COVIDecameron #13 – In tempo

di Antonella Tarantino per il contest “COVIDecameron – Storie in quarantena”.

Si guarda fuori. Fuori dalle finestre e per strada chi balla corre e fa finta di niente. Dalla tv puntano Londra, Madrid, Parigi e lontano, fino in Cina, Stati Uniti, Australia. Al freddo del Polo Nord i pinguini stanno bene, non si sono ammalati, in Sicilia teste calde al sole. Lui è uscito, io resto a casa. Si guarda e si canta dai balconi. Io guardo dentro e dentro al buco della serratura, giro gli occhi ma non entro, ci sto stretta, potrei provare a bere di più e a tagliare unghia e capelli, inventarmi lungiforme, attraversare la serratura. In fondo il buco è un posto sicuro (lì si nasce e lì si vuole tornare) e la toppa è una fortezza contro i bacilli del Coronavirus che, imprigionati nel tamburo della porta tra cilindro e maniglie in acciaio, brillano – segnaletica utile per raggiungere il cesso! La targa indicativa farebbe troppo autogrill e mi vengono in mente ricordo e rimpianto di quel giorno in cui a 36 denti tu mi hai chiesto: “devi fare pipì?”. Che nostalgia!

Fuori dal comune cerco un senso, potrei uscire con mascherina, ma la sindrome de “la mia è più bella, la tua non serve a un cazzo”, mi crea ansia. Se faccio la spesa mi guardano dentro, dentro al carrello; le scarpe le ignorano. Come stanno i piedi non interessa più a nessuno e se te li lavi ancor meno. Tutti con la fissa delle mani! In guanti gialli disinfetto. A mano a mano, in tempo. Ieri indicato se arrivavi a mani vuote, oggi se a mani nude o mano nella mano; farnetico: se perdo la testa e ti do la mia mano rischio il penale.
Guardo dentro, dicono che la libertà e la felicità siano in ognuno di noi e che a volte si incontrino. Porte aperte a casa così possono entrare o uscire con facilità. In corridoio non ci sono code e davanti al frigo il pericolo: stavolta non mi fottono, lì testa e cuore si incontrano sempre.
Giro a piedi nudi per casa sul marmo ghiacciato interrotto dai tappeti morbidi. Concentro lo sguardo sui rombi, i loro colori spariscono via via che mi avvicino. Cerco gli occhiali, non li vedo. I rombi asimmetrici si allargano e poi il susseguirsi di immagini trascorse ha il sopravvento. La tua camicia rosso fuoco sotto gli occhi cielo. Il passato di verdure sta sul fuoco. A fiamma lenta, in tempo. Bucato steso. Il mio cane a 200 metri e non oltre, oggi lo porto fuori: passeggiata e pipì. A passo lento, in tempo.

Continuo a guardare dentro: sposto gli oggetti così da dargli un nuovo ordine. Ripasso, in tempo. La mia via crucis, a casa devo restare! Staziono in camera da letto, bianca splendente, la testata del letto luccica. Ci guardo sotto: nessuno, gatto-tappina-mozzicone-briciola-calzette assenti e neanche un granello di polvere. A terra, in tempo.
Il lamento ricrea il problema e la sedia a dondolo su cui poggio il coccige ne scandisce il ritmo. Mi arrendo all’indifferenziabile e butto l’umido che mi puzza. Sulla soglia del portone, in tempo.
Con certi giga dentro ho trovato me stessa: risveglio tibetano (grazie di esistere), meditazione (tu non sei l’altra), preghiera (fa che tutto ritorni), pilates (mani in alto, glutei sodi ), “la torta e la pizza come si fanno?” (lievito), la lettura di libri (sogno), scrittura (immagino), musica dal vivo (e non finisce mica il cielo!), ho visto Cristo andare per diverse vie. Le case come le chiese. Sul divano, in tempo.
Mi collego e guardo i like, i miei pallini ed i miei followers, i link condivisi. In Italia dicono di osservare il lockdown (io ho cercato come si scrive), è questione di lingua o di feeling? Conto e… Ci vediamo on line – ti vedo bene, in un parallelo che ci tiene in due emisferi distanti.

In tempo, dillo alla luna.
Fase 1, fase 2, fase 3.

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