Il post-covid dei Nevrotici Amenti? #1

Il termine “nevrosi” indica in psicologia un insieme di disturbi scaturiti da un conflitto inconscio che spesso genera comportamenti socioculturali inappropriati; in generale, la nevrosi può essere definita come una “scarsa capacità di adattamento al proprio ambiente, di cambiare i propri schemi di vita e di sviluppare una personalità più ricca, più complessa e più soddisfacente”. Ad oggi, in ambito clinico questo termine è oramai in disuso, tuttavia esso mi torna sulla punta della lingua per poi andare a conficcarmisi in mente di fronte alla situazione che mi si è palesata l’altro giorno agli occhi presso la spiaggia di Cinisi e che potrete di seguito ammirare in minima parte in foto.

L’“amenza” è invece un disturbo della coscienza. Essa deriva da situazioni patologiche di natura organica, ad esempio infettiva; si presenta come uno stato confusionario che genera obnubilamento o abolizione dei contenuti di coscienza, che appaiono così frammentati e accompagnati da comportamento incoerente, allucinazioni e dispercezioni visive, disturbi motori, deliri e condizioni generali assai gravi. 

Ecco, bene: andiamo ora alla foto. Ciò che vedete è una campana verde per la raccolta differenziata del vetro. A circa un metro di “distanza di sicurezza” (probabilmente temevano un contagio?), inizia una lunga fila di sempre più numerose bottiglie di birra che, dall’angolo della strada, arriva fino al bordo del lungomare della bellissima spiaggia di Magaggiari. Vedo questo pochi giorni dopo aver assistito a inni, festeggiamenti e condivisioni per il ritorno di delfini reali, cervi, fenicotteri, coniglietti etc. e per la diminuzione di smog, “mare nero” e inquinamenti vari ed eventuali. E vedo questo, soprattutto, laddove sarebbe bastato allungare un’umanissima zampetta dalle 5 prensili ditina per incanalare la bottiglina carinissima di Beck’s dentro la campana del vetro! Cosa può essere dunque accaduto?!? Che – mi dico – la pandemia abbia malauguratamente anchilosato o accorciato e modificato geneticamente le braccine dei miei concittadini? E cosa pensare – mi chiedo – di fronte alle immagini conflittuali che mi bombardano? Da un lato nella mia mente ci stanno i delfinucci alla riscossa osannati dai più sui social e sui media, dall’altro le masse di bottigline abbandonate; da un lato la sanificazione a suon di piccioli di strade e angoli e dall’altro il disastro ambientale che abbiamo ripreso a fare. (E ma quindi avevamo “smesso” o eravamo semplicemente impossibilitati ad attuarlo?) …Che hanno dunque in mente i miei coinquilini del mondo? Sono forse confusi? Obnubilati? Con evidenti dispercezioni visive che impediscono di centrare il pirtuso della campana del vetro? O davvero si tratta di un disturbo motorio agli arti superiori dovuto al Covid? Saranno forse asintomatici ammalati?!?

Per qualche secondo mi sento confusa e amente anch’io di fronte a cotanta contraddizione. Valuto di chiamare i numeri verdi per segnalare l’ennesima infezione-focolaio. Intanto, non potendomi aggrappare alla speranza in codesta umanità gravemente conflittuale, mi avvinghio al senso della gestione emergenziale, addirittura all’origine stessa della parola: “emergenza” deriva dal latino ed è composta da “e” = fuori + “mergere” = “affondare, tuffare”; significa “che esce all’improvviso dalle acque”. La pandemia in effetti ci è sbucata fuori proprio così: come una mortifera bomba uscita all’improvviso dalle acque cinesi, creando un’inattesa faglia nel nostro esistere. L’acuzie parossistica del tutto non ha lasciato scelta a nessuno, né possibilità di agire alle radici dell’emergenza stessa: esclusi i complottisti, di fronte all’imminente moribilità collettiva nessuno ha avuto nulla che dire o che fare. Ci siamo tutti accollati una guida paterno-Statale cui, data l’emergenza, abbiamo delegato tutto. La vita in pandemia si è dunque fondata su una sottrazione: quella della nostra libertà e della nostra conseguente responsabilità. Siamo stati docilmente immessi in una bolla autistica in cui ci hanno separato l’uno dall’altro e indicato dettagliatamente le stereotipie del vivere cui omologarci, punto. “Normotici” e “Amenti”, diceva non a caso un collega, e ciò con buona pace di tutti! 
Qualcuno in tutto questo ci ha anche visto del fascino incarnato nel sacrifizio + savoir faire Contiano e ok, di necessità virtù, ma “quanto ci ha fatto comodo?” magari adesso chiediamocelo!

Adesso che la fase 1 è finita… Adesso che di nuovo procediamo come scecchi senza guida riprendendo “stranamente” a danneggiare qui e lì… Adesso che vige la dispersione e che, invece dei canti ai balconi, si odono in giro voci più o meno chiare che stonano un mood sub limen del tipo “diteci cosa dobbiamo fare e come dobbiamo farlo o faremo danno!”… Adesso che l’emergenza da contenere “tutta e subito” è passata… Adesso che, trasgredendo bellamente, possiamo fingere di non essere più “normotici” e limitarci ad essere ambivalenti, conflittuali “nevrotici”… Cosa dunque farcene adesso della semi-ritrovata libertà? …Possiamo di nuovo ammorbare il mondo, arredare con verdi&inquinanti bottigline di Becks le nostre spiagge, dopo aver nevroticamente festeggiato la flora e la fauna in ripresa e firmato caterve di petizioni on line sulla tutela dei graziosi cavallucci marini… Ma invero, non è che di cosa farcene della libertà (e della conseguente responsabilità) – al di là delle birre trasgressive e dei nostri “amabili resti” – non ne abbiamo idea?

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