Un sorriso alla volta

di Nina Tarantino

Sulla parete un orologio segna il tempo. Le lancette girano. La casa è accogliente e si apre in un grande salone. Stanze piene di letti e una cucina con due tavoli. Sul più piccolo tante scatole piene di pillole. Per ogni dolore. Ci sono una decina di signore che aspettano. Quando entro i loro occhi si muovono intorno e su di me. Rubo la loro attenzione. Anche Maria mi fissa sempre quando la saluto. Cento anni a Maggio, vede solo la mia sagoma. Vuoi mangiare? E mi offre la sua cena. Mi prende la mano. La stringo. Trema. Sorrido.

In questo posto ci vado spesso, la chiamano “casa famiglia per anziani”. E in questa frase ci stanno due bugie.

Ci sta anche Giovanna, a causa di una forte depressione; ha cinquantaquattro anni. La sua pelle è ruvida. I figli lavorano fuori e dicono che non possono portarla con loro. Io parlo parlo, racconto a modo mio, afferro un loro sorriso. Una stretta di mano. Non mi nego. Vorrei strappare loro la malinconia. Vederle ridere è una vittoria.
Anche la Signora Rosa sta li, ha novanta anni e ragiona perfettamente. La sua famiglia, i nipoti non sanno dove metterla. Una volta ogni 15 giorni, ogni due domeniche, la portano a fare una passeggiata, così, per poterle ricordare che ci sono e saranno suoi eredi. A Rosa le si velano gli occhi e le porgo un fazzolettino. Nessuna lacrima riga il suo viso. Si soffia il naso in modo garbato e mi dice: “Se mi gira lascio tutto ai preti del mio paese! Lo faccio!”. Interrompo e la sorprendo con un complimento sulla sua gonna. Lei schiaccia l’occhio e mi dice “Nina alla nostra età è consigliabile portarle sotto il ginocchio!”. Sorrido. Poi Rosa cerca il telecomando e gira canale.

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