“Stranieri ovunque”

Palermo – Piazza S. Anna (ingresso della G.A.M.)

Palermo – Piazza S. Anna (ingresso della G.A.M. – dettaglio)
Palermo – Vucciria

Nello scorso articolo parlavo di incontri Palermo-Cina e ieri l’altro, alzando la testa per guardare il cielo notturno di Palermo, ho visto questa scritta luminosa su uno dei cancelli della Galleria d’Arte Moderna: perfetta e coraggioso, messa lì. Mi è sembrato un discorso che continua, così oggi parlerei di incontri. In particolare, guardando a quella scritta ho pensato a Federico, mio giovanissimo paziente che 2 settimane fa mi parlava dell’altro, di come spesso l’altro (era difficile dirlo per lui) fosse “stupido”. Di come spesso fosse troppo difficile comprendere certi modi di divertirsi e di stare nel mondo: i modi degli altri; quelli “non familiari”; quelli degli estranei. …Forse Federico è un po’ “rigido”. Ma rigidi e pregni di pregiudizi non siamo forse tutti? Non abbiamo forse un po’ tutti il metaforico colletto della camiciola inamidato che ci impedisce di girare il collo verso la prospettiva altrui? Penso su questa ai muratori che ho a casa e a tutti i modi in cui cercano di fottermi per tirare al loro. Penso a quanto sarebbe in verità costato meno a tutti non provare a fottersi a vicenda e tentare di sopravvivere guardando nella direzione dell’altro, non alle spalle dell’altro guardato come succulento pollo da sventrare alla prima occasione buona. Penso a quanto saremmo tutti più felici se smettessimo di stirare i colletti e le camice tutte e, forti dei nostri confini “sufficientemente buoni”, iniziassimo a guardare meno rigidamente nelle altre direzioni , a dirci che ci sono “stranieri ovunque”, e che non fa nulla se quelli hanno abitudini cimiteriali diverse e se quegli altri cucinano col curry!

Palermo, la vita, l’uomo… sono beffardi, ambigui, ambivalenti. Tanti articoli su Abattoir lo evidenziano e tante storie di vita e di (anti)comunità pure. Palermo è tanto; ad esempio, come ieri, è sardina… Ma quei muratori…? Palermitani sono! Allora, pensavo, invece di fare i cazzari e di chiederci “quanto costano le banane a Palermo”, potremmo guardare sulle mura di Piazza Sant’Anna e riflettere sull’invito stampato sull’arte della nostra città. Potremmo, ad esempio, usare la nostra arte e le nostre risorse, tipo quelle del basso prezzo delle banane, per apprezzare le estraneità. Oppure, potremmo notare che i colletti rigidi sono pure i nostri.
Mi ricordo in tal senso qualche anno fa le proteste dei ragazzucoli di trent’anni sulle pedonalizzazione di quella stessa piazza: prima piena di macchine, ora vuota: “che schifo!”. …E oggi è vuota? Pienissima! Di gente, di locali, di arte, di stranieri (ovunque). Un libro molto bello in merito la dice per bene: la relazione con l’estraneo “rappresenta lo stadio più evoluto e produttivo dell’esperienza umana. Stadio che è importante nella vita lavorativa, nella partecipazione organizzativa, nella vita ludica e nello sviluppo culturale di persone, gruppi sociali e d’intere popolazioni. La relazione con l’estraneo, d’altra parte richiede che l’esigenza di conoscenza prevalga sul bisogno di sicurezza e controllo garantito dal sistema d’appartenenza”.
Ma noi? Riusciamo a dirigere il collo oltre il nostro colletto? Oltre l’allontanamento del comodo/patetico posteggio in doppia fila? Notiamo mai che restare fissi sul nostro, su quanto abbiamo ragione, sulle nostre abitudini a colazione o nel seppellimento, su quanto l’altro sia stronzo… evita la novità, la conoscenza del diverso (anche di quello che è in noi!) e lo cataloga come “coglione” – direbbe forse Federico – e come nemico, generando dinamiche di potere che ingessano la relazione entro i nostri stereotipi imperialisti? Forse forse “la fratellanza è venuta meno nell’epoca post-borghese: la solidarietà, il piacere del rapporto con l’Altro, questo è stato spazzato via. […] Perciò gli esseri umani non sono più capaci di essere fratelli” (Bifo).

Mi chiedo come andrà a Federico se non ci lavorerà per bene su. Mi chiedo come finirà a tutti noi, cinesi compresi, se non ci lavoreremo su. Mi chiedo come andrà alle città se non torneremo a desiderare di essere cittadini e fratelli, al posto di leoni, gazzelle, stronzi e prede.Perché “la negazione dell’estraneo comporta l’apprezzamento dei soli sistemi d’appartenenza e la riduzione al proprio sistema di appartenenza di tutte le realtà che s’incontrano entro la relazione sociale”. “I localismi chiusi e mitici sono un esempio di questo, così come la coesione raggiunta attraverso la demonizzazione dell’altro, del diverso, o le nuove regole che reggono intere società alternative alle regole condivise: penso alla mafia, alla delinquenza organizzata ma anche ai leghismi.

…Forse in effetti Federico è un po’ “rigido”. Eppure lui, come la scritta sulla G.A.M., è coraggioso: è venuto in terapia per crescere, per conoscere i suoi “stranieri interiori”; per ora li vede negli altri e cerca di capire cosa farci. Direi che è una grande cosa. Direi anche che lui sarà piccino, ma che è pure più coraggioso di altri, dato che rigidi e pregni di pregiudizi non siamo forse tutti?

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Carli R., Il contributo della psicologia per lo sviluppo della convivenza nella città, http://www.spsonline.it/Letture/carli_convivcitta4.doc, on line il 13 aprile 2004.
Carli R., Paniccia R. M. (2004), L’analisi emozionale del testo. Uno strumento psicologico per leggere testi e discorsi, Franco Angeli, Milano.
Cavaleri S., Lo Piccolo C., Ruvolo G. (2016), L’inutile fatica: Soggettività e disagio psichico nell’ethos capitalistico contemporaneo, Mimesis edizioni, Milano.

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