La paura del crollo

Trancio di ricciola in panura di grissini al sesamo di chips di patate e mayonese di pomodoro giallo”.
In questi giorni sono un po’ più libera e passeggio per Palermo. Attaccati ai mille nuovi locali, menu di capodanno del genere mi incuriosiscono e me ne chiedo i sapori. Mi chiedo le radici dei grissini al sesamo di chips di patate e mi sento retrò nella mia confusione tra patate e grissini. Forse sono grissini di patate. Sarà una nuova formula mediatica per farti ben capire che i 60 euro che chiedono per questo cenone sono tutti ben spesi. Resto nel dubbio, chiedendomi che fine abbia fatto il vuoto tra le cose e che fine faccia, nel delirio delle festività, la differenza tra “patate” e “grissini”. Certo, oggi esiste di tutto. Sono io che mi faccio troppe domande, non del tutto abituata a (ma affascinata da) l’opulenza

Intanto, vivo la mia città: la Galleria delle Vittorie ha riaperto, sa di storia e un pochino anche di chic, pure se in fondo ci sta il bidone stracolmo della risulta e molta trascuratezza nelle rotture e nelle barriere-da-confinamento chissà perché dimenticate lì. Forse per ricordarci, appunto, le contraddizioni della nostra città. Il turismo è in aumento, pare, e questo è bello, ma la mia amica guida turistica mi racconta che per l’emergenza rifiuti in passato hanno spesso annullato molte crociere, molti giri di piacere con tappa “Palermo”. Eppure, in via Maqueda non esiste quasi più un angolo vuoto. C’è sempre da riempire, i locali sorgono come erba gatta, ce ne sono per tutti i gusti. Mi sento compiaciuta, fiera, ma un germoglio di dubbio mi irrequietisce l’anima. E se fosse un bluff? Se fosse un’illusione? Stanno curando le cose alla radici? O è apparenza e presto falliremo, come ci dicono tutte quelle testate che quotidianamente inneggiano all’emigrazione, perché fuori si ha successo e qui mai? Non so bene cosa credere. Guardo i localini e sono contenta che si lavori. Io spero di lavorare. Eppure, continuo ad aver paura ed a chiedermi dove stia la sostanza. A chiedermi se sappiamo tollerare il vuoto e interrogarci sul senso o se riempiamo senza chiederci il perché. Quanto di etico, di sviluppo, c’è dietro tutto questo? Mi piace, devo dire la verità. Mi piace via Maqueda così viva. Ma che fine ha fatto la crisi? Com’è possibile sentire tante lamentele e intanto vedere i locali strapieni? Forse non tolleriamo il vuoto delle pance e l’essiccazione dei gargarozzi e su quello dimentichiamo la crisi? O più probabilmente la crisi non esiste e ci chiamano “precari” per farci sentire al confine del rasoio, desiderosi di spendere per non crollare nel vuoto critico della marginalità, della non esistenza? La “farmacopea del desiderio”: ce lo instillano dentro come criterio per farci sentire vivi e per spingerci ad acquistare. E’ il periodo perfetto! Io per prima ho fame, una discreta fame. Sento che il palermitano ha fame. Ma siamo duri ad arrenderci nonostante la nostra depressione ontologica da pseudo-terzo mondo, oppure sacrifichiamo su un sabato sera gli ultimi 10 euro della settimana? Ogni tanto ho questo terrore: che non siamo lungimiranti per nulla. Sarà che non riesco a spiegarmi i localini-funghetti. Qualsiasi cosa chiude, ma loro aprono. Anzi: qualsiasi cosa che sappia di radici chiude per fare largo alle griffes: l’Extrabar Olimpia, dove mio nonno cucinò non so per quanti anni, il Pinguino, ché l’altra sera non sapevamo dove prendere l’autista, Flaccovio, qualche giorno fa Gian Flò, Stancampiano, il bar Alba, Grande Migliore chiuso lì da anni a mo’ di reliquia, Max Living. Sopra ci nascono robe simili, spesso, e i centri commerciali pullulano. Non capisco bene, forse i prezzi? Forse dietro ci stanno le azioni, le P20, i giochi di potere e di denaro che noi gente semplice degli anni ’80, ancora a fatica attaccata a qualche tradizione di raccordo, non possiamo capire? Io di natura non sono particolarmente nostalgica, ma avverto un certo disagio sullo sfondo di tutto questo che mi porta nostalgia. Starò invecchiando male. Mi piace l’esplorazione, sono fiera della ri-nascita della mia città, eppure non capisco l’esigenza di dimenticare. Mi piacerebbe rivitalizzare piuttosto: di storia c’è bisogno, io ne sento il bisogno. Non lo so, tipo delle generazioni di mezzo che fanno da guide e ponti, da significativi significanti tra l’ex e il progresso, rendendo il primo la continuità attraverso cui far fiorire il secondo. Altrimenti dovremmo chiederci cosa vogliamo rimuovere. Troppe cose sgradevoli da allontanare tramite pareti dai colori zuccherosi e arredi nuovi o rinnovati dall’etichetta “vintage”? Magari mi sbaglio e dovrei solo godermi tutto questo, le lucine. E’ che la natura umana è ambivalente, conflittuale e se sei fortunato lo senti. Io sento che c’è qualche grande mancanza in me: vorrei sentire di più di cooperazioni, di mix non di panure culinarie riempi-pancia, ma di mixaggi più coraggiosi di genti; perché poi se queste cose mancano è a te per prima che manca il coraggio! Io che mi ostino a non stare sul vuoto e che ho il pollice opponibile infiammato da quando le mezze giornate solitarie di libertà natalizia mi lasciano il tempo per il cellulare. Eppure, grazie a dio me ne accorgo e me lo impongo: ogni tanto la lentezza, il nulla, la vita fuori dalla città, il bosco di San Martino illuminato dal sole, nessuna luminaria e manco cassonetti o panifici a chilometri. In questi giorni, mi regalo il tempo delle pulizie, di una chiamata con una collega, di scrivere, di cucinare per tutti gli amici, di fare gli auguri sentiti, di accarezzare i gatti, di essere triste o contenta senza cose complicate. Non lo so cosa farò a capodanno, anche se me lo chiedo, contaminata dal desiderio della polvere di liquirizia vinaigrette su panure di cotechino a sigarettina di patate rosse & guanciale di misticanza alla riduzione in bauletto di Amarone della Valpolicella. Entro il 31, spero mi passi l’infiammazione-da-vuoto al pollicione e spero che, 31/12 e vacanze a parte, io come Palermo – mia madre -, ci penseremo e non riempiremo ancora per paura del crollo.

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