London calling – Parte Prima

Come cantavano i The Clash. Ebbene sì, questo è il mio diario di viaggio a Londra. A dire il vero mi vergogno non poco confessandovi che a 33 anni suonati non vi ero mai stata ma non è mai troppo tardi! Ricordo che, quando Rosita scriveva per Abattoir le sue cronache di vita nella City, mi incuriosivano parecchio (cercatele alla rubrica “Mind the Gap”).

Quest’estate, tra il lavoro e la lontananza dalla mia amata Siviglia, sognavo di evadere dalla routine e già a luglio cominciai a programmare quello che sarebbe stato il mio prossimo viaggio. Ero indecisa tra mete come Cuba o New York ma c’era un campanellino li dietro l’orecchio destro che non smetteva di tintinnare al tocco di “LON – DON – LON – DON – LON – DON”. E quindi, Londra fu.

Dal 16 al 24 ottobre, sola, mi avventuro in un mondo mai esplorato prima ma sempre visto nei film o narrato nelle mie pagine preferite. Iniziamo benissimo: volo in ritardo di un ora. Al tavolino di un bar aspetto sorseggiando ColaCao, adoro la Spagna! Quello che non adoro è il fatto che la gente in aeroporto è super profumata. Scusi, signor Duty Free, potrebbe per piacere mettere una limitazione agli spruzzi a sbafo? Mi viene la nausea.

Arrivo a Londra e non trovo l’alloggio che ho affittato. Chiamo il tizio e non mi risponde. Chiedo al proprietario di un negozietto di alimentari che mi indica la direzione, chiedo ad una coppia di amiche che mi indica la porta. Insomma, mi avevano dato un indirizzo approssimativo. Arrivo davanti la porta e apro la cassettina delle chiavi. La mia chiave non c’è. Provo a richiamare il tizio. Questa volta, per miracolo divino, risponde e mi dice che era impossibile che non ci fosse! Io già stanca, incazzata, bagnata (piovigginava), e sul piede di guerra, comincio a pensare di mandarlo affanculo e cercare un hotel. Alla fine mi dice di prendere delle altre chiavi ed entrare in un’altra stanza. In pratica mi danno la stanza sbagliata: un buco. Davvero! Ci entrava solo il letto e una sedia, la mia valigia per terra e solo un e dico un gancio per appendere la giacca. Per fortuna che avrei dovuto dormirci solo due notti (che ho passato coi vestiti sul letto e l’accappatoio sulla sedia). Spirito di adattamento livello TREMILAAAAAA.

Il secondo giorno: si va a Camden Town e al Camden Lock, il famoso mercato! Me ne sono innamorata all’istante, volevo rimanerci forever tra quelle strade, tra quelle bancarelle variopinte, tra quelle viuzze con le porte colorate… Dopo aver mangiato street food inglese servito da una ragazza spagnola, decido di seguire il canale fino a Regent’s Park. Il meteo un po’ pazzerello: pioveva e smetteva e usciva il sole e ricominciava a piovere e poi smetteva e insomma…Regent’s Park è molto bello ma ospita un baretto dove un cappuccino me l’hanno fatto pagare quasi 5£, ‘sti ladri! Dopo il parco, mi avventuro verso una delle strade più famose di Londra: Baker Street. Spero tutti abbiate sentito parlare di un certo Sherlock Holmes e del suo fido assistente Watson, due incredibili personaggi scaturiti dalla penna del geniale Arthur Conan Doyle. Visito il museo e la bellissima casa e torno a Camden Town che di sera acquisisce tutto un altro aspetto. Ceno in un pub fighissimo chiamato The Blues Kitchen con musica rock dal vivo e gintonic fantastici e vado a nanna ché il giorno dopo avrei dovuto lasciare il tugurio e trasferirmi a China Town.

Il terzo giorno mi sveglio col raffreddore e per qualche ora mi sono sentita la febbre addosso, per fortuna al Poundland vendono paracetamolo a 1£: Calcutta mi ha voluto bene in quei giorni. In stato febbricitante vado a fare il secondo check in: questa volta il proprietario dell’appartamento si è presentato in carne ed ossa e la stanza era perfetta! Giusto un po’ di movimento sotto casa: ero in piena China Town, quella con le lanterne, i cancelli rossi e verdi, i ristoranti cinesi veri, con vero cibo cinese, con veri cuochi cinesi e veri clienti cinesi. Peccato che a me il cibo cinese non piaccia! Ma, oh, nessuno è perfetto! Passo la mattinata tra Piccadilly Circus e Leicester Square persa tra i negozi e piccoli baretti di Soho. Il venerdì i musei chiudono più tardi e quindi mi incammino verso il National Gallery ad ammirare Velazques, Caravaggio e i famosi “girasoli” di Van Gogh. Era una serata gradevole, non pioveva e non tirava vento: perché non ci facciamo a piedi tutta Parliament Street e andiamo a vedere il Big Ben? Fatto. Peccato che tutto il parlamento e la famosissima torre dell’orologio erano sotto impalcatura. Non ho potuto ammirare uno dei luoghi più importanti d’Europ – ah, no, scusate il mio lapsus brexitiano – del Regno Unito. Che peccato! Per concludere la serata mi perdo in Metro, prendo il bus per disperazione e vado a mangiarmi una bisteccazza da 30£ e, non me ne vogliano i veg, ce li è valsi tutti!

Continuano le mie mirabolanti avventure nella capitale del Regno Unito nel prossimo post.

2 thoughts on “London calling – Parte Prima

  1. Beh, perdersi in metro a Londra va fatto almeno una volta nella vita. In fondo però non ci si perde che per pochi minuti, il tempo di prendere un’altra corsa.
    Io dovevo salire sulla linea gialla e la attendevo nel binario giusto, ma entrando mi resi conto dalle maniglie e corrimano verdi che ero sul mezzo sbagliato. Poco dopo però ho capito che ero su un vagone sostitutivo (un verde che sostituiva il giallo).
    Per qualche minuto ero lì a studiare come tornare sulla retta via, ma non è stato necessario.

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