Che famo a Capodown? – Eutanasia per uomini e piante

Mi chiamo Poinsettia, se vi viene difficile Stella.
D’altronde tra voi si cambia e scambia in funzione dei giorni brutti e dei giorni belli: la coerenza non è una vostra specialità. E in effetti di cambiamenti quest’anno ne ho visti assai: per ben due volte sradicata! In questo “agnone” il vento non è mai stato così monsonico e quest’anno mi ha scompigliato la chioma fin nelle mutande. La scostumatezza è in effetti una vostra contagiosa specialità: quella sì, quella sì. Così, quest’anno restai per giorni staccata dal mio terreno, estirpata e abbandonata; una volta prima dell’estate e una dopo. Pare ci sia stato un virus, e che, tra vento e virus, non poterono curarmi. Le conseguenze furono laide, ma poteva andare peggio: capottata una volta prima dell’estate e una dopo, violentata da un vento anomalo e precaria fin nelle radici, il sangue mi arrivava al cervello, i fichi nascevano amari e le piante infestanti prolificavano: il mondo andava al contrario e, a guardarlo all’ingiù, sembrava folle. Sfido io a sentirsi stabili quando hai le gambe all’aria! Poteva andare peggio, ma in effetti il vento non era mai stato così monsonico e pare non sia stato il clima: pare ci sia stato un virus. Così, tra vento e virus, non poterono venire a soccorrermi. Niente cura se non dei decreti, e chi se ne fotte delle radici.

Io comunque non ho esattamente di questi problemi. A parer mio, da emigrata, ci sono problemi più gravi. Ad esempio l’accoglienza che si prepara a chi arriva da fuori: il terreno è pronto? E’ troppo duro? Forse pietroso? Calcareo? E va concimato preventivamente? Ma in che modo? Togliamo le pietre? Scegliamo un “agnone” riparato? Meglio prevenire! Apprendere dall’esperienza! O volete farmi soffrire? Arriverò già malandata dal viaggio, sciroccata per il cambiamento, gli sbalzi termici, gli acquazzoni. “Cosa vorreste farmi?”. Me lo chiedevo. Le gambette erano andate, mozzate. “Leggermente paralitica”, “solo per un po’”, per via delle stangate “ai rami secchi, inutili”. “Sono necessarie”, è “la soluzione per entrare nel vasetto”, amen lo spargimento di sangue. Così parlavano di noi chiuse in una stanza e appiccicaticcie delle stesso liquido che perdevamo, ferite. Tutto avveniva al buio: per fiorire, sapete, c’è bisogno anche del buio… Così, nel buio stavamo strette, respirando a fatica, pompate di liquido ipernutriente. Ibridate, a poco a poco diventavamo rosa, fucsia, gialle, bianche, striate, variegate, doppie, arricciate o arrotolate. Eravamo i loro bambini da allattare, con noi faranno soldi, dicevano. “Mettici i glitter”, dicevano. “Ornamento”, dicevano. “Da appartamento!”. “In Italia appartamento”. “…Cos’è ‘appartamento’?”, alcune chiedevano. Nessuna risposta, rispondevano. “Poi spazzatura”, concludevano. …Senza tv, già vedevo Matrix: noi coi biberoni nei vasi, file e file di biberon nei vasi, vivai di noi, biberon & vasi.

Infine andammo, sparute, stonate, assetate; quindi sparpagliate e regalate. A dicembre, per quel che so, arrivammo ovunque. E nonostante tutto, senza capirne niente, rifiorimmo. Conveniva rifiorire, almeno. “E poi vi buttano”. Sorridevano… La scostumatezza è in effetti una vostra contagiosa specialità: quella sì, quella sì.

E invece fanculo: io fiorisco, e ogni Natale! Anche in un Natale sradicato, modificato, travisato.

E voi? Voi sradicati dalle idee che vi hanno allattati; sradicati dai tradizionali legami-delle-feste. Staccati via con tutte le radici dal forte virus, lui che è come il vento che sradica me-albero-di-natale, ma non mi uccide.

E voi? Voi, allontanati dal vostro luogo d’origine, come dallo spirito-del-Natale. Voi uomini sradicati dalla patria, strappati, eliminati, soppressi, rimossi. Voi attaccati a una certa idea di Natale! Voi deboli, cancellati dal vento del cambiamento! Voi vittime di un virus ideale! Voi ballerini ciechi al mondo, voi persi in giravolte sul vostro ombelico! Voi che piangete il solito Natale, incapaci di trasformarvi col dolore nel contrario: incapaci di pazientare, mantenere, proteggere, salvaguardare, curare! Voi… voi che, certo, ci comprate… voi rifiorite?

Certo, la coerenza non è una vostra specialità.
A me, invece, è finita così:


Chiamatemi Christmas star, se vi viene difficile Stella.
Sono una pulcherrima: Euphorbia pulcherrima. Parto dal Messico, poi trapiantata ovunque, strappata via, tagliata, rinvasata, dopata per Natale, infine rinata: sempreverde simbolo rosso-sangue: il perfetto, solito, dono di Natale, da buttare via subito dopo.

E invece, fanculo: se amata, vivo! Alta, rossa e rigogliosa, sui due e i quattro metri col mio fiore giallo-oro casa di api, con le mie foglie rosse, accese, trasformate. Posso vivere! Se c’è pazienza nel coltivare, basta poco. Se c’è pazienza di aspettare, di non gettare per far spazio al nuovo acquisto, di far crescere… di aspettare e curare Altri Natali… Si può vivere.

Certo, la pazienza non è una vostra specialità…

“Ci sono betulle che di notte levano le loro radici,
e tu non crederesti mai che di notte gli alberi
camminano o diventano sogni”

(A. Merini).

4 thoughts on “Che famo a Capodown? – Eutanasia per uomini e piante

    • Come peso spesso accade quando ci sta di mezzo la cura, bisogna saperlo fare! Nel mio caso infatti se n’è occupato chi se ne intende…

      Inoltre ci vuole una base idonea: altri 3 trapianti in effetti non sono andati a buon fine!

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