COVIDecameron #1 – 10.000 passi

Di Alessia Ingrasciotta per il contest “COVIDecameron – Storie in quarantena”.

Sono nervosa, nervosissima e non so davvero perché. E questa cosa mi rende ancora più nervosa e mi infastidisce. Perché non riesco a mettere a fuoco ciò che mi rende così nervosa? Il viaggio imminente? Il gatto che miagola di continuo da tutto il giorno e non si capisce perché? La consapevolezza del fatto che se miagola di continuo è perché forse ha bisogno di sfogarsi? Di fare quello che un gatto farebbe normalmente? Uscire, cacciare, correre, esplorare. E invece è costretto in un appartamento. Sensi di colpa. Sempre presenti quelli. Mai una volta che si facciano da parte. Il mio orologio vibra. Mi ricorda che sono ferma da troppo tempo, è quasi ora di cena ma esco. Esco o uccido qualcuno.

E così comincio a camminare sempre dritto, sempre dritto. Un cane col suo umano. Penso a Bessie. La mia cagnetta. A causa di una malattia improvvisa è morta due anni fa. No, non è solo morta. L’ho fatta sopprimere. Non volevo farla soffrire, non riusciva più a stare in piedi e viveva a ritmi di quattro ore per volta. Il ritmo degli antidolorifici. Ricordo l’ultima sera con lei, con le sue ultime forze mi portava la pallina segnata da anni di giochi e di morsi, lasciandola cadere davanti ai miei piedi. Mi guardava scodinzolando. Di nuovo sensi di colpa. Stavolta piango. Piango per 20 minuti buoni. Bessie mi manca. E quando vedo le altre persone con i loro cani mi manca ancora di più. Ho la presunzione di credere che chi non ha mai avuto un cane non può capire veramente come si possa creare un rapporto così profondo con un animale di un’altra specie. Si vive in simbiosi. Ci si capisce con uno sguardo. E quando la vita del proprio compagno finisce si crea un vuoto enorme. Ma non è quello il motivo per cui sono nervosa. Eppure mi serve pensare a Bessie per poter piangere. Pensare a lei mi fa sempre piangere. Probabilmente in questo momento ho bisogno di questo: poter dar sfogo alle mie lacrime. Senza freni. Senza vergogna. Forse senza motivo.
Ho cominciato a muovermi a zigzag tra le vie della Crocetta, quasi a volermi perdere. Ma a Torino non puoi perderti. La città non te lo permette. È come una scacchiera e alla fine, gira e rigira, angolo dopo angolo, sai esattamente dove si trovi.
E io mi trovo ai Giardini del Fante, proprio davanti a una sontuosa villa del 900. In alto leggo “Anno Domini MCMXIV”. Oltre cento anni di storia sono passati dentro e fuori quell’enorme casa. Immagino le persone che ci vivono. Le immagino ricche e felici. Chissà quali prelibatezze stiano mangiando, mi chiedo. E invece sono colta all’improvviso da un odore acre. Broccoli bolliti! -penso- anche i ricchi mangiano i broccoli!
Alle otto di sera nella zona pedonale della Crocetta, tra l’odore di broccoli, molti portano a spasso i loro cani. Anch’io vorrei avere il cane. Se ci fosse stata Bessie l’avrei portata fuori con me stasera. Eppure, nervosa come sono, non le avrei permesso di fare una passeggiata come si deve. Avrei cercato di farla camminare velocemente senza lasciarle annusare ogni singolo filo d’erba come avrebbe voluto lei. Ma chissà, magari invece le avrei tolto il guinzaglio e l’avrei fatta correre dietro alla sua vecchia pallina. Se solo mi fossi fidata un pochino di più di lei… aveva il vizio di rincorrere gli altri cani e sarebbe di sicuro finita sotto una macchina.
Guarda, un albero sta fiorendo! Ha dei piccoli fiori rosa simili a quelli del ciliegio. Chissà se è veramente un albero di ciliegio. Siamo a febbraio ma non piove da mesi e questa sera fa un caldo che sembra aprile.
Fanculo il riso che è avanzato ieri! Mangerei una bella pizza! È ora di tornare a casa. Ma soprattutto ho deciso che nessuno mi ha imposto di tornare a casa a una determinata ora. E anche se il mio orologio segna 8.793 passi nessuno mi impone di arrivare necessariamente a 10.000. Adesso ho voglia di tornare a casa. Avevo solo bisogno di uscire. Mi viene quasi da sorridere. Era solo questo, voglia di uscire di casa! Salgo di corsa le scale, infilo le chiavi nella toppa.
“Sono tornata!” Dico ad alta voce.
“Meglio?” Mi chiede lui.
“Sì.”
“Come lo vuoi il riso?” Mentre me lo chiede lui ride ma sto riso s’ha da mangiare.
Mi lavo le mani. L’orologio vibra e seccata penso “chi è che mi chiama?”
10.000 passi.

2 thoughts on “COVIDecameron #1 – 10.000 passi

  1. Ho avuto bisogno di tempo per rileggerlo ancora una volta e commentare. Molto bello, molto, molto. Tenero. Sulla condizione umana, sull’incontro difficile e forse qualcosa sul non incontro di oggi…
    Bessie. Dolce.
    Lo scrivo con uno dei miei gatti sulle gambe, mi ama credo, più di molti altri. La femminuccia dorme fuori (lei é più discreta e meno appiccicosa) e il Terzo, che é “solo” un ospite (é il gatto dei miei nonni, che però ha bisogno di cure e dato che non posso andare da loro… sta lui qui da me), miagola Inquieto; è “chiuso” in una stanza. Vorrebbe uscire, il running in giardino finché c’era il Sole non gli è bastato, anche se con 3 zampe (sì, é un tripodino!) arranca un po’…

    E insomma, avendo chiaro l’obiettivo e che siano 10mila o meno… Ed anche se quest’anno ha oscurato anche l’hanami…, ce la mettiamo tutta :)

    Grazie per questo bel pezzo!

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