Parchi giochi clandestini

La voce roca di Cocciante urla nella mia testa.
Mi sento abbastanza autorizzata, non faccio che essere ligia. Solo due volte per un’oretta massimo al centro commerciale, ché mi serviva più che altro per rimpiangere il centro storico “assurdamente” straaffollato e per recuperare qualche latrocidio tassatico dallo Stato tramite il cashback. Per il resto, soffoco a lavoro, ma mi accollo il soffocamento e la finestra aperta, cui supplisco con sciarponi perenni. La sera di far qualcosa non se ne parla; ci raccontiamo che così si risparmia anche, il che è pure vero, dato che in coppia siamo fortunati a lavorare in uno. Ogni tanto, nei giorni consentiti, andiamo a prendere una birra o uno sgroppino da asporto al bar Roma, sul corso principale del paese; tanto per vedere qualche animella che passìa veloce veloce sui marciapiedi scansando non escrementi (in un piccolo paese si è abbastanza puliti da questo punto di vista), bensì esseri umani. Di giorno casa e lavoro, lavoro e casa. Mia nonna ha iniziato a fare questa vita a 82 anni. Embé, così è, e lamentarci non serve. Siamo cittadini responsabili. Assolutamente sì. Orgogliosi e responsabili. Ma non siamo perfetti.

Così capita: capita di sognare arrostite di massa, di dirsi nelle chat: “Quando ci vediamo?”, di beccarsi al supermercato per 3 nanosecondi, di organizzare incontri in studio mettendosi a terra sul tappeto con patatine, cioccolati e salatini come fossimo bimbe al parco giochi. Capita di cucinare vin brulé e di scambiarsi regali il 20 dicembre, di improvvisare carbonare parlando di ogni in 4 e per 4 ore di fila. Ogni volta eravamo come compressi! Svuotatici e/è arricchitici dell’Altro, ci si saluta alle 21e36 spaccate.

…Questi sono i miei parchi&giochi. Senza di loro il mio cervello si atrofizza. A scriverlo sembro assurda o forse no.

Comunque oggi mi sento abbastanza autorizzata. Ma sono una lucertola con gli occhi umidi e ligi all’eventuale passaggio del moscone. Sto lesta, tisa tisa in macchina mentre raggiungo il luogo dell’appuntamento. “Se ci fermano?”. “E se ci fermano stiamo andando a trovare tua madre che è anziana e ha bisogno di questa pomata!”: la tiro fuori dalla borsetta che lui mi ha regalato, è una pomata qualunque presa di sotterfugio tra una preparazione e l’altra, così, per sentirmi più autorizzata ancora. Gentalin beta, recita. “A cosa serve almeno?”. “Boh amò, cercalo, vedi tu cos’ha tua madre!”. Ridiamo. Ma siamo lucertole clandestine, verdognole di colpa e paura, rigide nelle pelle tra desiderio e colpa, dilaniate da opposte tendenze: non lo diamo a vedere, eppure nello stomaco rettiloso si gioca una guerra mondiale. Stiamo in trincea da un anno. Lui ha perso il lavoro, sta a casa e mentre io sono in studio stende i panni e combatte le sue battaglie da maschio del 2020: un casino. Ha pure smesso di fumare. Ha degli sbalzi di umore e io non posso sopportarlo, ché la vita è dura per tutti, ma siamo tutti in trincea da 1 anno e bisogna resistere, diventare tenaci, frustrati & tenaci, e autorizzarsi a dirsi quanto mancano certe cose. Non minimizzarle, negarle, rimuoverle. No! Anche se fa male. L’ho visto penare e innervosirsi per la mancanza degli amici e dell’empatia familiare e ho sentito lo stesso stomaco da lucertola intenerirsi e autorizzarsi agli stessi desideri, rassegnarsi all’impotenza di un anno di attesa di robe ics ma comunque rivoluzionarie, pur sapendo che la vera rivoluzione avviene dentro.

Bla bla, comunque. A volte c’è proprio bisogno dell’Altro che incasina, che mette fretta, che infastidisce, ma soprattutto che coccola di presenza, confronto e affetto. E insomma è una domenica. Il colore non importa, stiamo nella confusione, anche perché, pane pane, vino vino: se sei responsabile stai a casa e basta, ti mascheri e basta, pure se inventassero la zona viola e chissà quale altra forma di strana libertà a pigghiata pu culu. Ché tanto, dice Byung-Chul Han, la libertà che spellinghiamo non esiste da mo’ ed anzi è diventata auto-incastramento, galera interna, e per giunta di varie forme. Il Covid, per lo meno, lo ha svelato a chi desidera guardare. Almeno ora abbiamo qualche opportunità di parlarne!

“Noi siamo il formicaio
Che è sotto la città
Tu, uomo, dove sei?
Il mondo non è qua”.

Canto dentro per distrarmi, la strada è breve. In una ventina amarognola di minuti siamo in un altro comune e a casa di S.; verranno E., I., F., F., L. Con noi siamo in 8. 8 Fuorilegge. Abbiamo progettato menu per giorni, come i ragazzini che hanno bisogno di festeggiare i loro incontri segreti. Proprio come facevamo a casa dei miei nonni mille anni fa. Solo che allora non ci incontravamo di nascosto… La tristezza sta proprio in questo occultamento: oggi incontriamo gli amici di nascosto: di nascosto dai decreti e di nascosto dai doveri altri. “Normale”? Non posso ammetterlo. Così sono nostalgica mentre sono euforica, e mi chiedo perché ci siamo persi anche se lo so. E comunque ho cucinato per ore fagottini in forma di cuori e di lune. Ho composto alberelli di datteri ripieni, rotolini natalizi e ciotole di albicocche alla vodka guarnite di scocche fucsia. Abbiamo mangiato per 6 ore circa, ci siamo salutati in tempo (17 minuti di sforo al massimo), abbiamo giocato a “Uno speed”, ma soprattutto ci siamo guardati. Ci sono dei riti che hanno bisogno di esistere. Ci sono delle persone che ti devono ricordare il tempo che passa, con cui devi ridere, di cui devi guardare le guance e trovarle ringiovanite nonostante si chiacchieri di oltre 20 anni fa e ci si aggiunga sopra la necessità di acido ialuronico. Ci sono persone per cui ti vesti, per cui prepari l’hummus e con cui progetti momenti. Ce ne dovrebbero essere di più di questi momenti. E comunque è stata un’infrazione. E’ stato un atto di clandestinità: clandestinità relazionale. Inside, sono sempre quella lucertola avvinghiata alla Gentalin e al suo sangue freddo, che ora però è pure una lucertola felice, riscaldata dallo stomaco pieno, dalle guance rosse e gonfie di parole, dal tintinnio dei bicchieri e del cane che salta e guaisce. Eppure nulla è perfetto, e questa clandestinità dilania dentro. E’ sporadica, ma possiamo scambiarci virus. E’ eccezionale, ma così stiamo morendo. Sono tutte quote di rischio. Ne sento il peso; lo diagnostico: non è quello delle mie tre effrazioni. E’ il peso del non pensiero sulla salute, sulla cura che viene dalle relazioni. Perché se il cervello è adattivo, ciò include che oggi è rinsecchito. E che lo stress esplode e implode ovunque. Così a volte dobbiamo valutare se e come andare in direzione ostinata e contraria.

…Ora arrestatemi, ma va bene così. La stanza è soffusa, costruita proprio per incontrarci. Nulla è improvvisato: ci sono i bicchieri belli, ma non ci si bacia, solo un abbraccio fugace alla fine tra me e I. Porca miseria, ci si vede dopo un anno, come si fa a dire “no”? …Certe cose sono dei riti. Rischiamo. Ci sono della miseria inquieta e della semplice gioia in questo: tutte e due le cose, gonfie nelle pance come le insalate di riso. Come i sorrisi alla fine dell’aperitivo in studio, misti all’acidità per aver mischiato nel poco tempo concessoci patatine al formaggio, cioccolati e vini rossi. Scattiamo pure le foto per gli assenti e per quando gli altri saranno assenti dentro di noi. Foto per ricordarci di quando eravamo nascostamente INSIEME. Ché da soli si vive bene, ma non per sempre, e l’alberello di datteri non è solo per me – lo confesso! -, ma pure per altri clandestini. …E ora bruciatemi. Che altro possiamo farci?

“Noi siamo gli stranieri
I clandestini
Noi uomini e donne
Soltanto vivi
Noi siamo gli sconfitti
Battuti e vinti
E se noi perdiamo
Perdiamo niente
E niente è niente
Non conta niente
Noi siamo chi non ha
L’immunità
Nel mondo noi siamo
La nullità
Noi siamo figli e madri
E padri e figli
Noi siamo gli stranieri
I clandestini
Noi siamo gli esclusi
E gli abusivi
Noi siamo gli stranieri
Del mondo intero
Dovunque noi siamo
Noi siamo fuori.”

4 thoughts on “Parchi giochi clandestini

  1. Letto con emozione, dentro quei parchi ci sono anch’io, sentito e provato. Scrittura aperta e sincera che arriva e ti fa sentire una clandestina o una strega. Brava!

    Nina

    • Cara Nina, innanzitutto grazie! Sai qual è l’assurdo? Che non avevo più neanche tanto la voglia di scrivere. E’ tornata a seguito di questi “contatti ravvicinati del terzo tipo”… Il mio cervello ha preso aria…

  2. Se riesco a non impazzire per quel che succede è solo perché vivo in semi-clausura da quasi un decennio. Per tutti i traslochi, per tutte le situazioni che ho vissuto e per tutte le volte che la stanchezza ha preso il sopravvento perfino sui desideri più innocenti, ad esempio: leggere solo una pagina di libro per sé. Oggi per caso mi è capitato di sentire questo (a tutti quelli che vivono di preoccupazioni ma non riescono a vedere il piccolo buono che è succo della vita.): https://youtu.be/wy7SCazqt5M

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