Est modus in rebus

di Lucia Immordino

Quinto Orazio Flacco scrive nelle Satire I, 1, 106-107: “Est modus in rebus: sunt certi denique fines, quos ultra citraque nequit consistere rectum”. E cioè: “Vi è una misura nelle cose: vi sono dei confini oltre i quali non può sussistervi il giusto”.

Quali sono questi confini?
Dove i limiti al di là dei quali non vi si può trovare il giusto?
Limes che vengono spostati dall’uomo sempre più nell’Armageddon dell’indefinito, del grigio, del tutto può accadere, ché tanto la passiamo liscia, dove ogni cosa è labile e liquida.

Non vi è il giusto assiomatico nell’ingiustizia, nella dimenticanza, nelle sentenze allungate, nella ricerca annacquata della verità.
Non vi è il giusto nella propaganda e nella bugia, nell’occultare il vero e il buono.
Non vi è il giusto nell’ipocrisia e nell’omissione.
Non vi è il giusto nella tracotanza.
Luoghi del non giusto che si allargano sempre più e dove il miraggio del condono emula il tocco di re Mida.

Siamo giunti a un’umanità sospesa tra il giusto e il non giusto che la rende di fatto confusa e la fa vertere verso il secondo e presso la quale l’ingiustizia indossa i panni della normalità, quando invece nella giustizia si dovrebbe praticare il sentimento dell’onestà e della correttezza dentro l’idea dell’altro e per l’altro.
I rapporti tra gli Stati, la diplomazia, la doppiezza fungono da humus al terreno della non integrità, quei confini oltre i quali non può sussistere la rettitudine. E non vi è nulla che si possa ovviare alla costruzione di tali limiti presso una società in cui si è perso o non si è mai insediato il senso del fare la cosa giusta.

Italo Calvino ne “Il barone rampante” effettua una profonda analisi sociale in cui sostiene che “la disobbedienza acquista un senso solo quando diventa una disciplina morale più rigorosa e ardua di quella a cui ci si ribella”.
Nelle sue parole viene riconquistato quel territorio del probo che si nutre di flussi di coscienza e di scansioni atemporali, dove non esiste la personale interpretazione della realtà, ma vi è un contrappunto di voci oneste che concorrono a frammentare il senso della disonestà innocua – come se fosse una bugia bianca – e a restituire la giusta misura alle cose.
Questo luogo, primo, in cui il giusto affonda la sua esistenza laica è la Dichiarazione dei diritti dell’uomo che l’Assemblea costituente francese approvò in un lontano 26 agosto del 1789.
Essa fa riferimento a diritti che valgono per ogni uomo e ogni donna di qualsiasi Paese e di qualsiasi epoca: essi sono cioè diritti universali e “naturali” che non vengono mai meno e nessuna legge può abolirli o non tenerne conto.
Questo carattere universale della Dichiarazione è la prima ragione della sua importanza e dell’influenza che essa ha esercitato nel tempo e oltre ogni confine.

Essa declama:

Art. 1: “Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti […]”
Art. 2: “I diritti naturali dell’uomo […] sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione”.
Art. 4: “La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce agli altri […]”.
Art. 6: “La legge è l’espressione della volontà generale […]. Essa deve essere uguale per tutti, sia che protegga, sia che punisca. Tutti i cittadini essendo uguali ai suoi occhi sono ugualmente ammissibile a tutte le dignità [cariche] […]”.
Art. 10: “Nessuno deve essere molestato per le sue opinioni, anche religiose, purché la manifestazione di esse non turbi l’ordine pubblico […]”.
Art. 11: “La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell’uomo, ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente […]”.

Nel 2003 la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino è stata inserita dall’UNESCO fra le Memorie del mondo.
Oggi, è conservata a Parigi, nella Bibliothèque Nationale.
La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino est modus in rebus: è il luogo, cioè, in cui vi è un’equa misura nelle cose e nel quale risiede il giusto.

2 thoughts on “Est modus in rebus

  1. e poi non dimentichiamoci che NOI abbiamo dalla nostra anche la mejo carta (non quella igienica) ar monno e cor reddito de cittadinanza poi non esiste più tra NOI alcun cittadino indigente che debba ricorrere alla caritas, per questo il MIO partito degli under 70.000 non ha mai raccolto alcun consenso né tra gli over, troppo egoisti, né tra gli under che giustamente sperano in un bel 6 al super per passar tra gli over

  2. Cara Lucia, ci siamo approfittati beceramente, squallidamente, di un’altra cosa sacra come il relativismo. La disperazione più profonda in effetti la provo proprio quando colgo che non esistono più “verità” garanti dell’umanità e del rispetto di essa…

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