sai tu della mia vita e di cosa ho fatto? Potrei essere esattamente come te e tu nemmeno lo sai! Ma vai a farti un giro e strozzati con il tuo cornetto, vecchio di merda!».
In due dovettero tenerlo e io che avevo già i coglioni girati mi vidi costretto ad indietreggiare un paio di passi, sbraitando come un forsennato contro quel vecchio iracondo che si incazzava per ogni minima cosa. Ma poi mi vidi riflesso nello specchio nel bar, quello dietro il bancone, alle spalle del barista. Mi contemplai per una manciata di secondi, un attimo infinito che non si esauriva. L’interminabile sbraitare del vecchio era anche il mio, una composizione a due voci magistralmente orchestrata. Un’orrenda sinfonia di suoni sgraziati che cercavano di superarsi con arroganza spietata.
Quel vecchio ero io, ero stanco e appesantito e terribilmente arrabbiato. Ero stato messo anche io all’angolo dalla vita e non potevo più liberarmi dal giogo dell’ira, non potevo fare altro che lasciar cuocere le mie passioni a temperature elevatissime, tanto da scaldarmi inveendo contro un vecchio iracondo malato.

Giocondo ero anche io e quel giorno mi feci spazio tra la folla e cercai il mio avversario, il mio vecchio alter ego, lo cercai e lo strappai alla folla con rabbia, lo fissai dritto negli occhi per un attimo ed infine piansi, piansi e lo abbracciai, lo abbracciai e mi annientai definitivamente.
Il caldo abbraccio dell’Ira, della passione e della rassegnazione, del tutto.

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