Silenzio

Dalla fine di questo agosto andrò a vivere in campagna e dal marzo di questo 2018 sono l’osservatrice silente di un gruppo terapeutico. “Cosa c’entra?”, si potrebbe obiettare. In realtà le due cose hanno molto a che fare con un tema del mio periodo: il silenzio. Parto dal presupposto n° 1 che qui non parlo solo di quel silenzio necessario alle mie sinapsi appena sveglia, per cui, per evitare di darmi fastidio da sola, mi esprimo solo con mugugni e se c’è qualcun altro in casa o se Gina, la mia gatta, è particolarmente miagolosa, la cosa potrebbe diventare problematica ed evolvere nel lancio di tappine random. Non parlo quindi solo di questo silenzio da risveglio. Parto inoltre dal presupposto n° 2 che, per natura (o istinto?), io sono una che parla tanto. Ultimamente, tuttavia, ho iniziato a non tollerare chi parla troppo, inclusa me stessa, ma anche chi parla ad un tono della voce troppo elevato o chi guaisce emettendo suoni acuti o strepitanti pur di farsi sentire dall’universo creato. Certo, non tutto si può sempre pesare e misurare, ma mi chiedo quale sia il senso di dire e contro-dire, il mio senso, innanzitutto. Ci sarei pure tacendo, grazie a dio inizio a saperlo ed a valorizzare chi se ne avvede. Eppure spesso la parola starnazzante, i clacson, i petardi, le urla dei vastasunazzi e dei picciriddi maleducati, le tv o le radioatuttovolumedeglistronzi regnano sovrani. 

Per converso, io ho messo la retromarcia e ho iniziato ad apprezzare il meraviglioso mondo delle cicale non parlanti (non la mia lingua, almeno), delle cose che fluiscono sottosoglia, dell’ascolto e degli occhi. Penso al gruppo terapeutico, in cui non parlo al di là del “buongiorno” e del “buonaserata!”; penso agli occhi mobili e impauriti, allo sguardo accogliente ma sfuggente, al sorriso complice e contenuto ed alla difficoltà di incontro visivo. D’altronde il silenzio non esiste e si comunica con tutto il corpo, tant’è che, in questo gruppo, io guardo, ascolto e non parlo, ma sono tutt’altro che un’osservatrice astinente o assente: sor-rido, bevo, mi scopro a corrucciare sguardi o ad arricciare labbra e a cambiare spesso posizione tra gambe accavallate o piedi tamburellanti e addirittura a cambiare poltrona quasi ad ogni incontro. A volte mi sono auto-fustigata per questo, sentendomi psichicamente bocciata da Freud in persona o dal mio Super-Io integerrimo per la mia non-astinenza-cinetica, tuttavia oggi mi quasi-accetto e mi consolo pensando alle recenti osservazioni dei membri del gruppo (“però la dottoressa ha un bel sorriso: molto accogliente!”) ed alle preziose emozioni che solo solo l’esser-ci co-crea.
Insomma, io taccio, ma il silenzio non esiste; non a caso, dopo il mio ingresso i membri del gruppo hanno iniziato a percepire la conduzione come più comunicativa. I 4’33” di John Cage la dicevano (o non dicevano) lunga in merito, come la performance “The artist is present” di Marina Abramovic, che se n’è stata immobile, in silenzio e per molte ore al giorno a incontrare gli sguardi del pubblico che le si sedeva di fronte: nonostante la Abramovic non fosse in alcun modo reattiva, l’impatto emotivo della sua presenza tutta corpo, sguardo e silenzio sui partecipanti è stato comunque molto forte, generando nell’Altro le reazioni più disparate. Similmente, in questi quasi 5 mesi in cui anch’io sono stata in silenzio tra i membri del gruppo, ho scoperto che la presenza e la comunicazione di un osservatore silente può essere sottile, ma potente, caratterizzata da un taciturno fluire di emozioni che è uno svuotarsi e un riempirsi di continuo e reciprocamente. Altro che silenzi!

Il punto è che “non si può non comunicare”, scriveva Watzlawick; ma manco c’è bisogno di saturare, tanto si comunica ugualmente, appunto! Il silenzio fa parte della comunicazione, della relazione e del tutto; solo, sta su un livello diverso. Ma, come tale, andrebbe ascoltato e valorizzato, non forsennatamente riempito!

…Belle idee, e poi ripenso alle parole starnazzanti, ai clacson, ai petardi, alle urla dei vastasunazzi e dei picciriddi maleducati (che mi stanno sgriciando da un’oretta buona sotto casa, appunto), alle tv o alle radioatuttovolumedeglistronzi.
E insomma, spero vivamente di riuscire a convivere con le cicale e di imparare a sentire i rumori del bosco senza stancarmene capitalisticamente dopo qualche mese e poi spero che Anto smetta di interrompere questo ascolto ciuciuliando pure con i mobili. Questo non più solo all’inizio di una giornata, ma anche in mezzo e poi alla fine, quando torno a casa stanca e col corpo indolenzito e desidero tanto ascoltarmi e ascoltare pianissimo le cose, rallentare, sentire il tempo della mente e dell’intorno. Anche questa è musica, anche questa è comunicazione, anche questa è relazione. Nonostante qualcuno dica che si chiami “vecchiaia”.

(Sulle varie in itinere, ultimamente su facebook leggo “stay tuned”.)

4 thoughts on “Silenzio

  1. la notte del mio compleanno l’ho trascorsa a Palermo, ho dormito nella stessa strada dove ho abitato per un anno. Mi sono svegliata alle 7 del mattino frastornata dai clacson delle auto, dai motorini, dagli ambulanti… e mi sono resa conto che non c’ero più abituata. A san Vito c’è silenzio e di Siviglia mi sono sempre meravigliata della quiete.
    Ora che ti sei trasferita, starai bene, fidati.

    Per quanto riguarda il gruppo psicoterapeutico, ovvio che dicano che “la dottoressa ha un bel sorriso”! :D

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